A proposito della flessibilità dello strumento della mediazione

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macellazione ritualedi Stefania Lattuille*

In occasione di EXPO MILANO 2015, il Dipartimento di Scienze Giuridiche “C. Beccaria”- Sezione Diritto Ecclesiastico e Canonico dell’Università Statale di Milano ha organizzato il 17 settembre un convegno dal titolo “Nutrire l’anima. Cibo, diritto e religione”, nell’ambito del quale è stato presentato il documento conclusivo del laboratorio di confronto, da me facilitato, tra i rappresentanti delle comunità religiose interessate alla pratica della macellazione rituale e il Garante per la tutela degli animali del Comune di Milano.
L’obiettivo del laboratorio era quello di intraprendere un percorso di conoscenza e comprensione reciproca al fine di far emergere una via comune che contemperasse quanto più possibile le regole della macellazione rituale della religione ebraica e musulmana con la tutela del benessere animale, in considerazione dei due diversi interessi in gioco: da un lato, il diritto di libertà religiosa, che comprende il diritto di manifestare la propria religione anche attraverso il rispetto delle regole alimentari prescritte; dall’altro, la promozione del benessere e della tutela degli animali, ai quali, ai sensi della normativa comunitaria, deve essere risparmiata ogni sofferenza evitabile.
Con riferimento alla terminologia utilizzata, dal momento che tra i rappresentanti coinvolti nello spazio di confronto non vi era alcun conflitto in atto, si è deciso di non presentare il tavolo quale ‘mediazione’, ma come, appunto, laboratorio di confronto facilitato.
I compiti del facilitatore di un laboratorio di confronto sono peraltro analoghi a quelli del mediatore, consistendo nell’operare in modo che gli interventi vengano vissuti come contributi all’ampliamento delle conoscenze e non come posizioni su cui schierarsi; nell’accompagnare il dialogo tra i partecipanti in modo che ognuno sia davvero ascoltato e che le indicazioni e le preoccupazioni di tutti abbiano trovato risposta; nel valorizzare la molteplicità dei punti di vista e nel trasformare le divergenze in risorse conoscitive per arrivare quindi, se possibile, a delle conclusioni condivise.
L’esito del tutto positivo del laboratorio -come emerge dallo stesso documento conclusivo- è l’ennesima dimostrazione del fatto che l’idea comune della mediazione come compromesso, come soluzione a metà frutto di reciproche concessioni, è del tutto inadatta a rappresentare quello che avviene nella realtà.
In questi setting, grazie all’applicazione di apposite metodologie, i soggetti che hanno posizioni diverse trasformano queste divergenze in risorsa, diventando loro stessi una ‘comunità indagante’, fanno emergere la cd. intelligenza collettiva ed arrivano ad elaborare un quadro di valori condivisi così ampio da rendere inoffensive le aree di disaccordo, che certo permangono e sono affrontate, ma in un clima di collaborazione e fiducia reciproca.
Anzi, la mediazione/il confronto creativo, quando sono in gioco di-versi modi di vedere su valori fondamentali, richiedono che sia chiaro sin dall’inizio che l’obiettivo non è affatto un compromesso fra questi valori.
Nel corso dei quattro incontri tenutisi nell’ambito del suddetto laboratorio, così operando, ciascuno dei partecipanti è intervenuto dando il suo contributo sia come componente del gruppo che come protagonista individuale ed è stato possibile trovare, nel permanere della divergenza, valori ed interessi comuni e quindi anche conclusioni ed auspici condivisi e trasversali.
Se l’obiettivo del convegno era quindi quello di “individuare le migliori strategie per garantire la diversità culturale e la libertà religiosa all’interno della società italiana”, si è quindi rivelata vincente la scelta di applicare al tavolo, chiamato a confrontarsi su un tema così ‘sensibile’, una metodologia congrua con l’obiettivo prefissato.

* avvocato, mediatore, facilitatore, in Milano