Proprietà Intellettuale e mediazione: sondaggio di AIPPI e Camera Arbitrale di Milano

1159

L’interesse nei confronti dell’impiego della mediazione nelle controversie inerenti la proprietà intellettuale è cresciuto nel corso degli anni. Diverse iniziative si sono sviluppate in questo contesto e qui ricordiamo l’accordo tra WIPO e Camera Arbitrale di Milano.

In questo quadro si colloca il dibattito svoltosi il 5 febbraio scorso sul tema della mediazione nella Proprietà Intellettuale organizzato da AIPPI Italia e Camera Arbitrale di Milano dedicato agli associati AIPPI.
L’incontro è stato preceduto dalla somministrazione di un questionario, rivelatosi utilissimo nel fornire gli spunti per la discussione.

Il sondaggio su mediazione e proprietà intellettuale

Al questionario (anonimo) hanno risposto 78 associati, in gran numero avvocati (67,9%), seguiti dai consulenti nella proprietà intellettuale (30,8%) ed infine un accademico/a. Alcuni degli intervistati (il 6,4%) hanno dichiarato di svolgere anche l’attività di mediatore, sia in casi relativi all’IP, sia in altri settori (civile, commerciale, famiglia).
Il settore è risultato coperto nella sua totalità avendo dichiarato i partecipanti di occuparsi di marchi, brevetti, diritto d’autore, concorrenza sleale, design, data protection, diritto industriale così come le aree “merceologiche” di riferimento.

Il 60,3% del campione non ha partecipato ad alcun procedimento di mediazione. Coloro che hanno invece avuto modo di partecipare, hanno indicato un numero compreso tra 1 e 10.
Agli intervistati è stato posto il quesito “si ritiene che nel settore della proprietà intellettuale la pratica professionale sia più orientata al negoziato rispetto ad altri settori del diritto?” La platea si è divisa quasi equamente tra la risposta affermativa e quella negativa, con una leggera prevalenza di quest’ultima (52,6%).

Il quesito trae origine dalla considerazione, suffragata dalla pratica, che se in un determinato ramo del diritto viene ravvisata una propensione al negoziato, è prevedibile che la mediazione venga proposta (e accettata) con maggiore fiducia sia dai consulenti delle parti che dalle parti stesse. Una questione di familiarità insomma. Non a caso, spesso si definisce la mediazione una negoziazione assistita da un terzo soggetto neutrale.

La mediazione utile per la maggior parte degli intervistati

Quando è stato richiesto se si ritenesse utile lo strumento della mediazione nell’IP, in un range da 1 a 5 (da assolutamente inutile a molto utile), 64 intervistati su 78 hanno risposto da 3 a 5 mentre 14 hanno risposto assolutamente inutile, o inutile.
Per quali ragioni?

Tra quanti sono convinti che la mediazione non sia utile nel settore IP, alcuni dichiarano che gli avvocati specializzati nella proprietà intellettuale e i consulenti in PI svolgono già una “mediazione”, e quindi la mediazione (quella che si fa con l’assistenza del terzo neutrale) non abbia ragion d’essere e sia superflua e ridondante.

Tali risposte sono probabilmente frutto di un fraintendimento: tendono cioè a sovrapporre la mediazione alla negoziazione svolta tra avvocati o consulenti delle parti, non vedendo quindi quale sia il valore aggiunto dell’attività svolta da un terzo soggetto, che è indipendente e neutrale rispetto alle parti e alla controversia in atto.

Nella negoziazione non esiste infatti la fase dell’esplorazione che costituisce il cuore della mediazione. Sicuramente l’avvocato di una parte sarà – nel migliore dei casi – fortemente limitato nell’indagare i “bisogni” della controparte, cioè tutto ciò che sta al di là delle posizioni (ciò che la parte dichiara di volere) e che costituisce la sostanza di cui il mediatore si avvale per stabilire se esistono possibilità di composizione della vertenza e quali strade sono percorribili per un negoziato proficuo.

Lo scambio di informazioni utili alla costruzione di ipotesi di soluzione e la sua profondità avviene a livello superficiale in un negoziato non assistito da un terzo neutrale. Per questo motivo il negoziato tra avvocati o comunque tra assistenti delle parti, si focalizza sulle posizioni e non sui bisogni o gli interessi. Non è mediazione insomma.

Altri partecipanti pensano che il problema della mediazione, ciò che la rende totalmente inadatta a svolgere un ruolo nelle controversie sulla proprietà intellettuale, consiste nell’esito incerto e nella mancanza di “denti” (è volontaria, non è aggiudicativa) così come nella mancanza di trasparenza nelle informazioni relative all’effettiva efficacia.
Alcuni poi specificano che la mediazione non è utile quando si discute di validità del marchio e diritti di esclusiva oppure nei casi di contraffazione.

Concordiamo, visto che il contraffattore difficilmente parteciperebbe spontaneamente alla procedura di mediazione, ad una condizione: che si tratti di vera (e non asserita) contraffazione. Altri ancora segnalano che le caratteristiche del contenzioso IP (le parti possono essere concorrenti, nel settore sono coinvolti grossi interessi economici, questioni di immagine e di principio) rendono inadatta la mediazione.

