Mediazione internazionale: vantaggi, sfide e casi pratici raccontati da Corrado Mora

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Tra gli esperti del settore sono sempre più noti i vantaggi della gestione di una controversia internazionale e complessa con lo strumento della mediazione: semplificazione del procedimento, riduzione dei costi, rapidità ed efficacia nel raggiungimento dell’accordo, comunicazione aperta e costruttiva tra le parti che aiuta a preservare le relazioni a lungo termine. Tuttavia la mediazione internazionale può anche incontrare sfide significative.

Corrado Mora, mediatore internazionale di lungo corso, nell’intervista che segue, attingendo alla propria esperienza, ci aiuta a mettere a fuoco i benefici e le sfide della mediazione internazionale.

Quali aspetti rendono la mediazione internazionale una scelta strategica vincente per la risoluzione di una controversia?

E’ necessario premettere che, al pari di quella nazionale, anche nell’ambito della mediazione internazionale gli aspetti davvero vincenti sono legati all’efficacia del lavoro che le parti possono compiere con l’aiuto del mediatore, e così all’unicità dei risultati che possono ottenere per risolvere la loro disputa.
Ciò detto, sicuramente può essere una scelta vincente anche perché la mediazione internazionale permette di evitare gli aspetti formali, procedurali e di rito che potrebbero, anche in casi non necessariamente complessi, creare ostacoli corposi e pericolosi in sede giurisdizionale ordinaria o arbitrale. L’esperienza più notevole in questo senso l’ho avuta gestendo una mediazione internazionale tra la branch italiana di una società di assicurazioni, i proprietari immobiliari maltesi di un immobile che manifestava diverse problematiche alla facciata, le società (soprattutto italiane e tedesche) che avevano contribuito alla costruzione delle vetrate e degli infissi, ed una società internazionale di certificazione di qualità: più volte, in relazione a molti aspetti più strettamente giuridici (come foro competente, onere della prova, decadenze e legge competente), le parti stesse ammisero l’esistenza di serie problematiche nel caso in cui la vicenda non fosse stata coltivata in mediazione. La mediazione internazionale permise – e permette in tutti questi casi – di focalizzarsi sulla sostanza e concentrarsi sulla risoluzione del problema.

Accanto agli aspetti formali, ci sono anche aspetti sostanziali che rendono appetibile la mediazione internazionale?

Come accennavo prima, sicuramente è il piano sostanziale la vera punta di diamante della mediazione internazionale. In particolare, la possibilità che essa e la collaborazione di un mediatore offrono alle parti di comprendere pienamente le ragioni più profonde della controversia, condividere importanti informazioni nella più totale riservatezza, creare le basi per riconoscimenti reciproci tangibili o relazionali, negoziare meno pericolosamente nella gestione della loro controversia, assecondando specifiche esigenze personali o imprenditoriali che possono portare a una soluzione molto soddisfacente del problema e alla possibilità di riattivare il rapporto.
Questo il primo, grande beneficio: ammetto, non solo della mediazione internazionale, ma della mediazione in generale. Più specifico, invece, della mediazione internazionale è l’effetto di comfort che essa procura alle parti ed ai loro avvocati, che possono “sentirsi a casa” ovunque essa venga svolta: ciò a differenza del possibile spiazzamento che può far comprensibilmente provare, partecipando a procedure giudiziali o arbitrali, laddove non solo possono cambiare, e molto, gli aspetti più rituali (e di questo si è già parlato prima), ma anche altro, come i costi e la durata, il sottobosco delle prassi forensi o giudiziarie locali, ed in generale l’affidabilità e la credibilità verso un sistema che conferisce la decisione nelle mani di un soggetto, parte di un universo molto meno familiare. Ovunque una mediazione internazionale abbia sede, invece, del tutto simili a quanto già sperimentato a livello nazionale, e quindi assolutamente familiari, saranno i “movimenti” che la procedura manifesterà ai partecipanti, tra sessioni congiunte e private, e i contributi che un mediatore preparato apporterà al dialogo, permettendo alle parti di sentirsi protette, profondamente ascoltate, fortemente aiutate a superare asperità negoziali oggettive, attraversare intensi momenti emotivi, comprendere differenze -anche culturali- implicite e prepotenti, e stimolate a rendersi parte importante della costruzione di una vera ed efficace soluzione.
Mi torna in mente una mediazione internazionale relativa alla divisione di un eredità molto importante, con beni immobili sparsi in ogni Continente e tra parenti appartenenti a rami di una famiglia divisa tra Milano, Washington DC e Tel Aviv. Ognuno dei parenti/parti della mediazione (e dei loro avvocati) avevano già esperienze di mediazione nazionale alle spalle, e ricordo la sensazione di comfort che manifestavano, partecipando ad una mediazione basata sui medesimi ritmi. Ricordo anche quanto sia stato interessante supportare le parti ad affrontare le notevolissime differenze culturali (oltre che linguistiche) che parenti, pur appartenenti ad una medesima famiglia, avevano ormai maturato profondamente, ed accentuava vistosamente le normali dinamiche che emergono in questo tipo di controversie: esibire prepotentemente o soffocare le emozioni, esplodendo o azzittendosi poco costruttivamente; crearsi aspettative (negoziali e interpersonali) inizialmente incomprensibili agli altri; trovare molto difficile parlare di difficoltà economiche o esistenziali, di necessari riconoscimenti -mai prima espressi, o mai compresi: tutti ingredienti che, amplificati dalle differenze culturali, avevano reso impossibile una negoziazione diretta tra le parti, avevano radicato il conflitto e le avevano molto allontanate. Nel corso di quella mediazione internazionale, quei parenti non hanno solo trovato un accordo di divisione; ma anche -finalmente, e necessariamente prima di tutto- una reciproca comprensione, anche culturale, e la possibilità di rinnovare la relazione. Ma, fuori dall’ ”album dei ricordi” di altre esperienze di mediazione internazionale, mi torna ora in mente un altro episodio, di una controversia in materia -essenzialmente- di copyright tra un designer spagnolo ed i colleghi della giovane azienda londinese con cui aveva per molto tempo proficuamente collaborato, ben affiatati prima che l’uragano del conflitto si scatenasse, in cui tanto la confortevole familiarità con un processo trasparente, informale e privo di “trappole” rituali, quanto la possibilità di negoziare al meglio, sulla scorta di una più approfondita comprensione -anche culturale- ha fatto brillare la mediazione internazionale come la sede strategicamente più adeguata.

