La Convenzione di Singapore e la grande opportunità per la mediazione internazionale nell’Unione Europea

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di Carlo Ciocca*

La mediazione permette alle parti di risolvere le controversie con un minor costo rispetto agli altri mezzi di risoluzione delle controversie, offrendo loro, con l’ausilio del mediatore, una soluzione ottimale in breve tempo; nonostante ciò, nelle controversie commerciali internazionali essa è scarsamente utilizzata se si compara all’utilizzo del più costoso arbitrato o del contenzioso pubblico internazionale, ove il giudice (privato o pubblico) impone una decisione che vede inevitabilmente “un vinto ed un vincitore”.

Ma cosa fa esattamente propendere le parti a decidere di utilizzare l’arbitrato ed il contenzioso internazionale invece che la meno costosa e più veloce mediazione?
Stando a degli studi americani (S. I. Strong, Weiss & Griffith), ciò che spaventa di più le imprese è la fase dell’esecuzione dell’accordo raggiunto tramite la mediazione che, non avendo una immediata forza esecutiva al pari del lodo arbitrale o della sentenza straniera, può rendere vano l’impegno investito (in termini di costi e tempo) nel raggiungere l’accordo transattivo.
Il 25 giugno 2018 la U.N. Commission on International Trade Law (UNCITRAL) ha firmato – e poi adottato nel 20 dicembre 2018 – una potenziale soluzione per una rapida e semplice esecuzione delle mediazioni internazionali, al punto che diversi studiosi l’hanno soprannominata come “La Convenzione di New York per la mediazione commerciale internazionale”, ovvero la c.d. Convenzione di Singapore (ne abbiamo già parlato qui).

Essa è stata aperta per le firme il 7 agosto 2019, ed attualmente ben cinquantacinque stati l’hanno firmata e dieci di essi l’hanno già ratificata; otto hanno implementato le disposizioni nel proprio sistema legislativo nazionale, rendendola immediatamente applicabile.

La Convenzione di Singapore, oltre a riconoscere come viene citato nel suo preambolo “l’importanza crescente della mediazione come mezzo alternativo di risoluzione delle controversie commerciali”, si è posta come obiettivo quello di rendere immediatamente esecutivo negli Stati contraenti l’accordo risultante dalla mediazione, senza richiedere alcuna formalità (ad esempio è necessario avere alcun timbro del notaio né alcun placet di un’ autorità straniera) se non la prova che l’accordo verte su una controversia commerciale internazionale e che vi è stato l’intervento di un mediatore nelle negoziazioni per risolvere il conflitto.

Se si analizzano le leggi nazionali degli stati che hanno già ratificato e implementato la Convenzione di Singapore (Bielorussia, Ecuador, Fiji, Georgia, Honduras, Qatar, Arabia Saudita, Singapore, Turchia e Kazakhistan), si nota immediatamente come l’obiettivo di rendere facilmente esecutivo l’accordo è ampiamente rispettato: difatti, per chiederne l’esecuzione nel luogo di interesse, viene generalmente richiesta una traduzione ufficiale dell’accordo transattivo nella lingua ufficiale dello stato e la prova che lo stesso è stato il risultato di una mediazione; non viene assolutamente richiesto alcun ulteriore requisito formale o certificazione.
La procedura dunque è veloce, non viene richiesta alcuna udienza di fronte al giudice ed è esclusivamente scritta; inoltre, alcuni stati hanno specificato i termini perentori entro il quale l’accordo deve essere eseguito, con decorrenza dalla presentazione dello stesso alla cancelleria del tribunale competente nello stato nel quale si richiede l’esecuzione.

Nonostante la rapida esecutibilità, viene comunque garantito il contraddittorio – così come anche per il lodo arbitrale nella Convenzione di New York – in capo ai contraenti per i motivi che sono specificati esaustivamente nell’articolo 5 della Convenzione: incapacità delle parti, invalidità dell’accordo sulla base della legge che le parti hanno deciso di applicare (come dolo, violenza, errore), grave violazione degli standard imposti al mediatore che ha condizionato il consenso della parte opponente, mancanza di imparzialità e lealtà del mediatore, ed infine contrarietà all’ordine pubblico.
Tali motivi sono i soli che la parte opponente (o il giudice se sono rilevabili d’ufficio) può sollevare di fronte al tribunale nel luogo in cui si richiede l’esecuzione entro termini comunque molto brevi, garantendo così una rapida esecuzione ma anche una protezione per l’esecutato se vi è la presenza di uno dei vizi sopracitati.

La Convenzione di Singapore è già stata firmata dalle potenze economiche mondiali come gli Stati Uniti, l’Australia, la Corea del Sud, la Cina, ed attualmente nel Regno Unito è aperto un dibattito in merito all’adesione al Trattato. L’Unione Europea, però, è in ritardo; difatti la delegazione di Bruxelles già dai lavori preparatori all’UNCITRAL è sembrata scettica, ritenendo fin dal principio la Convenzione come destinata al fallimento. Le ragioni per questa posizione possono essere molteplici: già nel 2008 l’UE provò a modernizzare la mediazione internazionale con una Direttiva (Direttiva n. 2008/52/EC sulla mediazione civile e commerciale) che però, così come fu sottolineato dai reports successivi , non riuscì a rendere questo mezzo alternativo di risoluzione delle controversie transfrontaliere di uso comune; un altro tentativo fu il Capitolo IV del Regolamento Bruxelles I Bis (Reg. UE n. 1215/2012), ma anche questo fu scarsamente utilizzato.

È chiaro come questi “due buchi nell’acqua” hanno fatto sì che l’Unione Europea sia restia a firmare e ratificare una convenzione che ha, come oggetto, la mediazione commerciale internazionale. Inoltre, permangono comunque dei dubbi riguardo alle differenze interpretative che possono essere date ai termini utilizzati dagli articoli della Convenzione, essendo essa comunque ancora nella sua “prima fase dell’infanzia”, mentre -ad esempio- la Convenzione di New York sull’arbitrato ha già più di settant’anni di storia alle proprie spalle.

Comunque, l’UE dovrebbe considerare che la Convenzione di Singapore, contrariamente alla direttiva del 2008 e al regolamento Bruxelles I Bis, si applica anche al di là dei confini degli Stati Membri, e che l’impatto sulle relazioni economiche internazionali sarà sicuramente positivo; inoltre, una procedura omogenea, più rapida e sicura per l’esecuzione di un accordo transattivo che è stato firmato di fronte ad un mediatore professionista può rendere la mediazione una valida alternativa all’arbitrato negli anni a venire, così come la Convenzione di New York ha, dagli anni ’60 in poi, avuto una enorme influenza sulla giustizia privata.

In definitiva, la firma e ratifica della nuova Convenzione di Singapore è un’occasione d’oro per gli Stati Membri dell’Unione Europea e per le loro imprese che operano nel mercato globale, in quanto scegliere la mediazione in caso di un conflitto legale, avendo però la tranquillità di una eventuale facile esecuzione anche transfrontaliera dell’accordo raggiunto è un “win-win” per le relazioni commerciali internazionali e per le stesse parti in conflitto.
Ai posteri l’ardua sentenza, con la speranza che la nostra Unione Europea si adoperi al più presto per conformarsi alla crescente necessità di una mediazione internazionale “più sicura”.

*L.L.M. Scholar (Master and Back Scholarship) – University of Amsterdam (European Private Law); praticante avvocato