Una scelta strategica nelle controversie sulla proprietà intellettuale

Diciamo qui che la scelta di mediare deve derivare da scelte strategiche e consapevoli. Non si tratta, come nel caso della legge, di “applicare” la mediazione in tutti i casi di controversia del settore della proprietà intellettuale. Deve essere utilizzata con cognizione di causa, a valle di un’attività diagnostica svolta con il proprio cliente in base a determinati criteri, che vedremo in un’altra occasione.

Inoltre, se il timore è quello di non riuscire a bloccare tempestivamente un’azione dannosa per il proprio cliente, è possibile richiedere i provvedimenti cautelari e le misure urgenti anche mentre si svolge la mediazione.

Alcuni vedono con favore l’utilizzo della mediazione nelle micro-controversie, oppure quando viene gestita da un mediatore esperto conoscitore della materia.
Molti hanno una buona opinione della mediazione quando paragonata alle inefficienze del giudizio (per le tempistiche e i costi dei procedimenti giudiziari e perché si evita l’alea dell’esito della causa).

La mediazione è apprezzata perché ricalca le modalità “business” della contrattazione in materia di IP (approccio business-oriented), fa sì che siano le parti a costruirsi la propria soluzione ed evita che il giudice decida (male). Le parti hanno inoltre la possibilità di preservare il loro partnership commerciale ed evitare di fare una full disclosure delle informazioni riservate (es. brevetti) alla controparte ed evitare di coinvolgere CTU e CTP (per lo stesso motivo).

La mediazione potrebbe essere utile nelle questioni riguardanti le controversie sui brevetti di natura interdisciplinare oppure quando il conflitto riguarda questioni non tecniche. In questo caso la mediazione può intervenire con maggiori possibilità di dirimere le questioni rispetto a una sentenza del giudice.

Controversie internazionali il contesto privilegiato per la mediazione

In generale emerge un diffuso consenso riguardante l’utilità della mediazione nelle controversie IP internazionali. Ed infatti, nella domanda successiva, dedicata a questo aspetto, il 78,2% ha risposto in maniera favorevole.

Per una questione di costi, di rapidità, di incertezza riguardo all’esecuzione della sentenza, in particolare quando si tratta di litigation su diversi paesi e giurisdizioni: una soluzione globale, uno o più accordi raggiunti dalle parti eviterebbe il contenzioso (con relativi costi, tempi e alea circa sentenze contraddittorie). Inoltre all’estero la mediazione è più conosciuta ed apprezzata, si dice.

La mediazione ridurrebbe il fenomeno del cd forum shopping ponendo le parti “sullo stesso piano”, ad armi pari ed aiuterebbe a contenere i profili conflittuali determinati anche dalle diverse culture di provenienza dei litiganti ma viene affermato anche il contrario: se raggiungere un accordo tra parti italiane è complicato, figuriamoci quando si tratta di parti provenienti da paesi diversi e le barriere linguistiche e culturali molto forti.

Il 75% consiglierebbe ad un cliente di partecipare ad una mediazione

Alla domanda “Consiglierebbe la partecipazione a una mediazione oppure l’inserimento di una clausola di mediazione all’interno di un contratto?” Il 75,6 % risponde affermativamente.
Per alcuni l’inserimento della clausola di mediazione nella propria contrattualistica è uno standard. La clausola sembra “rafforzare” la mediazione, ricordiamo infatti che in generale, la mediazione nella proprietà intellettuale non è prevista come condizione di procedibilità all’art. 5 c.2 del Dlgs 28/2010, per cui la proposta a controparte potrebbe essere percepita come sintomo di debolezza delle proprie armi processuali.

L’inserimento di una clausola, derivante da un consenso dato dalle parti all’inizio della loro relazione commerciale è quindi vista come un serio impegno di entrambe a considerare lo strumento in caso di controversia. Meglio ancora se seguita dalla previsione di un arbitrato (cd clausola med-arb).

Come risultato minimo, un rispondente afferma, “la mediazione “costringe” le parti a sedersi attorno ad un tavolo per discutere”
Tra quanti hanno risposto negativamente (24,6%) permane una mancanza di fiducia nell’effettiva utilità dello strumento (“in quanto se le parti sono in lite, non è il mediatore a far loro cambiare idea”), nella competenza dei mediatori (nella materia del contendere), nello spreco di tempo, denaro ed energia per una procedura dall’esito incerto.

Da ultimo, un rispondente dichiara che la mediazione deve essere una scelta libera, non imposta, neppure da una clausola consensualmente inserita in un contratto.

Chi è il mediatore in una controversia sulla proprietà intellettuale?

Arriviamo alla questione che ha permeato molte delle risposte precedenti: il mediatore deve essere un esperto della materia del contendere?

