Intelligenza artificiale e mediazione: intervista a Francesca Valastro

2091
Foto di Michael Dziedzic su Unsplash

Torniamo a parlare del rapporto tra intelligenza artificiale e mediazione, analizzando a che punto si trova la ricerca e quali sono le prospettive future. Abbiamo quindi posto qualche domanda a Francesca Valastro, già case manager presso il Servizio di conciliazione di Camera Arbitrale di Milano e ora ricercatrice in AI & Law.

Dopo l’esplosione del fenomeno ChatGpt, si parla molto delle potenzialità dell’intelligenza artificiale. Ma esattamente, di cosa si tratta?

Il rilascio della prima versione gratuita di ChatGpt lo scorso novembre, oltre a suscitare enorme entusiasmo sulle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale (IA) generativa, ha segnato un vero e proprio momento di svolta. Tantissimi esperti non hanno esitato a definirla come la tecnologia più straordinaria degli ultimi 30 anni nel campo dell’IA e, forse, è ancora troppo presto per avere piena contezza della sua reale portata rivoluzionaria.
In un momento di così intenso progresso tecnologico è del tutto legittimo, dunque, chiedersi che cosa sia l’IA e in che modo stia cambiando le nostre vite.
John McCarthy, il professore di Stanford che nel 1956 coniò questa espressione, definì l’IA come “la scienza di creare e ingegnerizzare programmi informatici intelligenti” (1) . Oggi viene più comunemente definita come quel campo dell’informatica che, combinando conoscenze e metodologie appartenenti a molteplici discipline, è capace di risolvere problemi o di automatizzare delle attività che, in genere, richiedono intelligenza umana .
Personalmente, condivido la prospettiva di coloro che considerano l’IA uno strumento di potenziamento delle capacità cognitive umane in funzione complementare ad esse, dal momento che i comportamenti dell’IA sono guidati da correlazioni statistiche ricavate dall’analisi di enormi quantità di dati.

Quali impieghi può avere l’IA nel settore legale?

Le applicazioni dell’IA al mondo del diritto e delle professioni legali sono molteplici. Esistono software capaci di analizzare e revisionare in pochi secondi documenti legali di migliaia di pagine (come Juriblox, Luminance), di svolgere ricerche giuridiche avanzate ed esaminare decisioni giurisprudenziali (Ravel Law, LexisNexis), di compilare automaticamente documenti standard (ContractPodAi) nonché di prevedere il possibile esito di una controversia sulla base delle precedenti decisioni relative a casi analoghi o simili (Predictice, Case Law Analytics, Judicata).
Ad oggi queste applicazioni dell’IA al settore legale sono per lo più appannaggio dei grandi studi legali che possiedono le risorse economiche necessarie per investire nell’automazione e nell’efficientamento dei propri processi interni. La pandemia, tuttavia, nell’imporre un uso forzato degli strumenti digitali, si può dire abbia spinto in generale anche la classe forense ad accogliere e a integrare nella pratica quotidiana le nuove tecnologie basate sull’IA.

Concretamente, come potrebbe essere di aiuto l’IA a chi partecipa ad una mediazione?

