*di Valeria Lovato
L’artista Elena Mocchetti è presente dallo scorso 9 settembre con una mostra personale dei suoi lavori fotografici presso la sede milanese della Camera Arbitrale. La mostra – NAFTA, LA VERITA’ NON ESISTE – è il primo di tre appuntamenti in programma nell’ambito di un progetto espositivo più ampio – TERRA DI MEZZO – e sarà visitabile fino al 17 dicembre.
Blogmediazione incontra Elena Mocchetti, per conoscere meglio l’Artista e il suo progetto, nelle settimane immediatamente successive all’apertura della mostra, in cui i primi visitatori vengono accolti e accompagnati attraverso uno spazio espositivo decisamente insolito.
Elena Mocchetti, sei una fotografa che punta lo sguardo (e l’obiettivo) su situazioni non facili e dense di umanità. Raccontaci meglio chi sei artisticamente, come scegli i soggetti a cui dare visibilità con le tue foto e perché.
La mia formazione è stata duplice, da una parte gli anni dell’ Accademia a Milano, pittura, e i primi confronti con il mondo dell’Arte: la stamperia di Giorgio e Daniele Upiglio, gli Art Gallery Studio in Irlanda, Angela Vettese, Stefano Coletto, Mario Gorni e la frequentazione del collettivo WURMKOS. Certamente decisivo è stato l’incontro con Pasquale Campanella, un artista che ha segnato profondamente la mia identità e mi ha trasmesso una connotazione maggiormente politica ed esperienziale di fare Arte. Contemporaneamente a formare la mia identità è stato l’incontro con il contesto del Politecnico di Milano, nella persona fisica dell’Architetto ed Urbanista Isabella Inti, che da anni si occupa di ricerca sul riuso temporaneo di Spazi Pubblici. Tale ricerca incontra anche le pratiche dell’Arte e della Fotografia, come strumento sia relazionale quanto narrativo delle trasformazioni tanto sociali quanto urbane che caratterizzano La Città. Anche nei miei primissimi lavori l’atteggiamento non è mai stato un processo di decostruzione del reale, piuttosto di Immaginazione della stessa attraverso il mio vissuto. Ciò che meglio riassume il mio modo di fare Arte è una definizione data da Elena Volpato in THE WITNESS, ed. Archive Books, GAM, Torino:
“Imagination is a Knowledge by real experience to interpret specific circumnstances”
Non scelgo mai io i progetti su cui lavoro, ogni indagine inizia da incarichi di Istituzioni che a diverso titolo mi chiedono di raccontare specifici contesti o processi e dunque le persone ed i vissuti che ne fanno parte. Di fatto racconto storie di luoghi e persone che ci circondano e il loro modo di vivere attraverso una quotidianità condivisa ed al tempo stesso immaginata con loro. Sto chiudendo tre diversi progetti su cui ho lavorato negli ultimi anni: Nafta, che si confronta con il tema delle MIGRAZIONI tra Africa e Europa; The Third Goats, sul tema del nomadismo e delle diverse modalità dell’abitare ai margini della città; The Saint The Fool The River, un progetto sul disagio psichiatrico. In tutti e tre questi progetti attraverso i linguaggi della fotografia, del video, del disegno e dell’installazione il tentativo è quello di provare a conoscere meglio le diversità che mi circondano e raccontare queste storie a chi avesse voglia di saperne di più. Forse quello che mi avvicina a queste situazioni è il bisogno di giocare a trovare bellezza in tutto ciò che mi circonda.
La CAM per la prima volta apre le sue stanze ad una esposizione fotografica. Lo spazio espositivo è particolare: quali sono le sfide che hai affrontato per portare il tuo lavoro sulle pareti di sale udienze, open space e corridoi percorsi frettolosamente?
