Rischi e opportunità per la mediazione oggi

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*di Riccardo Maggioni

L’attuale situazione di stasi forzata offre, a mio avviso, un’utile occasione di riflessione e chiarimento.

All’epoca in cui era entrata in vigore la disciplina in tema di mediazione civile e commerciale di cui al D. Lgs. 28/2010, ne sono forse state eccessivamente enfatizzate le pur reali potenzialità deflattive, nella prospettiva manifestamente perseguita dal legislatore di una riduzione del contenzioso giudiziale, comunque auspicabile attraverso la giustizia cd. “alternativa”.

Insistere sulla funzione deflattiva indicandola come prioritaria e quasi esclusiva ha finito però con l’alimentare una concezione controproducente della mediazione quale alternativa “in competizione” – cioè in concorrenza – con la giurisdizione.

Nel 2010, purtroppo, larga parte del ceto forense ha così visto nella mediazione obbligatoria un pretesto della politica per evitare gli investimenti necessari ad assicurare un processo celere ed efficiente, accampando la scusa di un’ipotetica riduzione del contenzioso grazie alla mediazione: al contrario la mediazione, non solo non esclude la necessità di un processo efficiente, ma ne ha anzi bisogno, poiché l’efficienza della giustizia è il primo incentivo a utilizzare la mediazione seriamente, soprattutto per le parti che più hanno da temere dall’esito di un procedimento giudiziario tempestivo ed efficace quanto alla formazione di una decisione esecutiva, nonché alla sua concreta attuazione.

La stretta connessione con cui la mediazione è stata collegata al contenzioso come alternativa in competizione col contenzioso medesimo, ha finito altresì per creare in molti pratici uno sbrigativo preconcetto riguardo alla natura dello strumento, quale ausilio per i legali a far raggiungere alle parti una soluzione transattiva intesa come mero compromesso al ribasso rispetto alle rispettive valutazioni circa il possibile esito favorevole di un giudizio, secondo la nota regola empirica – invalsa presso i cd. “operatori del diritto” – per cui “è meglio una cattiva transazione di una buona causa”.

Orbene, se da un lato una soluzione di compromesso rispetto alle pretese suscettibili di essere rispettivamente coltivate in giudizio dalle parti può talvolta – o magari anche spesso – essere utilmente raggiunta con l’intervento del mediatore che, in particolare, facilita la comunicazione, consente di prevenire inconvenienti comuni quali proposte precoci o svalutazioni reattive e, nelle sessioni separate, acquisisce dalle parti informazioni confidenziali utili a imbastire un accordo; dall’altro lato però non bisogna mai dimenticare che tale eventuale soluzione di compromesso è solo una tra le molteplici possibilità offerte dal procedimento di mediazione, il cui principale obbiettivo è in realtà di aiutare i partecipanti a raggiungere una “buona transazione”, che non è necessariamente un compromesso al ribasso.

Occorre infatti avere ben chiaro che la mediazione abbraccia una prospettiva nettamente più ampia di quella del contenzioso giudiziale, in cui va considerato che il diritto pone seri limiti all’attore, circoscrivendone la stessa possibilità di imporre la propria volontà alla controparte attraverso l’intervento dell’autorità giudiziaria e gravandolo dell’onere di proporre sin dall’inizio del processo una domanda, che dovrà risultare non solo ammissibile, ma restare anche fissa e immutabile in tutti i gradi del giudizio e per finire, ove recepita in una decisione esecutiva, dovrà essere in concreto suscettibile di venire realizzata mediante l’esecuzione forzata nei confronti di una controparte, verosimilmente ricalcitrante, quando non apertamente ostile e magari desiderosa di rivalsa.

La mediazione, invece, consente di emanciparsi da tutte le anzidette rigidità connaturali al giudizio ed essere aiutati nella ricerca informale di una soluzione concordata e su misura, diversa da quella offerta dalla decisione di un giudice terzo, la cui cognizione è giocoforza limitata a quanto è consentito dal diritto ed emerge nel contraddittorio, laddove le parti possono tenere invece in considerazione aspetti eterogenei e ben più ampi di quelli in cui deve rimanere confinato per necessità un giudizio autoritativo, il tutto in tempi rapidi nonché con costi predeterminati e ridotti rispetto a quelli di una causa.

Tale ricerca può poi ben essere condotta in mediazione direttamente dagli interessati, con l’opportuna assistenza dei rispettivi legali, senza snaturarne il ruolo di difensori che certamente non va dimenticato e consiste appunto nell’assistere le rispettive parti sul piano tecnico delle regole normative, assicurando alla soluzione raggiunta una veste giuridica compatibile con l’ordinamento e suscettibile, ove occorra, di essere tutelata in conformità al diritto.

In definitiva e tutto ben considerato, si può dire che la mediazione ha natura alternativa rispetto alla giurisdizione non perché sia in concorrenza nel senso della competizione, come a un esame superficiale si potrebbe forse ritenere, ma perché offre uno strumento a ben vedere complementare, nella prospettiva di consentire attraverso la partecipazione consapevole, responsabile e autonoma degli interessati, la realizzazione di obbiettivi che sono preclusi alle decisioni autoritative, ponendosi così in un rapporto di sussidiarietà con l’ordine giudiziario.

Occorre così tenere sempre presente che la mediazione, anche declinata nella forma civile e commerciale presa in considerazione dal D. Lgs. 28/2010, in ogni caso ha un campo ben più ampio della mera soluzione transattiva del contenzioso giudiziale, consistendo alla radice in un metodo che aspira a creare una buona prassi di gestione dei conflitti in una società soggetta a un veloce cambiamento e nella quale il valore dell’autonomia privata viene riconosciuto promuovendo spazi per decisioni partecipate implicanti consapevolezza e responsabilità, nel rispetto dei valori etici generali e senza peraltro trascurare l’utilità individuale legittimamente perseguita dalle parti, che hanno di mira il soddisfacimento dei rispettivi interessi concreti.

Mi pare che a questo punto possano risultare chiari i termini in cui oggi la mediazione vada intesa per poter offrire alle parti in conflitto l’opportunità di una soluzione tempestiva e conveniente, quindi efficace.

E infatti, nella situazione attuale di emergenza grave e generalizzata, più che di affidare all’autorità giudiziaria la soluzione di vertenze, stabilendo in diritto e con i tempi necessari al processo chi ha torto e chi ragione sulla base di istituti quali, ad esempio, la risoluzione per inadempimento o l’eccessiva onerosità sopravvenuta, comuni cittadini e imprese si trovano nell’urgente necessità di rinegoziare rapidamente tra loro rapporti obbligatori in genere nonché contrattuali, aventi ad oggetto sia prestazioni corrispettive che di collaborazione, nell’auspicabile prospettiva di ristrutturare relazioni critiche allo scopo di consentirne la prosecuzione superando questa drammatica fase.

Non v’è chi non veda allora come oggi la mediazione, utilizzata nella maniera congrua e consapevole che qui ho cercato di mettere in luce, possa costituire metodologia di grande utilità per perseguire l’obiettivo di risanare i rapporti messi in crisi, gestendo i conflitti insorti con l’ausilio professionale di avvocati e mediatori, nella prospettiva di aiutare le parti a ricercare insieme soluzioni costruttive, responsabili e praticabili, che riconoscano i reciproci interessi individuali e al tempo stesso favoriscano quella coesione sociale più che mai auspicabile, e anzi necessaria, per superare l’emergenza.

*Mediatore presso Servizio di conciliazione CAM