Dalla mediazione civile e commerciale alla mediazione “di pace”: il lavoro di CSSP Berlin e le prospettive della nuova Iniziativa Italiana per la Mediazione Internazionale (3IM)

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Foto di Arpit Rastogi su Unsplash

Nell’articolo pubblicato sul Blog il 19 luglio 2023 abbiamo raccontato dell’attuale stato di sviluppo dei vari sistemi di Alternative Dispute Resolution (ADR) nei principali paesi dell’area Balcanica, accennando al ruolo dell’organizzazione tedesca CSSP – Berlin Center for Integrative Mediation, per la quale lavoro, nella loro promozione.
Una domanda, tuttavia, è sorta da diversi lati: benissimo la risoluzione stragiudiziale dei conflitti civili e commerciali, ma come si pone il tema della mediazione, anche in senso più lato, rispetto alla storia di aspri conflitti fra nazioni ed etnie che hanno sconvolto questa parte di mondo nelle ultime decadi? Senza la pretesa di essere un esperto della storia della regione, possiamo provare a ragionare intorno a tre concetti: primo, i sistemi di ADR (e in particolare la mediazione penale) lavorano sul tessuto delle relazioni, costringendo al contatto e al reciproco scambio le persone e, alla lunga, rafforzano l’effetto “mangrovia” della popolazione. Secondo, il trauma del conflitto interetnico che ha lacerato i Balcani non può essere guarito solamente con il tempo, ma richiede un lavoro specifico a diversi livelli che CSSP, come altre organizzazioni, con i limiti delle proprie capacità e dei fondi disponibili, tenta di fare da oltre 20 anni. Terzo, la mediazione internazionale, una volta puramente appannaggio del lavoro diplomatico, è ormai un’area ad alto coefficiente tecnico e, in Italia, esiste uno spazio per l’incremento della consapevolezza e la professionalizzazione del settore, da cui nasce l’Iniziativa Italiana per la Mediazione Internazionale (3IM).
Come tutti abbiamo esperito nella nostra vita, i conflitti, tanto che sorgano fra persone che si conoscono tanto fra sconosciuti, lacerano le relazioni interpersonali o la possibilità di esse: non solo perché vanno ad infrangere la fiducia interpersonale, fondamentale collante sociale, ma anche perché le emozioni che il conflitto scatena sono spesso così forti e spiacevoli che, in mancanza di un’educazione emotiva adeguata che ci permetta di contenerle, digerirle, comprenderle e non esserne governati e sconvolti, ci costringono alle classiche reazioni istintive: evitamento, aggressione e congelamento.
Quando nella quotidianità della nostra vita parliamo di sistemi di gestione del conflitto, ci riferiamo normalmente ai sistemi di giustizia classica – tribunale, avvocati, giudice – se il tentativo di risoluzione personale, negoziale, fallisce. Se li osserviamo dal punto di vista delle relazioni tuttavia, i nostri sistemi classici di giustizia, distributiva o retributiva, nell’assegnare torti e ragioni, pur mantenendo l’ordine sociale, favoriscono la polarizzazione delle posizioni spingendo a veder l’altro come “nemico” la cui soccombenza è strumentale al nostro successo e sopravvivenza. Il raggiungimento di un verdetto e, quindi, della cosiddetta “giustizia”, per quanto di valore fondamentale al vivere di una società civile, lascia normalmente irrisolte le istanze relazionali.
La mediazione, sia essa in ambito di diritto civile, commerciale, o di pace, si pone come obiettivo di cambiare il paradigma della gestione del conflitto o, per lo meno, di integrarlo, restituendo centralità nella risoluzione della controversia alla relazione. Lungi dal dover essere una mera forzatura delle parti al firmare un accordo, alle parti che lo desiderano dà la possibilità di costruire insieme una soluzione condivisa al proprio problema, trasformando l’approccio competitivo al conflitto in approccio collaborativo alla ricerca della soluzione. Nel fare ciò, ridisegna la capacità relazionale delle persone, espande la capacità comunicativa e di ascolto, sgonfia la paura che l’altro possa e/o voglia farci danno e rinforza il senso innato di sicurezza che ci permette di non sentirci minacciati, reagendo con violenza.