Quali sono i vantaggi di questa scelta sotto il profilo economico?

Anche dal punto di vista dei costi, i vantaggi che la mediazione internazionale può offrire non sono trascurabili. Infatti, una procedura giudiziaria, o arbitrale internazionali possono creare importi estremamente esose, come somme di spese di giudizio, fee arbitrali e costi vivi, ma anche essere -udienza dopo udienza, grado dopo grado- fortemente impattanti sulle agende di tutti e time consuming (per tacere -ma sempre meno è il caso di farlo- dell’impatto ambientale dovuto alla produzione di CO2. Interessante è l’iniziativa di World Mediators Alliance on Climate Change). La mediazione internazionale, invece, permette una gestione più bilanciata della propria controversia anche in tali aspetti: per quanto possano essere elevate, le fee di una mediazione internazionale sono notevolmente più contenute, e certe, frutto della trasparenza del regolamento dell’Organismo, o di uno specifico accordo tra le parti ed il mediatore. Non da ultimo, occorre sottolineare che, ben prima che il COVID19 li rendesse necessari, prima, e abituali, poi, nella quotidianità della mediazione internazionale l’uso di incontri online era già estremamente diffuso: il collegamento delle parti da remoto ad uno o più incontri della procedura -aldilà di renderli talvolta possibili, perché molto agevolmente programmabili, senza l’impatto di lunghi voli o spostamenti internazionali- li rende anche sicuramente economici. Nella mia esperienza, poi, sono molto rari i casi in cui una mediazione internazionale non abbia reso necessario l’intervento di esperti tecnici o periti, spesso numerosi: molti dei tavoli tecnici che ne sono nati sono stati utilmente gestiti online. Alcuni, protratti per svariati incontri interlocutori, con la partecipazione di venti o trenta consulenti, tra professionisti, professori universitari, e scienziati a vario titolo interpellati. Immagino che costi, che tempistiche e che immani fatiche di coordinamento avrebbero comportato queste riunioni tecniche, se non si fossero agilmente tenute online. Ma prima ancora che low cost, mi chiedo anche se sarebbero state possibili, e con che portato, in una negoziazione diretta tra le parti, fuori dalla mediazione e senza che tutte le complessità comunicative, interculturali, negoziali che normalmente si manifestano (anche tra esperti di parte, posso garantire!) venissero gestite.

Ci sono aspetti della normativa italiana sulla mediazione che impattano sulla scelta di privati e aziende internazionali di instaurare la procedura di mediazione nel nostro Paese?

