A fine settembre si è tenuta la settima edizione della MAV – Mediazione a Verona – e, cari mediatori, se dopo 7 edizioni ancora non avete capito quanto faccia bene esserci, non so proprio cosa fare con voi, né sono sicura di volervi rivolgere ancora la parola.
Alla MAV i ragazzi universitari che si iscrivono si cimentano come mediatori davanti a due veri mediatori che per l’occasione vestono i panni delle parti in conflitto.
Ogni anno questa manifestazione ci riserva belle sorprese, prima fra tutte l’incontro con aspiranti mediatori ben preparati e portati per questa professione. Altrettanto interessante è l’esperienza che ciascun mediatore fa calandosi nel ruolo di parte confliggente e affidandosi all’aspirante professionista per uscire dal conflitto. È un’esperienza piuttosto simile a quella reale: le emozioni scaturiscono da ciò che avviene durante il role playing e generano reazioni appena più blande di quelle messe in atto dalle parti nei casi veri.
Le tracce fornite sono essenziali, attengono prevalentemente alla natura della controversia e lasciano ampio spazio di improvvisazione alle parti. I candidati mediatori sono totalmente all’oscuro delle tracce, apprendono tutto in diretta e questo aspetto consente alle parti/mediatori esperti di sperimentare specifiche dinamiche conflittuali di volta in volta diverse, considerando che le parti/mediatori esperti si cimentano con la stessa traccia tre volte consecutive.
Vi faccio un esempio, quello dal titolo “Affitto a tempo”.
La traccia: Tizio/a ha affittato un bilocale a Samir/Paulina con contratto transitorio. Alla scadenza, lui non ha lasciato l’alloggio. Lui/lei vuole rientrarne in possesso per la nipote; lui/lei chiede più tempo.
Due dei tre diversi svolgimenti in cui ero coinvolta hanno visto:
1. La locatrice si è accorta che il conduttore, che si era presentato come non credente, sta frequentando la moschea e ospita spesso persone nell’appartamento anche se il contratto non lo consente (componente razzista importante);
2. La conduttrice, una ragazza brasiliana, ha saputo che non le rinnoveranno il contratto di lavoro a tempo determinato e teme di perdere il permesso di soggiorno. Il mancato rinnovo del contratto di locazione la getta nella disperazione e chiede all’anziano locatore di assumerla come colf. Può lasciare l’appartamento e trasferirsi nella stanza di servizio del grande appartamento del locatore. Il figlio maggiore del locatore si oppone (pressione familiare del locatore, vulnerabilità e forze negoziali ingannevoli).
Ciascun candidato assegnato al gruppo di cui facevo parte ha gestito un conflitto sostanzialmente diverso da quello degli altri, pur riconducibile a posizioni iniziali identiche. Era diverso per la trama sottostante tessuta ed era diverso perché interpretato in quel preciso momento e da quelle persone in quel determinato ruolo. Era diverso perché il mediatore cambiava.
C’è un tema a me molto caro che riguarda la specificità, anzi la singolarità – intesa come eccezionalità e unicità – di ogni mediazione. Un incontro di mediazione si svolge in quel particolare modo per effetto della combinazione di molti elementi tra cui: il tipo di conflitto, il suo stato di avanzamento – anzianità e modalità di interazione tra le parti dalla sua nascita ad oggi – lo stato d’animo delle parti in quel momento, la collocazione del conflitto da parte di ciascuno sulla propria scala di priorità, il lavoro del mediatore.
Il lavoro del mediatore, a sua volta, dipende dal suo carattere, dal suo temperamento, dalla sua preparazione, dalle sue capacità, dal suo stato d’animo in quel momento, per dirne solo alcune.
Le variabili sono così tante che anche solo la diversa fascia oraria della giornata in cui è fissata la mediazione può determinarne la singolarità, l’irripetibilità.
Le persone coinvolte nella mediazione – mediatore, parti, avvocati e accompagnatori – con l’insieme delle variabili che si portano appresso, generano un “sistema” che è qualcosa di più e di diverso dalla somma delle sue parti e ha a che fare con le relazioni tra i suoi membri; le relazioni stesse e le azioni di ciascuno sono fortemente e reciprocamente influenzate. Il sistema ha una sua dinamicità, muta in conseguenza alle interazioni tra i suoi componenti. In questa affermazione troviamo il potere del mediatore, quale componente attiva del sistema.
È sbagliato, infatti, collocare il mediatore al di fuori del conflitto che coinvolge le parti: l’essere terzo imparziale non lo tiene ai margini di quanto sta accadendo. È la sua azione di facilitatore che può portare le relazioni ammalorate tra le parti a mutare, è il suo farsi canale di comunicazione sgombro e neutrale a consentire il fluire di informazioni, è il suo essere garante di una procedura imparziale che apre all’ascolto dell’altro.
La sfida più difficile per il mediatore è trovare la misura della sua azione per non strafare ma neanche per restare come un mero osservatore della vita degli altri.
Io e la mediazione tra non molto festeggeremo le nozze d’argento e ci conosciamo piuttosto bene. I casi della vita mi hanno portato in passato a ricorrere ad essa per alcuni conflitti importanti personali ma, soprattutto, negli ultimi anni rappresento con una certa frequenza in mediazione delle aziende alle quali ho fatto inserire nei contratti le clausole di mediazione.
Non solo conosco questa procedura da più punti di vista, ma ho anche incontrato un certo numero di mediatori e di organismi di mediazioni che in qualche caso mi hanno fatto toccare con mano limiti e incompetenze.
L’essere parte acuisce la sensibilità rispetto agli atteggiamenti degli interlocutori e quando il mediatore non risponde ai canoni che norma e prassi richiedono, si prova una sorta di tradimento.
La perdita dell’imparzialità, soprattutto, genera, prima ancora della rabbia, lo sconforto e un senso di isolamento rispetto alle altre persone al tavolo; è il sistema che mette ai margini un suo componente. Con mio grande stupore ho toccato con mano l’inattesa frequenza con cui questa situazione si verifica e la totale inconsapevolezza dei mediatori in queste circostanze.
L’imparzialità per le prime generazioni di mediatori è stato e continua ad essere un totem inviolabile. Per altri, se ne deduce, è più che altro un concetto astratto che pare non li riguardi.
Eppure.
Eppure la conclusione di quelle mediazioni può essere una conciliazione, a riprova che la volontà delle parti di trovare un accordo supera gli inciampi e a volte l’incompetenza dei mediatori, che un accordo chiuso non è la chiusura di una mediazione ben fatta. Ma questo è un altro tema che merita un suo spazio.
Confesso che quando sono vittima della parzialità del mediatore mi piacerebbe poter reagire emotivamente e senza filtri, invece devo mediare tra me e me, tra il mio essere mediatore e il portare avanti gli interessi della parte che rappresento. È frustrante ma subentra subito un pensiero compensativo che stabilizza il mio umore: per un mediatore c’è qualcosa di peggio che trovarsi nella situazione che vi ho descritto ed è avere me come parte.
Carola Colombo