La libertà di scegliere

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di Federica Invernizzi*

Una scena tratta dal film “The Children Act – Il Verdetto” esemplifica come, ove
possibile, è meglio gestire il conflitto non delegando ad altri il potere di decidere
cosa è meglio per sé: esattamente come si fa in mediazione.
Una doverosa premessa: sono una convinta mediatrice (ho iniziato ad occuparmi di
conciliazione ben prima dell’entrata in vigore del D.lgs. 28/2010) che si approccia ad
ogni nuova mediazione con grande interesse e curiosità di conoscere le persone che
incontrerò e con le quali, se vorranno, intraprenderemo insieme un percorso con la
finalità di giungere ad una soluzione della loro lite che sia per tutti soddisfacente.
La mediazione ha diversi innegabili, in quanto oggettivi, vantaggi. Mi riferisco ai
tempi di svolgimento e conclusione della procedura, ai costi più contenuti di quelli
del giudizio oltreché sin da subito certi e prevedibili, alla riservatezza, al valore di
titolo esecutivo attribuito all’accordo concluso alla presenza di legali, ai benefici
economici connessi all’esperimento della procedura….
Oltre a questi vantaggi, la mediazione ne presenta uno ulteriore che, personalmente,
trovo molto interessante.
Penso in particolare al vantaggio che la mediazione permette alle Parti di non delegare ad
altri cosa è meglio per sé ma di assumersi in proprio la decisione. Ciò naturalmente
con riferimento ai diritti cosiddetti disponibili ovvero quelli che possono essere
autonomamente regolati/negoziati dalle Parti.
Chi, infatti, meglio delle Parti è in grado di conoscere realmente quale accordo
può davvero soddisfarle?
Cercherò di esemplificare il vantaggio per le Parti in mediazione di non delegare il
processo decisionale attraverso il commento di una scena tratta dal film “The
Children Act – Il Verdetto”.
Nel film il Giudice May, interpretata dal Premio Oscar Emma Thompson, deve
prendere una difficile decisione in merito ad un intervento chirurgico per la
separazione di due gemelli siamesi. Il dilemma riguarda autorizzare l’intervento con
l’inevitabile morte di uno dei gemelli o non autorizzarlo, destinando a morte certa
entrambi i gemelli.
Il giudice non può esimersi: deve esprimere il suo verdetto e si tratterà di una
decisione che impatterà sulla vite dei gemelli e dei genitori e che, come spesso
succede, non verrà condivisa ed accettata da tutti.
Il Giudice, contro il volere dei genitori, decide, infatti, di separare i gemelli.
La scena mette ben in evidenza come, purtroppo, nella difficile decisione che mai il
Giudice avrebbe voluto dover prendere, l’unico spazio è concesso alla ragione, che
nel caso specifico si manifesta attraverso ciò che la Legge prevede in questi casi, e che
nessuno spazio vi può essere per le emozioni. E’ lo stesso Giudice ad affermarlo
motivando così il suo verdetto di separare i gemelli: “E’ stato difficile arrivare a stabilire
il principio di legge ma è opportuno sottolineare un’evidenza…in questo tribunale si applica
la legge e non la morale…”.
Non solo la mediazione non toglie alle Parti il potere di decidere bensì lo
valorizza sino al punto da consentirgli di non raggiungere alcun accordo: si
potrebbe dunque dire che la mediazione non ha rischi; di contro le Parti di un
conflitto rivolgendosi all’Autorità Giudiziaria non decideranno più alcunché ma
si dovranno necessariamente uniformare alla decisione del Giudice. In giudizio
non c’è posto per emozioni, bisogni ed interessi, che invece, trovano accoglimento
proprio nella mediazione, che ha il compito di occuparsene.
Nella mediazione, dunque, il conflitto è nelle mani delle Parti e parimenti nelle
loro mani è il risultato della negoziazione che dovrà avvenire sul presupposto di
una corretta scelta negoziale ovvero quella che tutti possano uscire dalla lite con
reciproca soddisfazione.
La mediazione, come il giudizio, riguarda Parti che sono protagoniste di un
conflitto ovvero di un evento di per sé neutro in quanto connaturato al vivere
sociale.
Al conflitto (dal latino “conflictus = urto, scontro”) si attribuisce tuttavia ancor
oggi a livello culturale una connotazione per lo più negativa. In realtà non
dovrebbe essere così: si dovrebbe forse essere “eremiti” per non entrare in
conflitto con nessuno e non sarebbe comunque scontato … Semplificazioni a
parte, la differenza tra un conflitto “positivo” che può anche rappresentare
un’opportunità di trasformazione e cambiamento ed un conflitto “negativo” è
determinata anche dal modo in cui lo si gestisce.
Il concetto di decisione, oggetto di studio da parte di molteplici scienze e
discipline, riconduce a quello di libertà. Perché si possa parlare propriamente di
decisione è infatti necessario che il decisore abbia di fronte a sé una pluralità di
opzioni: la scelta obbligata, in assenza di alternative, non è una decisione. Di fatto
chi si rivolge al Giudice decide di non decidere ed è una scelta anche questa ma
chi scrive vorrebbe sincerarsi che vi sia piena consapevolezza e convinzione delle
conseguenze della scelta dell’uno o dell’altro metodo di risoluzione delle
controversie e tale consapevolezza non può che derivare dalla conoscenza delle
possibili alternative di gestione del conflitto.
Il mediatore conosce e valorizza le emozioni delle Parti, ne comprende i
comportamenti e le strategie che ne sono derivate più o meno consapevolmente,
si occupa di esplorare i loro bisogni per giungere all’individuazione di interessi
comuni su cui costruire l’accordo.
Il mediatore fa tutto ciò nel pieno rispetto dell’autonomia delle Parti che
conserveranno sempre il controllo del risultato del procedimento. Il Giudice,
invece, non può occuparsi di bisogni e interessi concreti, il suo compito è un altro
ovvero decidere ricercando il principio di legge e interpretandolo correttamente.
Rivolgersi al Giudice significa accettarne la decisione in quanto proveniente
dall’Autorità naturale precostituita per legge. Poiché tale decisione è calata
dall’alto e non è il frutto di una trattativa tra le Parti ma dell’interpretazione della
legge, può accadere che possa alimentare malcontenti e talvolta anche esacerbare
la conflittualità. Inoltre una decisione imposta verosimilmente non favorirà il
possibile ripristinarsi di relazioni funzionali tra le Parti – ed anzi alimenterà
rancori tra le Parti. Sarebbe, invece, molto importante non perdere la chance di
provare a ricostruire le relazioni specie in alcuni contenziosi che riguardano
rapporti tra parenti (successioni, divisioni, patti di famiglia) o comunque
rapporti di lunga durata (condomini, contratti di durata come le locazioni,
comodato).
Si può dunque concludere che, accanto ai ben noti vantaggi relativi ai tempi, ai costi,
alla riservatezza ed all’efficacia esecutiva dell’accordo, la mediazione presenta
l’ulteriore vantaggio di valorizzare anche il potere di autoregolamentazione delle
Parti nel conflitto e alla luce di ciò pare proprio difficile mettere in discussione tutti i
benefici che conseguono all’utilizzo di questo
strumento di risoluzione delle liti e non si può se non auspicare che la mediazione
possa avere una diffusione sempre più ampia non solo nelle materie per le quali già è
prevista l’obbligo del primo incontro col mediatore ma anche in tutte le altre materie.

 

*mediatrice, avvocato in Milano