Il Centro di Arbitrato e Mediazione del WIPO ha due sedi, una a Ginevra e una a Singapore. La responsabile di quest’ultimo ufficio è italiana, si chiama Chiara Accornero ed oggi è ospite di Blogmediazione.
Da Torino a Singapore passando per Ginevra, per occuparsi di mediazione con il WIPO. Oggi forse può sembrare quasi normale ma fino a qualche anno fa molti dubitavano che la mediazione potesse rappresentare un’occasione professionale, per di più in un luogo così lontano e per un’istituzione così prestigiosa. Ti immaginavi qualcosa di simile quando ti sei iscritta a Giurisprudenza?
Quando mi sono iscritta a Giurisprudenza, chi avrebbe mai pensato a delle alternative al contenzioso ordinario! Il primo “incontro” con il mondo della mediazione è stato in Canada, tramite uno scambio extra-curricolare, e l’argomento mi ha appassionato sin dall’inizio. Mi fa molto piacere vedere che tanti curriculum universitari ora propongono anche degli approfondimenti sul tema della mediazione. È importante avvicinarsi a questi strumenti, a volte ancora poco valorizzati, e parte della nostra “missione” è proprio l’impegno nella diffusione della cultura della mediazione.
Le controversie di proprietà intellettuale rappresentano un ambito molto specifico in cui praticare l’ADR. Nella tua esperienza perché le parti scelgono di rivolgersi alla mediazione?
Sono proprio le specificità delle controversie di proprietà intellettuale che hanno spinto WIPO a pensare delle soluzioni alternative al contenzioso tradizionale, quali la mediazione e l’arbitrato. Vedo moltissima attenzione alla riservatezza e ai tempi dei procedimenti e, trattando per la maggior parte casi che hanno una dimensione internazionale, la possibilità di risolvere in un’unica sede e tramite un’unica procedura controversie multigiurisdizionali. Particolarmente apprezzata è la peculiarità della mediazione di prendere in considerazione non solo gli aspetti legali della controversia ma anche i profili di business, consentendo quindi di raggiungere soluzioni condivise e in linea con i reali interessi delle parti.
In che cosa consiste il tuo lavoro al WIPO?
Al WIPO mi occupo della gestione dei casi di mediazione e arbitrato, ognuno dei quali richiede una attenzione “su misura”; una fase particolarmente delicata è l’individuazione, insieme alle parti, del mediatore o dell’arbitro a cui affidare la risoluzione della controversia; è infatti fondamentale che si instauri un rapporto di fiducia reciproco con le parti, dal punto di vista delle competenze tecniche ma anche della capacità di accompagnare le parti nella soluzione del caso in senso più ampio, ad esempio qualora vi siano delle differenze linguistiche o culturali.
All’attività di gestione dei procedimenti si affiancano tante altre iniziative e progetti volti a promuovere il ruolo di mediazione e arbitrato, ad esempio tramite eventi informativi, incontri e materiali divulgativi, tutti volti ad avvicinare parti, avvocati e la comunità al mondo dell’ADR.
Lavorare in un’organizzazione internazionale comporta il doversi rapportare con parti di molte nazionalità diverse. Ritieni che queste differenze, culturali e linguistiche, possano avere un peso nell’insorgere dei conflitti? Se sì, quale ruolo può svolgere la mediazione al riguardo?
Le differenze possono essere una occasione di arricchimento ma anche di incomprensioni e conflitti. La mediazione offre uno spazio in cui è possibile prendere in considerazione altri profili rispetto a quelli legali. Affinché queste differenze vengano approfondite e comprese, è fondamentale la guida di un mediatore capace di individuare ed ascoltare queste differenze, valorizzandole e trasformandole in spunti conoscitivi dei molteplici punti di vista delle parti. Molto spesso, una volta comprese queste ultime, la soluzione della controversia risulta più vicina.
La mediazione commerciale a livello internazionale non sembra ancora avere lo stesso sviluppo che conosce a livello domestico in diversi stati. Secondo te, come mai? E cosa si potrebbe fare per promuoverne maggiormente l’utilizzo?
Molto spesso la scarsa diffusione della mediazione a livello internazionale viene ricondotta all’incertezza sull’esecuzione degli accordi di mediazione in sede nazionale, qualora una delle parti non onorasse l’accordo di mediazione. Un passo importante in questo senso è stata la Convenzione di Singapore sulla Mediazione, che consente di attribuire, nei paesi aderenti, efficacia esecutiva agli accordi raggiunti attraverso un procedimento di mediazione su controversie internazionali di natura commerciale. Sicuramente un traguardo importante, a cui deve però accompagnarsi una maggiore consapevolezza della possibilità (e potenzialità) di usufruire della mediazione anche in un contesto internazionale.
Per concludere, il COVID 19, nella sua drammaticità, sembra avere anche causato un diverso modo di relazionarsi delle persone rispetto alla tecnologia. Nella tua esperienza questo cambiamento ha qualche impatto anche nel modo in cui parti e avvocati si rapportano alla mediazione?
L’accelerazione tecnologica a cui abbiamo assistito non solo ha contribuito ad un maggiore uso di strumenti di comunicazione a distanza (primo fra tutti la videoconferenza) nel contesto di procedure di mediazione, ma anche ad un maggiore avvicinamento allo strumento della mediazione. La flessibilità che contraddistingue la mediazione, che consente ad esempio incontri di mediazione in videoconferenza tra parti basate in paesi diversi, ne ha facilitato l’accesso per parti e avvocati, che hanno avuto – in alcuni casi, per la prima volta – l’opportunità di apprezzarne l’agilità ed i vantaggi.