Una sfida alla neutralità del mediatore

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equilibriodi Eugenio Vignali *

Una sfida per il mediatore a mantenere un atteggiamento autenticamente neutrale e imparziale all’interno di un procedimento di mediazione è costituita da quelle situazioni in cui egli valuta che vi sia uno squilibrio di potere decisionale fra i partecipanti. In generale, la neutralità del mediatore può essere definita come un atteggiamento di equidistanza dalle parti e di indifferenza rispetto alle soluzioni da loro liberamente concordate, rafforzato dalla consapevolezza ontologica di non sapere quale esito sia realmente preferibile per le persone coinvolte nella lite. Non potendo egli utilizzare riferimenti oggettivi di diritto e nonostante il termine mediazione evochi, con il suo riferimento ad una posizione intermedia, l’ideale di equidistanza e di equità, il mediatore autenticamente neutrale dovrà dunque essere aperto ad accogliere qualsiasi opzione le parti ritengano concordemente di voler adottare per porre fine alla loro controversia. Ad esempio, anche la rinuncia alle proprie pretese a fronte della presentazione di scuse, pur ignorando le richieste espresse nelle posizioni iniziali e lasciando la situazione fattuale immutata, potrebbe infatti risultare soddisfacente per uno dei litiganti al fine della propria riconciliazione con la controparte. Tale determinazione deve però essere raggiunta attraverso la piena espressione del proprio potere decisionale, che è ciò che il mediatore deve considerare con riferimento all’effettivo equilibrio fra le parti, senza cadere in facili errori di interpretazione e di valutazione generati da altre tipologie di differenze. Le disparità fanno parte in generale dell’esistenza e caratterizzano dunque anche ogni aspetto della vita degli esseri umani. Vi sono disparità nelle capacità individuali, nelle risorse interiori personali ed in quelle esterne a cui si può accedere, ed è normale che ogni volta che ci relazioniamo con un’altra persona tali differenze emergano, determinando un apparente squilibrio di potere rispetto al soddisfacimento dei propri bisogni ed al perseguimento dei propri obiettivi, ma è davvero cosi? Le combinazioni di elementi sono infinite: la parte accompagnata da un giovane legale è più debole di quella accompagnata da un collega con più esperienza? Il responsabile commerciale di una azienda è in una condizione di maggior potere decisionale rispetto alla coppia di giovani clienti? Che cosa dire poi, ad esempio, delle diversità caratteriali? Una persona poco istruita ma scaltra e calcolatrice è più forte o più debole rispetto ad un’altra più istruita ma più ingenua? Una persona incapace di gestire la propria emotività è più debole rispetto ad una controparte più controllata e meno stressata? Si rende dunque necessario per il mediatore superare il confronto fra generici elementi formali (oggettivi e soggettivi) del contesto negoziale, per valutare invece l’autentico potere decisionale di ciascuna parte all’interno del conflitto, definendolo come la condizione nella quale una persona ha la possibilità di esercitare la massima autotutela. Personalmente valuto tale condizione considerando i seguenti elementi: consapevolezza, libertà e assertività.

– Consapevolezza, intesa come chiarezza dei propri valori, pensieri ed emozioni. Questo elemento permette di individuare i propri reali interessi al di là dei bisogni immediati e delle reazioni automatiche che portano spesso a prendere rigide posizioni “di principio”. L’allineamento con i propri valori è infatti altra cosa e poggia le proprie basi su una identità chiara e  definita la cui espressione mantiene sempre le qualità dell’integrità e della coerenza. Anche il rendersi conto dei cosiddetti “emotional drive”, ovvero dell’influenza che le emozioni hanno nel nostro processo decisionale, è importante al fine di una decisione non condizionata dal passato ma totalmente inquadrata nel presente.

– Libertà, intesa come possibilità e capacità di scegliere e di agire. Ovvero come la esistenza di più opzioni perseguibili rispetto alle quali non vi sono influenzamenti e condizionamenti esterni (dei cosiddetti “terzi decisori”)  ma che è possibile valutare in autonomia e senza la paura delle reazioni o dei giudizi altrui.

– Assertività, intesa come capacità di affermare le proprie convinzioni e di perseguire i propri interessi. Ciò dovrà comunque avvenire in modo ecologico nel riconoscimento del punto di vista e degli interessi altrui.

Come si può notare, elementi tipici delle strategie di negoziazione (come ad esempio la conoscenza della migliore e peggiore alternativa alla negoziazione, i riferimenti agli standard esterni, e gli altri fattori che normalmente sono considerati utili nel corso di una trattativa) assumono valore concreto solo a fronte della presenza dei tre aspetti precedenti. E’ importante dunque che il mediatore valuti attentamente la presenza di un reale gap di potere decisionale fra le parti e l’opportunità e la misura del proprio intervento per un suo riequilibrio, considerando che la propria preoccupazione e un eccessivo impegno in tal senso lo possono portare a perdere la neutralità e l’imparzialità, se non di fatto, quanto meno nella percezione dei presenti. Qualora ciò accadesse e vi fosse una reazione in una delle parti (che dallo squilibrio di potere decisionale avrebbe magari voluto trarre un vantaggio negoziale) sarà utile introdurre accanto al concetto di neutralità anche quello di diligenza (intesa come quell’insieme di azioni e di comportamenti coerenti con le regole e gli obiettivi del procedimento) in virtù della quale l’attenzione che il mediatore deve avere al processo di maturazione del consenso fra le parti per garantire un consenso condiviso e un accordo a prova di futuri ripensamenti riveste sicuramente un ruolo primario. Poiché la massima garanzia in tal senso è data, in ultimo, proprio dal fatto che le soluzioni concordate siano espressione autentica della volontà e del potere decisionale di entrambe le parti, possiamo affermare (con un facile assioma) che verificare il loro grado di consapevolezza e di libertà e aiutarle ad esprimere la propria assertività non possono in alcun modo essere considerati atti di deroga alla neutralità del mediatore, ma piuttosto espressione della sua professionalità.Concretamente, tali verifiche potranno essere condotte individualmente nei caucuses per quanto riguarda la elicitazione dei reali interessi di ciascuna parte, nella chiarezza dei suoi valori di riferimento, e per avere conferma della sua libertà decisionale, esplorando con domande aperte i suoi pensieri e le sue emozioni ed ascoltando attivamente la sua storia in quello che è l’equivalente dell’anamnesi per il medico. Nelle sessioni congiunte, si potrà invece facilitare l’espressione della assertività delle parti intervenendo nella loro dinamica comunicativa e relazionale, se necessario, con gli strumenti propri della mediazione quali domande chiuse, metafore, riassunti e parafrasi. In conclusione, possiamo affermare che là dove il mediatore farà proprio un simile approccio, rimarrà come plusvalore per le parti, rispetto all’esito del procedimento (qualunque esso sia) anche la loro aumentata capacità individuale di gestire le interazioni con le altre persone trasformandole da oppositive e distruttive a collaborative e costruttive. Ancora una conferma del valore della mediazione come strumento al servizio della pace sociale.

*Laureato in economia aziendale, consulente di direzione, dal 1999  ha integrato le competenze  economico-giuridiche con quelle di coaching e counseling  relazionale che trovano ora occasione di sintesi nella sua attività di mediatore professionista