La negoziazione in mediazione: strategie e linea del negoziato

Le spinte motivazionali, le strategie negoziali, la linea del negoziato: secondo appuntamento con Silvia Pinto

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Bentornata Avvocata Pinto al secondo incontro della nostra conversazione in materia di negoziazione. Nella breve intervista che segue tenteremo di identificare le diverse identità negoziali che il mediatore potrebbe incontrare al tavolo della mediazione e di come può intervenire per potenziare le capacità negoziali delle parti.

Innanzitutto: cosa sono le spinte motivazionali e in quali strategie negoziali si sostanziano?

Le spinte motivazionali e le strategie negoziali che da esse scaturiscono sono un utile strumento che consente al mediatore di inquadrare, in termini negoziali, gli atteggiamenti e le modalità comunicative dei propri interlocutori.
Le spinte motivazionali fondamentali sono raggruppabili in due tipologie:
1) nella prima tipologia si raccolgono quelle condotte dell’agente che sono volte ad ottenere il proprio, più elevato rendimento personale;
2) nella seconda si sostanziano quei comportamenti dell’agente che consentono all’altra parte di massimizzare i suoi rendimenti.
La combinazione di queste due spinte motivazionali determina le strategie negoziali.
Con il termine di strategia negoziale si intende definire l’atteggiamento insito nel singolo negoziatore, in uno specifico tavolo negoziale, senza con ciò esprimere alcun giudizio di valore sulla sua condotta o sulla sua persona.
Questa precisazione rende in modo plastico il concetto di imparzialità del mediatore.

Le cinque strategie negoziali.
Si individuano cinque strategie negoziali, a seconda di come le due spinte motivazionali si combinano tra loro nel medesimo soggetto.
1) Nella strategia della contesa o competitiva prevale l’interesse alla massimizzazione del proprio rendimento.
2) Nella strategia della concessione o tollerante prevale l’interesse alla massimizzazione del rendimento dell’altro.
3) Nella strategia dell’inazione o evitante entrambe le spinte motivazionali sono basse. Si percepisce la propria concessione all’altro come un costo troppo elevato, rispetto a quello rappresentato dall’abbandono del tavolo negoziale.
4) Nella strategia compromissoria entrambe le spinte motivazionali sono presenti, ma in modo modesto.
5) Nella strategia integrativa, collaborativa o di problem-solving entrambe le spinte motivazionali concorrono in modo elevato.
Il negoziatore integrativo agisce per far percepire come la propria concessione sia volta a realizzare il rendimento dell’altro.
Il mediatore agisce per potenziare le capacità negoziali delle parti e mira a che esse realizzino, in modo compiuto, un approccio negoziale integrativo.
Egli fornisce alle parti questa opportunità, ma rispetta le diverse strategie che eventualmente esse mettono in campo.

La linea del negoziato e i punti negoziali.
Avvocato Pinto, cosa si intende quando si parla di linea del negoziato e di punti negoziali?

Un altro elemento di conoscenza utile al mediatore è dato dai cosiddetti punti negoziali che presiedono ad ogni tavolo negoziale.
Essi sono: il punto di apertura, quello che la parte dichiara di volere all’inizio della trattativa; l’obiettivo, ciò che la parte realmente vuole; il punto di rottura, il valore al di sotto del quale è più conveniente per la parte abbandonare il negoziato.
Quando tra i punti di rottura dei negoziatori c’è una distanza positiva, entro quell’ambito si determina lo spazio di trattativa ed è possibile raggiungere un accordo. E’ la cosiddetta z.o.p.a., zone of possible agreement.
L’attività del mediatore è volta a comprendere se e come le parti abbiano determinato questi punti chiave del negoziato. Il suo punto di osservazione, caratterizzato per terzietà e neutralità, può rappresentare un sorprendente stimolo, affinchè le parti rielaborino i propri punti negoziali, alla luce delle informazioni che vengono scambiate in mediazione.
Infine, nel processo di mediazione risulta molto importante la verifica delle alternative: m.a.a.n. (migliore alternativa all’accordo negoziato) o b.a.t.n.a. (best alternative to the negotiated agreement) e p.a.a.n. (peggiore alternativa all’accordo negoziato) o w.a.t.n.a. (worst alternative to the negotiated agreeement).
Si tratta di esaminare con ciascuna delle parti come esse potranno soddisfare i loro interessi, nell’ipotesi in cui non trovino un accordo. Cosa accadrà? In quanto tempo? Con quali possibili e prevedibili conseguenze? Quali di esse sono reputate vantaggiose e quali meno? Quali variabili può incontrare la prospettiva che si assume?
Se per una parte l’alternativa al negoziato in corso è migliore, sarà giustificabile il suo abbandono del negoziato; a meno che l’altro negoziatore non cambi la sua offerta negoziale, in modo che la parte percepisca proprio nell’accordo una migliore utilità.
Se per una parte l’alternativa al negoziato in corso è peggiore, sarà opportuno che negozi eventualmente modificando o ridimensionando le sue iniziali aspettative, perchè l’accordo costituirà pur sempre una migliore utilità, rispetto al mancato accordo.

In conclusione.
Dalla verifica dei punti negoziali al test di realtà, nel rispetto del profilo negoziale di ciascuno, il mediatore conduce quindi le parti a integrare elementi nuovi nella propria visione e al contempo ad abbandonare certezze poco realistiche, predisponendo così un tavolo negoziale diverso e più ampio rispetto a quello di partenza. Si tratta di un percorso talvolta accidentato e disseminato di trappole cognitive. Di come identificarle e di come poterle superare parleremo compiutamente nel terzo e ultimo appuntamento con Silvia Pinto.

Leggi l’intervista precedente

Valeria Lovato