Passaggio Generazionale e conflitti: intervista a Emanuele Sacerdote

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Foto di Tyler Nix su Unsplash

Il tema del passaggio generazionale è già stato affrontato in più occasioni su Blogmediazione. Ritorniamo volentieri in argomento incontrando Emanuele Sacerdote, consulente in gestione strategica, imprenditore e scrittore, che al tema ha dedicato una considerevole parte della sua vita professionale e personale, intervenendo come relatore a diversi eventi e pubblicando più di un testo di approfondimento.

Che cosa si intende per passaggio generazionale in azienda e perché oggi stiamo vivendo un momento particolarmente delicato su questo fronte?

Il passaggio generazionale consiste in un processo condiviso e strutturato in cui il senior trasferisce il controllo e la proprietà di un bene (impresa) al junior. Il contesto tipico è quello dell’azienda familiare oppure della famiglia con un cospicuo patrimonio liquido e/o illiquido. Personalmente preferisco chiamarlo transizione intra-generazionale in quanto è più evidente il principio di continuità che dovrebbe supportare questo processo. Infatti, la logica portante che dovrebbe incentivare l’adozione di questo approccio sono la continuità, la tutela, la stabilità e il controllo.

Nel caso dell’azienda di famiglia ci sono altri temi che devono essere presi in considerazione, quali la competenza, la responsabilità, l’intenzionalità e la crescita. Tutto dovrebbe partire dal fatto che l’erede si dovrebbe mettere al servizio dell’azienda di famiglia per traghettarla alle prossime generazioni in condizioni preferibilmente migliori.

Non è sempre ovvio per l’impresa familiare vivere la transizione intra-generazionale come un inevitabile e necessario cambiamento, oppure come una frontiera di salvezza, una copertura assicurativa o un’innovazione genetica per trovare l’equilibrio tra similitudini e differenze capaci di fortificare l’azienda dell’essere e di preparare l’azienda del divenire.

In questo momento storico di grandi incertezze e mutamenti economici, sociali e culturali questi aspetti assumono maggior rilevanza in quanto sono aumentati i rischi legati alla crisi d’impresa e/o alla decrescita, ma anche i rischi inerenti a possibili scollamenti e divergenze sul futuro dell’impresa familiare tra senior e junior.

Quali sono i conflitti che più facilmente si creano tra i protagonisti di un passaggio generazionale?

Ci sono due tipi di conflitti che potrebbero emergere.

Nel primo tipo rientrano quelli pregressi che si sono cristallizzati e che non sono stati superati. In una situazione di transizione intra-generazionale potrebbero riemergere e rappresentare un ulteriore ostacolo da dover risolvere. Questi conflitti nascono e si sviluppano in situazioni passate oppure da situazioni ereditarie non gestite e non digerite. Qui bisogna capire se si tratta di ferite, di fratture o di malattie croniche e, in tutta onestà, il superamento è di fatto il varco più difficile su cui intervenire.

Poi ci sono i potenziali nuovi conflitti che potrebbero nascere dalla personalità, da esperienze, da stili e da caratteri diversi e sperabilmente non incompatibili. Questi conflitti di ruolo potrebbero essere superati se i punti di convergenza su cui ragionare diventassero il futuro dell’impresa, i valori identitari e l’orgoglio della continuità. Del resto, l’azienda dovrebbe essere tra i principali blasoni che la famiglia dovrebbe annoverare. Se l’azienda fosse robusta, avesse buone basi, fosse ben gestita e potesse crescere, bisognerebbe “solo” trovare i terreni più futuribili e le valide argomentazioni su cui far incontrare i senior e i junior. Invece, se si trovasse l’armonia, la transizione sarebbe più facile. Di contro, se nascessero, da entrambi le parti, palesi possessività, vanità, personalismi, egocentrismi e rigidità, bisognerebbe lavorare maggiormente sulle motivazioni, sulla consapevolezza e sulle coscienze. La natura di questi conflitti è sempre inscrivibile nei rapporti tra senior e junior. Ho trattato questi temi nel mio saggio “Il futuro erede. Conversazioni sulla continuità dell’azienda familiare” (Sole24Ore, 2022) privilegiando la prospettiva del junior.

A quale tipo di strumenti può ricorrere un consulente esterno, per fare fronte a questi conflitti?

Il mio approccio mescola tre tipi di strumenti.

Il primo metodo è quello più fattuale nel quale si individuano e si accertano i fatti per riscostruire la situazione e la fase nella quale si trova l’azienda e la famiglia. Qui si fa un lavoro che incrocia varie prospettive che intendono fotografare la situazione corrente. Mi riferisco a una razionalizzazione di informazioni, di dati e di materiali raccolti per descrivere al meglio l’esistente.

