Mediazione e Deontologia: le novità introdotte dalla Riforma Cartabia

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Quali sono le novità introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia in tema di mediazione e deontologia?

Il D.Lgs. 149 del 10.10.2022 (in attuazione della Legge 26.11.2021 n. 206 di Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie), così come anche modificato nel successivo mese di dicembre con la c.d. “Legge di Bilancio 2023″ ed il c.d. decreto “Mille proroghe” ha dato vita a quella che viene considerata la “MEDIAZIONE 3.0”.

Il “cuore” della riforma, principalmente nell’art. 8 del predetto decreto e che fa riferimento al nuovo primo incontro ed alla presenza delle parti, nel recepire il c.d. “principio di effettività” del medesimo già espresso della giurisprudenza, sottolinea con chiarezza, finalmente, altresì, nel comma 6 del citato articolo, quale sia il ruolo dei legali ove indica che “Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse”.

Tale nuova formulazione richiama sostanzialmente quanto già previsto in tema di Negoziazione Assistita (art. 2 comma 1 del D.L. n. 132/2014) ove già si prevedeva che “La convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e lealtà per risolvere in via amichevole la controversia …”. Non v’è dubbio, dunque, che l’attività dei legali in mediazione deve essere contraddistinta da un preciso approccio cooperativo, nel rispetto dei richiamati doveri deontologici di buona fede e lealtà.

Tali doveri sono disciplinati anche all’art. 9 del Codice Deontologico Forense ove si indica che “L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa…” nonché dall’art. 19 dello stesso ove si prevede che “L’avvocato deve mantenere nei confronti dei colleghi e delle Istituzioni forensi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà”.

L’esercizio di tale attività professionale del legale in mediazione non può che comportare, inoltre, anche il rispetto del principio deontologico di competenza.
L’esito positivo di una procedura di mediazione non può che dipendere da un buon “lavoro di squadra”.
E’ evidente che ai giuristi siano ormai richieste competenze interdisciplinari, indispensabili per la conoscenza delle dinamiche e della gestione dei conflitti.
L’acquisizione di tali competenze da parte degli avvocati si rende necessaria anche ai fini dell’adempimento di precisi doveri deontologici.
Ciò si evince, oltre che alle richiamate norme sulla mediazione e sulla negoziazione assistita, anche dalla Carta dei Principi Fondamentali dell’Avvocato Europeo, dalla Legge Professionale Forense nonché dal Codice Deontologico Forense.

In particolare, già nel 2006, il CCBE, Consiglio degli Ordini Forensi d’Europa, aveva adottato la Carta dei Principi Fondamentali dell’Avvocato Europeo nel cui Commento n. 6 si prevede che “L’avvocato …., svolge anche una funzione sociale, che è quella di prevenire ed evitare i conflitti e di garantire che questi siano risolti secondo diritto, al fine di promuovere l’evoluzione del diritto e di difendere la libertà, la giustizia e lo Stato di Diritto”.

Nel Commento Principio (g) della stessa Carta, in tema di competenza professionale, si precisa che “L’avvocato non può fornire consulenza o rappresentare efficacemente il cliente se non ha un’adeguata formazione professionale, formazione che deve essere permanente come risposta ai rapidi mutamenti del diritto e della pratica dell’avvocatura e del contesto economico e tecnologico. Le norme professionali sottolineano che l’avvocato non può accettare un incarico se non è competente nella materia della controversia che è sottoposta alla sua attenzione”.

Così pure, la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “( Legge 247/12 art. 3 comma 2 ed art 11. Comma 1) prevede che “ La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, … “, “L’avvocato ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale “.

Tali principi sono ripresi anche dall’art. 14 del Codice Deontologico Forense entrato in vigore il 15 dicembre 2014 allorché si prevede che “L’avvocato, al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali, non deve accettare incarichi che non sia in grado di svolgere con adeguata competenza” e dall’art. 26 dello stesso Codice ove si prevede che “ L’accettazione di un incarico professionale presuppone la competenza a svolgerlo.”