Il 92,3% degli intervistati risponde di sì: “Solo una adeguata conoscenza del settore può aiutare a suggerire composizioni accettabili”, “Ritengo opportuno che il mediatore sia esperto nella materia del contendere per poter aiutare meglio le parti a individuare e far emergere le basi su cui potrebbe essere trovato un accordo.”, “Se il mediatore deve aiutare le parti a trovare un accordo, credo che potrebbe assolvere meglio al suo compito conoscendo gli aspetti giuridici della questione o, almeno, (avendo) una conoscenza dei principi generali del diritto. Il rischio è che le parti arrivino a un accordo viziato”.

Le posizioni espresse sono interessanti e trovano conforto nella prassi e nei principi di diritto che si sono affermati in alcuni Paesi nei quali l’istituto della mediazione è particolarmente apprezzato. EUIPO, per esempio, ha organizzato un servizio di mediazione, nel quale operano gli stessi soggetti che, per molti anni, hanno ricoperto il ruolo di esaminatore e sono, sicuramente, esperti della materia dal punto di vista giuridico.

Esistono, tuttavia, posizioni diverse, secondo le quali al mediatore è richiesto di essere esperto del procedimento di mediazione e delle tecniche di gestione del conflitto e, semmai, di avere una approfondita pratica in una determinata materia.

Secondo questa teoria, è irrilevante o, addirittura, potrebbe essere controproducente la conoscenza del diritto e delle problematiche giuridiche sottese al caso esaminato, perché tale conoscenza potrebbe influenzare il mediatore nell’esercizio della sua funzione.

Quale ruolo per gli esperti?

La domanda successiva, collegata, è: Il mediatore deve avvalersi di esperti?
Qui abbiamo il 76,9% di risposte positive, in molti casi è stato specificato che l’esperto è utile quando il problema riguarda la materia brevettuale.
Quindi, per alcuni il mediatore deve essere esperto nella materia del contendere, avvalersi di esperti oltre ad avere esperti che assistono le parti.

In generale, se accettiamo la considerazione per cui il mediatore è un esperto nella gestione dei conflitti e un facilitatore del negoziato, allora, in alcuni casi, l’introduzione di esperti nel procedimento di mediazione sarà sicuramente utile (CTM- consulenza tecnica in mediazione). La possibilità di avvalersi dell’esperto dovrà essere valutata attentamente non solo per i costi, ma anche per la possibilità che una o entrambe le parti non accettino poi la determinazione dell’esperto, aumentando la criticità di una situazione (di conflitto) già critica di per sé.

Nel restante 23,1% di coloro che ha risposto negativamente alla domanda, alcuni ritengono che il mediatore deve essere esperto nella materia e quindi non ha bisogno di ulteriori esperti. Altri ritengono che il problema delle lungaggini dei procedimenti sulla proprietà intellettuale siano le “guerre tra esperti”.

Oltre alle puntuali risposte al seminario sono stati raccolti vari commenti:
tra questi, uno in particolare riguarda un problema molto sentito non solo, comprensibilmente, da parte del mediatore, ma anche dagli organismi di mediazione e dagli utenti, strettamente connesso alla questione della qualità della preparazione del mediatore.

Tariffe troppo basse?

Il commento in questione evidenzia la circostanza per cui la normativa in vigore stabilisce le tariffe della mediazione, che devono essere comprese tra un minimo e un massimo e che sono molto contenute. Le tariffe comprendono il compenso per l’organismo di mediazione e per il mediatore. Si suggerisce che tariffe così basse, e con compensi così poco appetibili, difficilmente il professionista farà della mediazione la sua professione esclusiva.

Questo avrebbe un’importante ricaduta sul proprio aggiornamento, preparazione e training ed infine sulla qualità della prestazione resa.

Ulteriori commenti e conclusione

Altro punto evidenziato riguarda il fatto che la mediazione viene spesso “raccontata” dando molto risalto ad aspetti psicologici. Questi richiedono una preparazione molto approfondita e specifica, che non può essere improvvisata.

Un commento poi auspica che la mediazione sia studiata negli anni della formazione, all’università e che sia favorita la formazione del professionista. Tale aspetto è considerato in vista dell’acquisizione della qualifica di mediatore ma anche per supportare il proprio cliente nella procedura di mediazione. Si fa anche un riferimento alla mediazione delegata sperimentata presso i tribunali di Firenze e Perugia.

Altri consigliano di introdurre l’arbitrato perché più rapido, aggiudicativo e condotto da un terzo esperto della materia.

Un paio di commenti riguardano i requisiti che dovrebbero avere gli organismi di mediazione: dovrebbero essere sia pubblici che privati e specializzati nella materia. Infatti, si argomenta, gli operatori dell’organismo dovrebbero studiare il caso per avere una comprensione tale da poter assegnare il mediatore più adatto (alla materia).

In chiusura, un commento tra tutti pare significativo: occorre indagare perché la mediazione non viene utilizzata nel settore IP. Una domanda che si pone anche l’EUIPO che sulla mediazione ha puntato moltissimo negli ultimi anni, offrendola gratuitamente tuttavia senza il riscontro atteso.