Confrontarsi con uno Spazio significa inevitabilmente confrontarsi almeno in parte con l’identità del Sistema che lo determina. Questa esperienza inizialmente mi ha disorientato e anche un pò spaventato, poiché completamente diversa da quelle che fino ad oggi avevo conosciuto. Per me gli spazi di CAM sono stati per i primi mesi un labirinto apparentemente senza uscita. Nei primi sopralluoghi che io andassi a destra oppure girassi a sinistra mi ritrovavo sempre al punto di partenza, oppure persa in spazi di altra pertinenza senza rendermi conto di come fosse possibile. Non è stato immediato accettare che l’unico modo con cui potevo relazionarmi con questo Sistema fosse accettare di perdere ogni mio riferimento. Di volta in volta ad ogni intervento mi rendevo conto che quei corridoi e quelle sale erano luoghi di lavoro. Il Lavoro resta una delle pratiche fondanti la nostra Società. Ridisegnando le planimetrie di queste sale mi sono accorta che, come mi ha detto Nicola Giudice in uno dei nostri dialoghi, ad un certo punto in queste sale è come se fossero le immagini ad osservare chi le attraversa e non solo il contrario. E’ come se la Natura di questo Spazio in qualche modo invertisse il Ruolo dell’Opera e credo anche di chi a diverso titolo lo Abita. Oggetto e Soggetto della Mediazione e dei diversi punti di vista si invertono in un continuo scambio dialettico di ruoli e obiettivi. CAM è uno spazio denso di relazioni, conflitti, mediazioni e l’idea che queste immagini possano in qualche modo farne parte mi affascina. Sarebbe divertente poter documentare alla luce di queste trasformazioni cosa accade in quelle sale, quali sguardi, dialoghi, conflitti osserveranno queste immagini.
Il pubblico dei visitatori sarà costituito in massima parte da professionisti dell’area giuridica, persone che per mestiere sanno che le verità sono molte: una verità per ciascuna parte confliggente, la verità che si sceglie di portare nell’arena giuridica e quella che invece rimane inespressa; la verità sulla linea del tempo, quella del passato che ha condotto alla rottura e quella del futuro, della relazione commerciale (e non solo) da ricostruire. La verità dei fatti e la verità giuridica. Ma se la verità non esiste, come orientarsi?
“La Verità NON esiste”, un titolo discusso, che nasce da consapevolezze maturate in tutti questi anni attraversando culture e mondi molto diversi da quelli Occidentali. Tutta la cultura Europea basa i propri criteri di equilibrio e relazione tra le parti sul processo matematico logico chiamato Abduzione. Di fatto siamo soliti pensare che per determinare la veridicità di una data affermazione sia sufficiente avanzare un’ipotesi esplicativa per un certo insieme di fatti osservati e dimostrati, in realtà di fatto secondo la Logica formale, il sillogismo in cui la premessa maggiore è certa, mentre la premessa minore è probabile rende anche la conclusione solo probabile. Il senso del titolo dunque è quello di richiamare la nostra attenzione verso un atteggiamento che provi a NON cadere nel giudizio, perché solo così possiamo concederci uno spazio di conoscenza di noi stessi e di ciò che ci circonda davvero libero. Non può esistere un’unica Verità, ciascuno in realtà ha la propria, in funzione dei propri background e delle proprie conoscenze, ciò che esiste è solo la realtà, quella vissuta in prima persona. In effetti, se anche la Verità esiste, non dovrebbe essere nostra preoccupazione volerla necessariamente determinare, credo molto più efficace non smettere mai di essere disponibili a vivere esperienze meno condizionati da inutili sovrastrutture intellettuali che continuano a condizionare troppo profondamente il nostro modo di essere.
La verità per Elena Mocchetti non esiste, ma con le sue fotografie, storie di vita lontane e spesso dimenticate irromperanno per qualche tempo nello sguardo quotidiano di chi frequenta le sale di Camera Arbitrale, costringendo a un, seppure breve, bagno di realtà.
Alla mostra si accede gratuitamente previo appuntamento.
Per la prenotazione scrivere a servizio.conciliazione@mi.camcom.it