La dimensione ambientale della food law

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di Nicolò Cermenati

Quando si parla di ambiente, le immagini che la nostra mente rievoca con maggiore facilità sono, generalmente, legate alla natura, all’inquinamento, ai rifiuti, ai cambiamenti climatici, alle opere di bonifica e, in casi più rari, all’urbanistica e ai vincoli paesaggistici.
Difficilmente, però, viene considerato il legame che l’ambiente intreccia con la materia alimentare, anche se ad un’accorta riflessione è di tutta evidenza come tra le due intercorra un’inevitabile, quanto inscindibile, relazione.
Se ci soffermassimo ad un livello superficiale, tale relazione risulterebbe evidente in considerazione dei concetti di sviluppo sostenibile, food security, food safety e di biodiversità.
Osservati singolarmente:
di contenuto notorio è la definizione di sviluppo sostenibile:  “sostenibile è lo sviluppo in grado di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni” (Rapporto Brundtland 1987 sviluppato dalla Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo).
Un po’ meno conosciuti, forse, i due inglesismi consacrati durante l’Expo 2015. Semplificando al limite del banale, per food security si può intende la disponibilità concreta, in quantità sufficiente, di cibo e scorte alimentari e la possibilità per tutti di accedervi per una vita sana e attiva; mentre il vocabolo food safety viene utilizzato per indicare la salute igienico-sanitaria di alimenti e di mangimi.
Infine, il termine biodiversità viene, qui, utilizzato nel senso di coesistenza, in uno stesso ecosistema, di diverse specie (animali o vegetali) che crea, grazie alle reciproche interazioni, un equilibrio.
Già da queste brevi e per nulla esaustive premesse dovrebbe essere chiaro che le due discipline comunichino attraverso lo stesso linguaggio.

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Ma, scavando più in profondità tra i termini e spostando il piano di analisi a livello giuridico, si può osservare come entrambi i diritti (ambientale in primis ed alimentare poi) siano figli di processi di attrazione e polarizzazione di norme (spesso di origine europea) che appartengono ad una pluralità eterogenea di discipline: diritto civile, diritto amministrativo, diritto costituzionale e diritto penale.

L’interesse ambientale, emerso ormai da tempo e cristallizzatosi in un’autonoma materia (d.lgs 152/2006), interagisce e interferisce così con altri interessi, in procedimenti che disciplinano questioni variegate, senza che sia in grado di assorbirne (quantomeno non completamente) la sostanza, che continua a mantenere un’autonoma configurazione.
Tra le tante, forse, la materia più marcata è proprio quella alimentare, in considerazione del fatto che entrambe regolano il rapporto tra uomo, natura e le loro reciproche e individuali trasformazioni.

Come sottolineato, sarebbe incorretto ritenere che la soddisfazione di questi due interessi (ambientale ed alimentare) collimi pacificamente e che non sia necessaria alcuna distinzione tra le discipline in analisi.
Come sottolineato da Giampaolo Rossi (G. Rossi, Diritto dell’ambiente e diritto dell’alimentazione, Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente n. 1/2015, pp. 3-14), le interazioni tra le due materie disegnano tra loro tre assi differenti: quello conflittuale, quello di contemperamento e quello di sinergia.

Nello specifico:
l’asse conflittuale è di agevole comprensione se si tengono presenti fattori come:
– l’aumento del consumo alimentare causato dall’aumento della popolazione e alla disuguale distribuzione del cibo fra le varie popolazioni. Basti pensare al bene acqua per intuire come un simile aumento del consumo alimentare incrementa le criticità per la tutela dell’ambiente. Sul punto potrebbe essere interessante spendere una riflessione sulle cosiddette water wars;
– la trasformazione dei metodi di produzione, per esempio, nell’utilizzo ormai sempre più frequente della chimica, sia nella protezione dell’alimento che nella sua creazione.

L’asse di contemperamento emerge, invece, quando le attività produttive rispondono al citato principio di sostenibilità ambientale. In questo senso sviluppo e tutela dell’ambiente devono essere bilanciati in maniera tale che l’unico limite configurabile allo sviluppo derivi proprio dalla necessità di tutelare l’ambiente.