La seconda serie di strumenti intende comprendere e dimensionare la maturità imprenditoriale e manageriale della nuova generazione. Formazione, esperienze, preparazione scolastica e professionale, ma anche intenzioni, attitudini e valori principali sono gli ambiti di analisi. In caso di più eredi, il lavoro di gruppo e la compatibilità tra le persone sarebbe un passaggio necessario.

La terza serie di strumenti è un approfondimento dei precedenti e intende verificare le valenze e il peso cognitivo e psicologico delle evidenze che potrebbero rappresentare i confini da superare.

La conclusione, molto pragmaticamente, consiste nel formulare una proposta di cambiamento con iniziative finalizzate ad agevolare l’ingresso e/o a facilitare la nuova governance e/o a focalizzare alcuni temi su cui lavorare insieme. In questa fase si mettono le basi, i principi e le regole per strutturare la parte degli accordi legali e dei veicoli societari che serviranno per la successione.

Quale ruolo recitano i professionisti esterni nell’evolversi di un passaggio generazionale?

Nel caso dei passaggi generazionali gli aspetti imprenditoriali e organizzativi sono totalmente connessi alla sfera personale e alle dinamiche relazionali tra i senior e i junior. Mettere insieme affetti (famiglia) e patrimonio (impresa) produce potenzialmente degli effetti “forti” con evidenti connotati più emozionali che razionali.

L’idea che mi sono fatto, e che mi sembra che possa funzionare meglio nella gestione dei rapporti, è quella della maieutica di Socrate. Da un lato bisogna far emergere gli aspetti esistenti più salienti (divergenti e/o convergenti) e dall’altro lato bisogna stimolare e centrare l’attenzione sugli aspetti più lungimiranti e più strategici correlati al futuro. Questo scambio può solo funzionare se c’è apertura mentale e disponibilità a mettersi in discussione. Da entrambe le parti. Come detto prima, qui si tratta di transizione e di trasformazione intra-generazionale.

Quindi, è indispensabile che le persone coinvolte abbiano maturato una buona auto-consapevolezza iniziale. Se non ci fossero queste precondizioni il compito del professionista sarebbe più complicato e sarebbe più difficile instaurare il rapporto di fiducia necessario per seguire questo percorso.

Per dirla in un altro modo, diciamo che funziona come un’opera teatrale a tre atti. Atto primo: la chiamata. I membri delle generazioni in carica, in accordo con quelli della prossima generazione, manifestano consciamente la necessità di organizzare la transizione. Atto secondo: l’apertura. Separatamente e/o insieme eseguono dei lavori e degli esercizi di consapevolezza e di messa a nudo delle opportunità e dei rischi più evidenti da “superare” per definire il progetto di passaggio generazionale. Atto terzo: la svolta. Entrambi comprendono maggiormente le posizioni altrui, le distanze si riducono e condividono insieme un “nuovo percorso” di sviluppo e di crescita, quindi fissano gli obiettivi specifici. Quest’ultimo atto si conclude con la definizione del processo, delle condizioni e delle regole.

A suo parere quali sono i punti maggiormente in comune tra il passaggio generazionale e la mediazione?

Se mettiamo al centro l’evento della successione, il passaggio generazionale ha una funzione preventiva e la mediazione ha una funzione pre-conciliatoria. Il potenziale successo del passaggio generazionale consiste appunto nel concordare, definire e preparare prima e anticipatamente la successione. Di fatto, è sia un esercizio di spossesso che di presa di responsabilità che definisce i termini, le regole, le condizioni di medio-lungo periodo. La mediazione si attiva per risolvere delle controversie.

Al netto di questa importante differenza, sia il passaggio generazionale che la mediazione fondano le loro modalità esecutive sulla comunicazione e sul cambiamento per ridurre al minimo il rischio di “disfacimento”. Entrambi cercano di trovare soluzioni per sciogliere una situazione complicata. Entrambi cercano di facilitare la risoluzione di conflitti. Infine, in un certo senso, entrambi cercano di abbreviare i tempi: nel caso dei passaggi generazionali in forma anticipata, e nella mediazione in forma pre-giudiziale. Dopo tutto, il potenziale successo per entrambi consiste nell’identificare uno “stato nascente”. In forme diverse, ambedue potrebbero creare effetti positivi illuminando una “terza via”. Nel caso dei passaggi generazionali questa via è la crescita, la diversificazione, lo sviluppo dell’impresa. Nel caso della mediazione, oltre al superamento dei conflitti e delle controversie, questa via potrebbe essere la nuova armonia, oppure una nuova condivisione di progetti in comune. Ovviamente, oltre alle buone pratiche di comunicazione di cambiamento, bisogna che le parti siano aperte mentalmente a partecipare a una nuova fase di riprogettazione. Questo contesto può essere facilitato da una condivisione valoriale e identitaria che faccia emergere quegli elementi della storia e del passato che hanno unito e che hanno edificato i legami. Ma non basta.

Bisogna innestare a questa possibile spirale positiva un progetto di futuro prossimo che possa creare una spinta propositiva in avanti.