Date le enormi potenzialità applicative, l’IA trova ampio utilizzo anche nel settore della risoluzione delle controversie tramite l’integrazione di sistemi intelligenti all’interno di procedure di ADR, che di conseguenza diventano IDR, ovvero Intelligent Dispute Resolution. Una tale integrazione può realizzarsi con l’uso di chatbots, cioè software che attraverso l’elaborazione del linguaggio naturale (NLP) sono in grado di interagire con utenti non esperti, fornendo assistenza legale personalizzata e rispondendo a questioni giuridiche relative a casi specifici. A riguardo, due esempi sono il British Columbia Civil Resolution Tribunal (CRT) e il software JusticeBot . Il CRT, primo tribunale online del Canada, è dotato della funzionalità ‘Solution Explorer’ in grado di fornire all’utente una consulenza legale e un prospetto delle possibili modalità di risoluzione del caso, nonché la possibilità di interagire con la controparte tramite una piattaforma integrata di mediazione. JusticeBot, invece, è un software che utilizza il Machine Learning per fornire consulenza legale nelle controversie in materia di locazione in base al diritto canadese.
Altrettanto utile è l’utilizzo dell’IA come supporto alla negoziazione tra le parti. Vi sono infatti, algoritmi basati sulla teoria dei giochi di Nash capaci di suggerire criteri equitativi per la divisione dei beni e, dunque, possibili soluzioni per il raggiungimento dell’accordo negoziale. Ad esempio, il software australiano AssetDivider (2) sfrutta algoritmi equitativi per supportare coppie divorziate nella divisione negoziale dei beni, suggerendo modalità di distribuzione basate non soltanto sul valore di mercato ma anche sull’interesse soggettivo di ciascuna parte, al fine di trovare la soluzione maggiormente in grado di soddisfare i reciproci interessi delle parti.Un’ulteriore applicazione dell’IA è data dall’uso di algoritmi predittivi quali strumenti di valutazione negoziale (c.d evaluative tools) per aiutare le parti ad individuare la “migliore alternativa all’accordo negoziale” (BATNA). Infatti, un software capace di analizzare un set di decisioni precedenti relative a casi simili, confrontarle con il caso in esame e predire quale possa essere il probabile esito in giudizio, fornisce alle parti un’informazione fondamentale su cui impostare il negoziato per raggiungere un accordo maggiormente satisfattivo rispetto alla probabile decisione del giudice. Il software Split-Up (3), basato su algoritmi predittivi e sviluppato in Australia alla fine degli anni ’90, perseguiva esattamente tale obiettivo.
Questi sono alcuni esempi di come l’IA può essere utilizzata nella risoluzione consensuale dei conflitti, ma le prospettive future ne delineano un utilizzo che va ben oltre questa funzione. Infatti, vi sono esperti, tra cui Richard Susskind (4), che già ora evidenziano come il maggiore impatto dell’IA nel settore legale consisterà nella prevenzione delle controversie, anziché nella loro risoluzione.

L’Intelligenza Artificiale potrà arrivare a sostituire l’attività di un mediatore? A che punto è la ricerca?

Dato l’inarrestabile avanzamento dell’IA, ritengo verosimile che ciò accada. Infatti, sono già in fase di sperimentazione software in grado di svolgere alcune delle attività proprie del mediatore.
Si muove in questa direzione la piattaforma ODR chiamata LLMediator(5), presentata lo scorso giugno da alcuni ricercatori canadesi, che promette di sfruttare le potenzialità dei modelli di linguaggio (c.d. Large Language Models) come ChatGPT-4 nei procedimenti di mediazione. LLMediator, infatti, oltre ad offrire alle parti la possibilità di confrontarsi attraverso una chat, è dotata di funzionalità specifiche per supportare il mediatore tra cui: 1) la riformulazione di messaggi dal tono aggressivo e poco conciliante; 2) la redazione di bozze di messaggi contenenti possibili modalità di intervento del mediatore; 3) su sollecitazione delle parti, l’invio diretto di messaggi in chat senza supervisione. Quest’ultima funzionalità, poiché presuppone l’autonomo intervento dell’Intelligenza Artificiale nella discussione tra le parti senza alcuna supervisione da parte del mediatore, è decisamente la più rischiosa e ancora in fase preliminare di sviluppo. Per le stesse ragioni, la piattaforma Next Level Mediation (6), pur integrando le potenzialità di Chat GPT-3, ha escluso la possibilità che le parti ricevano messaggi direttamente dall’IA senza la supervisione umana, optando, invece, per funzionalità di supporto quali la generazione di domande appropriate da rivolgere alle parti oppure di modelli per la valutazione delle esigenze delle parti stesse.

Ma è davvero auspicabile l’avvento di un Robo-mediatore?

