La voce

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Foto di Jason Rosewell su Unsplash

A cura di Corrado Mora International Mediator, Trainer, ADR Consultant, CEDR and CIArb Accredited Mediator, FCIArb

Definizione in un minuto: Cos’è la voce?

La voce è uno strumento fondamentale nella mediazione, poiché veicola non solo parole, ma anche emozioni, intenzioni e significati profondi. Il tono, il ritmo e il volume con cui ci esprimiamo possono influenzare significativamente l’andamento di una mediazione, facilitando la comprensione reciproca o, al contrario, generando incomprensioni. La voce non è, poi, solo un mezzo per comunicare; è uno strumento potente per influenzare emozioni, trasmettere empatia e guidare il dialogo.

Tramite la voce, il mediatore crea un rapporto con le parti, e le fa sentire protette: un mediatore consapevole utilizza un tono neutrale ma accogliente, che permette alle parti di sentirsi ascoltate senza giudizio. Oppure, con la voce il mediatore “riscalda” le sessioni -specialmente quelle private, più confidenziali e legate all’esplorazione di elementi personali e delicati- rendendole più confortevoli, intime.

Inoltre, con la voce il mediatore comprende le dinamiche tra le parti, i picchi e le tridimensionalità del loro conflitto, i loro criteri di importanza, ciò che fa scalare la loro emotività, ciò che può nascondere necessità più emotive, di riconoscimenti o comprensioni profonde di dinamiche relazionali in crisi.

Mediazione e Voce: l’arte di modulare le parole

In mediazione, l’uso consapevole della voce è essenziale per creare un ambiente di fiducia e apertura. Un tono pacato e rassicurante può calmare tensioni, mentre una modulazione adeguata può enfatizzare empatia e comprensione. Il mediatore, in particolare, deve essere abile nel modulare la propria voce per guidare le parti verso un dialogo costruttivo, evitando inflessioni che possano essere percepite come giudicanti o parziali. Un tono fermo ma gentile è utile per ripristinare l’ordine in una discussione accesa, mentre un tono più morbido e pacato può favorire la condivisione di emozioni personali. Le pause, in particolare, sono strumenti potenti: un silenzio ben posizionato può dare spazio alle parti per elaborare ciò che è stato detto e incoraggiarle a rispondere con maggiore consapevolezza.

Storie di Mediazione: i “Suoni delle Mediazioni”

E’ interessante riflettere sul fatto che, ricordando la componente vocale e sonora (i “Suoni delle Mediazioni”, quasi un festival musicale!) di numerosissime mediazioni, le “sinfonie” suonate al tavolo dalle parti si possano ricondurre ad una serie quasi archetipica di movimenti.

“Allegro” delle sessioni congiunte iniziali: voci cariche di frustrazione e risentimento, i toni sono alti, le parole si sovrappongono in interruzioni frequenti e la comunicazione appare caotica, ogni suono sembra dissonante. Questo è il primo movimento della “sinfonia” della mediazione, caratterizzato dalla tensione e dall’assenza di armonia.

Poi, l’”Adagio”, le sessioni private, l’ascolto, l’esplorazione, la miglior comprensione: ed un graduale cambiamento nel modo di comunicare. Le voci iniziano a farsi più serene, il ritmo si regolarizza e le pause diventano momenti di riflessione anziché spazi di conflitto.

Quindi, il “Minuetto”, la condivisione di quanto è emerso, delle priorità negoziali, delle risorse, dei riconoscimenti: il volume si modula su un registro equilibrato (certo, non proprio ogni volta…), le parole si alternano in modo più ordinato, e le emozioni trovano una forma espressiva che favorisce la risoluzione condivisa del conflitto.

Fino al “Finale”, di una decisione consapevole delle parti per ciò che, per loro, può rappresentare la soluzione più soddisfacente della controversia.

Storie di mediazione: mi ricordo quella volta in cui …

Mi ricordo quella volta in cui un’eredità familiare divenne il fulcro di un conflitto tra fratelli e sorelle. Si trattava di una “famiglia bene”, con un livello culturale elevato, ingenti disponibilità economiche e un apparente equilibrio sociale. Tuttavia, il dissidio affondava le sue radici in un passato lontano, nei legami intricati e nei nodi irrisolti della loro infanzia.

L’attivante era il fratello maggiore, un uomo abituato a prendersi responsabilità. La sua voce, all’inizio, era poco più di un brontolio, quasi un mugugno sommesso che tradiva una rabbia trattenuta e una profonda frustrazione. Parlando con i fratelli, evitava di alzare lo sguardo, e le sue parole sembravano appesantite da anni di incomprensioni mai espresse.

Man mano che la mediazione proseguiva, emerse una verità toccante. Durante l’infanzia, quando i genitori erano spesso lontani, era stato lui a occuparsi della sorella più piccola e a gestire, di fatto, una sorta di ruolo genitoriale. Quell’impegno, vissuto in silenzio e mai riconosciuto, aveva lasciato in lui una necessità profonda: sentirsi apprezzato per quanto fatto.

Guidato, supportato e reso protagonista dalla mediazione, il fratello maggiore iniziò a trovare le parole per esprimere quei sentimenti rimasti inespressi per decenni. La sua voce, inizialmente cupa e insicura, divenne via via più stabile e chiara. Parlando della fatica e della solitudine di quegli anni, il tono si addolciva, come se ogni parola lo liberasse da un peso.

Verso la fine del percorso, accadde qualcosa di straordinario. Dopo che gli altri fratelli e sorelle riconobbero apertamente il suo ruolo e il suo sacrificio, la voce del fratello maggiore si trasformò. Divenne brillante, sollevata, quasi gioiosa. Quel riconoscimento non solo gli restituì dignità, ma aprì la strada a una gestione più serena e collaborativa del conflitto.

Alla fine, la famiglia riuscì a trovare un accordo equo per la divisione dell’eredità. Ma, più di ogni altra cosa, ritrovò una sintonia perduta, una melodia familiare che sembrava ormai irrecuperabile. Questa esperienza mi ha insegnato quanto sia importante dare spazio alla voce, non solo come strumento di dialogo, ma come mezzo per guarire ferite antiche e creare nuove connessioni.

Se la voce fosse l’eroe principale di un cartone animato, quale sarebbe lo speciale superpotere che gli consente di risolvere il conflitto?

Se la voce fosse l’eroe di un cartone animato, il suo superpotere sarebbe la capacità di esprimere ed armonizzare.
Con un potentissimo fascio di luce svela le urgenze emotive più impellenti, le radici di un conflitto, i veri bisogni.
Con una bacchetta (da direttore d’orchestra) magica, unisce punti di vista divergenti, creando un terreno comune dove le parti si sentono ascoltate e comprese. Crea ambienti intimi e protetti per permettere alle parti di riflettere, elaborare, esplorare, costruire soluzioni. Tornare ad essere problem solver e creativi, come erano -imprenditori, professionisti, fratelli e sorelle, …- prima che il conflitto li privasse delle loro capacità.