Certo, La nostra normativa nazionale sulla mediazione civile e commerciale presenta sicuramente degli aspetti molto importanti, che vengono sempre più conosciuti internazionalmente e, quindi, tenuti in considerazione dalle parti nel momento in cui devono decidere dove instaurare la loro mediazione internazionale, rendendo l’Italia una meta assai strategica. Non è tanto la possibilità di garantire all’accordo raggiunto in mediazione (con mediazione incardinata in Italia e condizioni normativamente previste soddisfatte) l’efficacia di titolo esecutivo: risvolto certamente benvenuto (e per cui sarebbe ancor più benvenuta la firma della Singapore Convention on Mediation del 2018), soprattutto per alcune tipologie di controversia, ma spesso superato dall’uso di negoziare specifiche clausole di garanzia da includere nell’accordo di mediazione internazionale. La ragione per cui la normativa italiana sulla mediazione può avere un impatto molto importante sulla scelta dell’Italia come sede di una mediazione internazionale è soprattutto l’attenzione ed il dettaglio con cui gli aspetti della riservatezza sono normati dal nostro legislatore, mentre risulta essere un elemento che -seppur così fondamentale- viene disciplinato in modo carente o nullo in ambito internazionale, e nelle singole giurisdizioni statali. Penso sempre a questo aspetto, quando devo affrontare come docente un corso di mediazione internazionale, e devo necessariamente spendere svariate ore ad affrontare il delicato argomento del Mediation Agreement, ossia il contratto tra mediatore e parti che, nella normalità delle situazioni di mediazione internazionale (e nazionale, in assenza -ed è perlopiù assente- di una normativa specifica della riservatezza) regola anche questi importantissimi e delicatissimi aspetti. Così delicati, infatti, e difficili che all’estero accade spesso il caso di mediatori convocati da una delle parti davanti a un giudice per testimoniare su ciò che hanno sentito in mediazione, o di parti e mediatori che scoprono solo troppo tardi che la riservatezza della loro mediazione e della loro conversazione in mediazione non era poi così ermeticamente garantita, e si trovano così coinvolti in nuove controversie per confidentiality breach. Penso sempre a questo aspetto, dicevo, cercando di coprire al meglio l’argomento del Mediation Agreement, mentre intanto tiro un sospiro di sollievo: la nostra normativa, infatti, per le mediazioni (nazionali o internazionali) amministrate da un Organismo italiano, che rientrino nel proprio campo di applicazione, prevede regole specifiche e capillari sulla riservatezza, sull’impossibilità di utilizzazione delle informazioni provenienti dal tavolo di mediazione in un eventuale successivo giudizio, sul divieto di testimonianza del mediatore circa quanto emerso nel corso della procedura. Questo rende comunque essenziale, per un mediatore, coinvolgere le parti nel delineare ulteriori regole sulla riservatezza, aderenti a quanto caso per caso eventualmente necessario, e così tutelare al massimo la riservatezza delle conversazioni; ma è comunque ben evidente il sollievo di parti ed avvocati non italiani, quando non a conoscenza di questi aspetti positivi della normativa, quando vengono loro spiegati.

A livello internazionale cosa viene apprezzato dalle parti, e cosa invece risulta problematico nella scelta dell’Italia come sede della mediazione?

Ciò che viene sicuramente apprezzato sono gli sviluppi e le conseguenze di quanto si diceva prima, relativamente alla centralità che in Italia si dà alla tutela della riservatezza della mediazione. Questo si riverbera anche sulle differenze riscontrabili nella gestione del procedimento di mediazione da parte degli Organismi italiani, rispetto a svariati omologhi fuori confine. Ad esempio, se in Italia il focus sulla riservatezza è forte fin dal momento iniziale e di case management dell’accettazione della domanda di mediazione da parte della Segreteria dell’Organismo (perché è quasi esclusivamente così che la mediazione si svolge in Italia, laddove quelle ad hoc, non amministrate, sono una -seppur possibile- mosca bianca), capita spesso che giungano richieste di disponibilità da Organismi europei o internazionali, o richieste di presentare un Mediator profile da sottoporre al vaglio delle parti, già corredate di tutta la documentazione inerente la disputa, con nomi, cognomi, atti, contratti e materiale confidenziale. Il tutto, ben prima di aver firmato alcun impegno alla riservatezza: aspetti sorprendentemente trascurati anche ove l’Organismo sia di fama e rinomanza assolute.
Può invece risultare problematico per le parti, nella scelta dell’Italia come sede della mediazione, l’estrema eterogeneità delle pratiche di mediazione, come dei livelli di preparazione e qualitativi, per cui vi sono notevoli differenze tanto nella gestione di vari organismi privati o pubblici, quanto nella preparazione dei mediatori (soprattutto come riflesso della tuttora scarsa qualità di molti enti di formazione e formatori italiani in mediazione, anche di conseguenza alle maglie molto larghe che la normativa in materia, purtroppo, lascia). Inoltre, parti e mediation advocates più esperti possono trovare talvolta peculiare il grado di giurisdizionalizzazione che la mediazione in Italia talvolta presenta. Va però anche detto che l’obbligatorietà del tentativo di mediazione e l’immenso (soprattutto per i canoni extra-italiani) numero di casi che questa ha conseguentemente iniettato nel circuito esperienziale italiano, ha creato una compagine di mediatori che, seppur con le dovute differenze (e traendone differenti livelli di skills e professionalità), ha compiuto in media molte più “ore di volo” attorno al tavolo di mediazione, rispetto a colleghi mediatori di altri Paesi, anche in cui la mediazione è utilizzata da maggior tempo.