Premesso che sono favorevole ad un modello di mediazione assistita dall’IA (c.d. AI-assisted mediation), in cui la tecnologia supporta – senza sostituire – le parti e il mediatore, credo che per cercare di rispondere a interrogativi così complessi sia opportuno effettuare un confronto tra costi e benefici. Quali sono i rischi associati all’utilizzo di un Robo-mediatore? E quali, invece, i vantaggi?
È evidente che l’agire autonomo dell’IA senza alcuna supervisione umana comporti dei rischi sostanziali e procedurali esponenzialmente maggiori. Essi riguardano, ad esempio, la generazione di informazioni non corrette (hallucinations), viziate da pregiudizi o discriminatorie (biased), così come la violazione di leggi nazionali o sovranazionali (come, ad esempio, le norme sulla privacy stabilite nel Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati)
Questi rischi non possono essere sottovalutati e, al contrario, impongono enorme cautela nell’impiego dell’Intelligenza Artificiale per la risoluzione delle controversie. A riguardo, credo che un connubio davvero vincente tra IA e sistema giustizia sarà realizzabile solo mediante l’utilizzo di sistemi verificabili, cioè di sistemi progettati e sviluppati in modo da consentire una verifica circa l’accuratezza, la trasparenza e la conformità alle norme e ai valori fondamentali dei loro risultati.
Al contempo, però, ritengo che l’esistenza di questi rischi non debba offuscare i vantaggi che pure potrebbero derivare dal suo utilizzo. Il ricorso alle nuove tecnologie per la risoluzione delle controversie viene spesso ricondotto all’obiettivo di garantire un miglior accesso alla giustizia, inteso in senso ampio e, dunque, non solo come accesso all’amministrazione statale della giustizia, ma anche ai vari metodi stragiudiziali di soluzione dei conflitti. A riguardo, secondo una stima delle Nazioni Unite (7), 1.5 miliardi di persone nel mondo non hanno la concreta possibilità di risolvere le proprie controversie di natura legale. Alla luce di questi numeri, sinonimo di grandi disuguaglianze e di mancata giustiziabilità di situazioni giuridicamente rilevanti, un sistema di risoluzione dei conflitti – anche solo parzialmente – automatizzato potrebbe avere un impatto straordinario. Qualsiasi controversia, anche di minimo valore, potrebbe trovare non solo uno spazio di ‘emersione’ e di riconoscimento, ma anche di potenziale risoluzione tramite un software sempre disponibile, privo di orari, a basso costo e completamente online.
Se effettivamente funzionante e rispettoso delle garanzie necessarie, tale approccio rappresenterebbe un atto di democratizzazione dell’accesso alla giustizia senza precedenti.

  1. https://hai.stanford.edu/sites/default/files/2020-09/AI-Definitions-HAI.pdf, ma vedi anche http://jmc.stanford.edu/artificial-intelligence/what-is-ai/index.html.
  2.  E. Bellucci (2008) ‘AssetDivider: a new mediation tool in Australian family law’. In: Proceedings of the 1st International Working Conference on Human Factors and Computational Models in Negotiation, pp 11–18.
  3. J. Zeleznikow, A. Stranieri, e M. Gawler (1995) ‘Project report: Split-Up — A Legal Expert System which determines property division upon divorce.’ 3 Artificial Intelligence Law, pp 267–275.
  4. V. la lectio magistralis di Richard Susskind tenuta alla Hebrew University nel marzo 2023, disponibile su youtube al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=uAcNvdgodvA.
  5. H. Westermann, J. Savelka e K. Benyekhlef (2023) ‘LLMediator: GPT-4 Assisted Online Dispute Resolution’. In: Workshop on Artificial Intelligence for Access to Justice (AI4AJ 2023), June 19, 2023, Braga, Portugal, CEUR-WS.org https://ceur-ws.org/Vol-3435/paper1.pdf.
  6. R. Bergman (2023) ‘ChatGPT and Mediation’, www.mediate.com.
  7. Justice For All – Final Report, Technical Report, The Task Force on Justice, New York: Center on International Cooperation, 2019.