Abbiamo già incontrato Khadija Lahmidi sulle pagine di Blogmediazione (l’ultima volta, in questo intervento). Con lei abbiamo imparato a conoscere il mondo della mediazione interculturale, strumento che acquisisce sempre maggiore importanza per la nostra società. L’abbiamo intervistata per conoscere più da vicino la sua esperienza personale.
Cosa ti ha spinto a diventare mediatrice interculturale?
Onestamente “sono dovuta diventare mediatrice” per rispondere a un’esigenza della cittadinanza e del territorio. In questi ultimi anni c’è stato un flusso massiccio di nuovi arrivi in Italia e la presenza di una figura che faciliti l’interazione, la collaborazione e la convivenza negli ambienti multiculturali, sia tra i cittadini di origini e culture varie che con le istituzioni pubbliche è diventata fondamentale.
Il mio vantaggio è stato quello di aver svolto un percorso simile alle persone che arrivano in Italia e si trovano a far fronte alla barriera linguistica e culturale. Arrivai in Italia con mia madre nel 2006 all’età di 7 anni. Mio padre era già qua ma non aveva una rete familiare e sociale di supporto. Perciò i miei genitori hanno dovuto affrontare le stesse difficoltà delle persone che oggi seguo come mediatrice. Questo rappresenta un vantaggio perché conosco le difficoltà che si affrontano e il supporto di cui si ha bisogno. Rimane sempre necessaria una valutazione particolarmente attenta, considerando tutti i fattori per ogni singolo caso.
Mi sento appagata al termine di ogni intervento, perché riesco a fare della mia pluriculturalità un lavoro. Inoltre, sapere di poter essere utile agli altri regala grandi soddisfazioni.
Qual è stato il tuo percorso formativo?
Ho seguito un corso di formazione per mediatori interculturali. Frequentando la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Ferrara, ho inoltre avuto l’opportunità di partecipare a corsi in materia di immigrazione che mi hanno permesso di avere gli strumenti necessari per la gestione di alcuni casi.
Sicuramente fra i miei obbiettivi in questo ambito c’è quello di arricchire e ampliare le mie competenze pratiche e teoriche auspicando. Tutto questo in attesa che possa essere adottata una normativa nazionale per tale figura.
Di cosa ti occupi, in modo specifico?
Collaboro con assistenti sociali e enti del territorio in ambito educativo e sociale per un buon inserimento e un’effettiva integrazione dello studente straniero. In particolare intervengo nella fase di prima accoglienza dello studente, nella relazione tra scuola e famiglia e nella realizzazione di interventi e progetti educativi e interculturali. Assieme alle reti del territorio mi occupo dell’organizzazione di eventi per favorire l’inclusione.
Che tipo di criticità si incontrano nel tuo lavoro?
Non è una criticità, ma sicuramente una parte non semplice, è il primo approccio che si ha con la parte fruitrice del servizio, e quindi l’instaurazione di un rapporto di fiducia.
Il lavoro del mediatore coinvolge, quasi sempre, diversi professionisti e richiede, quindi, un lavoro interprofessionale. Una scarsa collaborazione può non portare agli obbiettivi prefissati.
Un’altra criticità è rappresentata dalla gestione delle emozioni e dal coinvolgimento personale. Spesso si presentano situazioni molto delicate e mantenere una posizione senza far trasparire le proprie emozioni non è sempre semplice.
Raccontaci un caso di cui ti sei occupata che ti ha dato particolare soddisfazione
Ci sono casi che richiedono un solo intervento e altri che invece necessitano di una continuità. Questo accade spesso quando il caso in oggetto riguarda una situazione che, oltre alla barriera culturale e linguistica, presenta altre criticità e necessità di un intervento interprofessionale.
Un caso che mi ha coinvolta particolarmente e messo a nudo le criticità che si possono affrontare in questo ambito ma che ha regalato grandi soddisfazioni, riguarda un nucleo famigliare con all’interno due persone ipovedenti, che per diversi anni non hanno avuto alcun supporto. Dopo un intenso e importante lavoro di equipe si è riusciti a farle andare a scuola, ad affrontare e accettare la propria condizione e a vivere la quotidianità seppur con i suoi ostacoli ma con il giusto supporto.
Quali sono i punti in comune tra la mediazione interculturale e quella civile e commerciale?
Come nella mediazione civile e commerciale, nella mediazione interculturale i veri protagonisti del colloquio/mediazione sono le parti, l’operatore/mediatore ha un ruolo di terzo facilitatore della comunicazione. Punto fondamentale è l’imparzialità, entrambe le figure hanno il dovere di mantenersi estranei a interessi di parte e di valutare le cose con obiettività senza esprimere giudizi o pareri personali.
Bisogna essere neutrali senza prendere posizione in favore dell’ente o del soggetto coinvolto. Un altro aspetto in comune è la riservatezza interna e esterna: le informazioni ricevute dalle parti non devono essere divulgate all’esterno.
Insomma, ci sono diversi aspetti comuni e, pur operando in ambiti differenti, le due mediazioni si muovono secondo la logica di supportare le persone nel cercare di trovare soluzioni e cambiamenti non sempre semplici.