Questo esercizio, anche se limitato a controversie di natura civilistica e commerciale, è di per sé utile alla “riprogrammazione” empatica della gente, rinforzando le strutture sociali delle società ed incrementandone la resilienza rispetto a tensioni politiche ed esterne, come una foresta di mangrovie, le cui lunghe radici, tenendo insieme i terreni delle coste, agiscono come barriere naturali contro inondazioni, tornado e nubifragi che contribuiscono all’erosione del terreno.
Il valore relazionale della mediazione, ancora maggiore nel contesto di conflitti scaturiti da reati, che oltre a creare vittime vanno a ledere il cosiddetto “patto di cittadinanza” , è di per se una componente cruciale nelle società post-belliche, in cui la temporanea assenza di violenza nasconde ferite sociali profonde che, se non affrontate, rischiano di prorompere in nuovi conflitti.
La promozione dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie fa quindi parte integrante del bagaglio di strumenti per affrontare la ricostruzione del tessuto sociale in società squassate da conflitti inter-etnici, dove il paradigma della pacifica convivenza è stato soppiantato dal sospetto e l’appartenenza ad un differente gruppo sociale associato al “nemico”.
Come agire, però, in società che cercano la pace ma sono ancora profondamente divise?
Per poter ricreare stabilità sociale, non basta il tempo: i traumi collettivi lasciano strascichi, l’ingiustizia genera una rabbia che si tramanda di generazione in generazione, e, come le ferite non curate, se non affrontata adeguatamente rischia di infettarsi nuovamente. Per costruire pace (in inglese “peace building”) bisogna agire su tre fronti: l’elaborazione del trauma collettivo creato dal conflitto (“dealing with the past”), il dialogo e l’apertura alla coesistenza nel presente e la creazione di strumenti di integrazione sociale verso il futuro.
Con la locuzione “Dealing with the past” si intendono quelle strategie ed iniziative, pubbliche o private, che affrontano la memoria delle ferite generate dal conflitto, danno nomi e volti alle vittime e ciò facendo restituiscono la dignità perduta e ricostruiscono l’identità di coloro che hanno subito le conseguenze del conflitto. È un lavoro che va ben oltre la compensazione economica per i danni e le violenze subite, va a restituire un posto in società a chi l’ha perduto. Questo lavoro richiede una grandissima capacità di contenimento delle emozioni che si scatenano nell’apertura del “vaso di Pandora” e di indirizzamento dell’energia che si libera dalla “pentola a pressione” del conflitto sociale. La gestione è difficile, ma l’alternativa è peggiore.
L’apertura alla coesistenza nel presente è un tema di realismo molto faticoso da digerire in contesti in cui vinti e vincitori sono ancora presenti sul territorio, e bisogna prendere decisioni a favore dell’ex “nemico” prima ancora che la ferita si sia rimarginata. Questo richiede risorse economiche da distribuire equamente, assicurando un posto in società ai vinti, per disinnescare la spirale dell’odio. E richiede la creazione di strumenti sociali, normalmente non preesistenti, per andare a compensare le disparità sociali fra gruppi di individui per evitare che nuova pressione si cresca nella pentola. Tutte queste politiche richiedono leaders illuminati, che devono spesso fare i conti con un elettorato che vorrebbe vendetta e rivalsa e, spesso, pressioni esterne che vengono esercitate in cambio di aiuti e sostegni economici alla ricostruzione.

 

Simone Ceresa è mediatore di conflitti internazionali e penali con oltre 13 anni di esperienza in ambito diplomatico e di gestione dei conflitti in alcune delle zone più difficili al mondo fra Africa, America Centrale e Balcani. Dal 2018 dirige i programmi di Albania e Kosovo per l’organizzazione tedesca CSSP Berlin Center of Integrative Mediation, di cui cura le relazioni esterne e la creazione di nuovi progetti.
È tra i fondatori dell’Italian Initiative on International Mediation (3IM) e collabora con Dike – Cooperativa per la Mediazione dei Conflitti di Milano come mediatore penale. Parla fluentemente italiano, inglese, francese e spagnolo. sceresa@cssp-mediation.org