Si profila, infine, un asse sinergico quando gli strumenti di tutela dell’alimentazione costituiscono essi stessi uno strumento di cura per l’ambiente. Agiscono in questo senso le azioni che siano volte ad impedire, ad esempio, il degrado del terreno, ad ottimizzare il consumo, a favorire il recupero idrico e a salvaguardare la biodiversità.

Sulla scorta di queste considerazioni, è evidente come le commistioni tra le due discipline giuridiche siano tali che difficilmente gli influssi (anche legislativi) esercitati sull’una possano escludere ripercussioni sull’altra materia.

Ma qualora queste premesse “teoretiche” non fossero ancora sufficientemente persuasive, occorrerà argomentare ulteriormente scomodando il dato normativo.

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Punto di partenza sarà l’art. 5 comma 1, lett c) del d.lgs 152/2006 (cosiddetto Codice dell’Ambiente) dove è contenuta la seguente definizione: “ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici”.
Come sottolineato da Massimo Monteduro (M. Monteduro, Diritto dell’ambiente e diversità alimentare, Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente n. 1/2015, pp. 88-131) questa scelta di parole fornisce una serie di indicazioni significative, prima tra tutte il fatto che “l’ambiente in senso giuridico non coincide totalmente (ed unicamente n.d.a.) con l’ambiente in senso ecologico, in quanto è più ampio, ricomprendendo il secondo ma senza esaurirsi in esso”.
Da ciò l’autore fa discendere la conseguenza che l’ambiente in senso giuridico comprende in sé l’ambiente in senso sociale, cioè l’ambiente umano, in virtù del fatto che la norma parla di fattori antropici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici.
In tali termini, l’ambiente in senso giuridico rappresenterebbe il sistema di relazioni tra fattori ecologici e sociali, facendone discendere la naturale conseguenza che il diritto ambientale dovrebbe occuparsi dell’ambiente nella sua più ampia accezione di sistema, comprendendo anche istanze tipiche di quello che, ad oggi, viene definito diritto agro-alimentare (food law).
Infatti: “Si interessa non in quanto “fattore” singolarmente considerato, bensì nei limiti in cui essa condiziona il “sistema di relazioni” rappresentato dall’ambiente in senso giuridico. Il cibo rileva nella sua dimensione di “legante” che correla la vita alla scala individuale, alla scala sociale e  alla scala ecologica”.
Anche il dato normativo, dunque, torna a confortare una definizione di ambiente nel suo senso più dinamico e trasversale, in quanto sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: la conservazione dell’ambiente e il suo utilizzo.

Assumere un simile punto di partenza consente, come suggerito da Monteduro, di evitare i rischi di una prospettiva imperialista secondo la quale il diritto dell’ambiente pretende di assimilare tutti i settori nei quali è chiamato in causa. E in questo modo supera la rigorosa logica on/off (del tutto o niente) secondo la quale un oggetto o è “dentro” il diritto ambientale o né è “fuori”.

Lo scopo del diritto ambientale, individuato da Monteduro, sarebbe, dunque, quello: “presidiare, a tutte le scale territoriali, la durabilità delle condizioni indispensabili per la sopravvivenza dei sistemi socio-ecologici”.

In che modo si possa, poi, concretamente lavorare e individuare quale sia il confine tra l’una materia e l’altra, ancora non è ben chiaro.

Quel che è certo è che, in virtù dell’eredità lasciata dall’Expo 2015, occorrerà raccogliere la sfida per una disciplina settoriale dell’alimentazione che operi in stretta correlazione e il più possibile sinergicamente con l’ambiente.
Sviluppare il settore del food law, che merita la stessa accortezza e le stesse considerazioni a suo tempo svolte per la materia ambientale, significa accogliere al suo interno istanze di disciplina che abbiano a che fare con la specificità e la peculiarità della materia.
In parole povere pensare già da ora di assimilare al suo interno strumenti utili e buone pratiche quali gli strumenti di ADR,  la mediazione e la facilitazione che sono in fase di studio e consolidamento all’interno della materia ambientale.

Non si può non segnalare, infine, come alcune, pregevoli, sperimentazioni in questo settore abbiano gettato qualche seme interessante. Il campo da arare, tuttavia, resta ancora molto vasto.