Quali sono, con riferimento a tali doveri deontologici, le competenze che devono avere gli avvocati che assistono le parti in mediazione?
Normalmente si parla di competenze “passive” per comprendere quel che accade al tavolo di una mediazione e di competenze “attive” volte ad incidere sulla dinamica del conflitto.

La stessa Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 8473/19 in tema di procura sostanziale e di ruolo del legale, aveva già colto l’occasione di precisare “…la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale ed umano inclusa la capacità di intendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate”.
La stessa sentenza precisava che “…all’avvocato esperto in tecniche processuali che” rappresenta “la parte nel processo si affianca l’avvocato esperto in tecniche negoziali che” assiste “la parte nella procedura di mediazione.”

Così ancora, la Corte Costituzione, con la sentenza n. 97/19 con cui poneva a raffronto mediazione e negoziazione assistita quali istituti volti a favorire la composizione della lite in via stragiudiziale, ricordava che se “…nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori.”

E’ dunque pacifico che, allorché il legale voglia professionalmente assistere una parte in mediazione dovrà essere esperto in tecniche negoziali e dovrà acquisire competenze ulteriori rispetto a quelle meramente giuridiche.

Cosa deve fare, dunque, l’avvocato per poter assicurare la migliore prestazione al proprio assistito in mediazione nel rispetto dei doveri deontologici ?

Per affrontare professionalmente un negoziato l’avvocato non potrà fare a meno di avere una conoscenza degli elementi fondamentali del medesimo, delle sue fasi, dalla sua preparazione, con una compiuta analisi e pianificazione sin alla discussione ed alla conclusione. Non potrà non considerare l’approccio e gli stili negoziali, nella consapevolezza delle conseguenze di ogni sua mossa.
Dovrà dedicare il medesimo tempo ed impegno che normalmente dedica allo studio degli atti di causa.

Il legale si troverà ad essere coinvolto in un “sistema complesso”, composto da diverse relazioni e dovrà sapere gestire anche quelle tensioni interne che si presentano nel corso di un negoziato. Si dovrà far carico di perseguire gli interessi del proprio assistito individuando la migliore strategia negoziale.

Nella fase di preparazione, spesso sottovalutata ed onde evitare successive incomprensioni, dovrà affrontare col cliente, normalmente abituato a delegare, anche il delicato aspetto della sua “responsabilizzazione” attraverso l’empowerment.

Anche qui merita di essere ricordato che vi è un preciso dovere deontologico poiché il legale ha un “dovere di informazione” verso il proprio assistito ex art. 27 del Codice Deontologico Forense ove è espressamente previsto che “L’avvocato, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare chiaramente la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge”.

Ciò comporta un concreto impegno di spiegazione dello strumento della mediazione e, quindi, anche una conoscenza della gestione del conflitto.
Ove la fase della preparazione e della pianificazione vengano compiutamente affrontate e discusse con il cliente, quest’ultimo avrà maggior consapevolezza di quel che accadrà al tavolo del negoziato, potrà condividere le strategie e sicuramente si avranno maggiori possibilità di una buona risoluzione della controversia.
Così pure, come indicato ora anche nella norma novellata in tema di incontro di mediazione, solo con un approccio collaborativo, in buona fede e lealtà, si potrà raggiungere l’obiettivo di un vero e soddisfacente risultato win/win.

E in caso di mancato rispetto dei doveri deontologici?

Concludendo, contravvenendo alle regole di condotta imposte dalla legge o dalla deontologia si commettono illeciti disciplinari sanzionabili ma, certamente, inoltre, il mancato rispetto dei principi richiamati, impedisce la realizzazione del successo del negoziato ed il raggiungimento della soddisfazione del proprio assistito.

Laura Thea Cerizzi

Avvocato cassazionista
Mediatore civile e familiare
Formatore teorico e pratico accreditato al Ministero della Giustizia
Componente commissione ADR del CNF