di Cristina Bianchi*
Mi devo ricordare, la prossima volta che incontrerò un collega mediatore, di chiedergli se capita anche a lui (o a lei) di chiedersi, “come sarebbe andata a finire” una questione, se le parti avessero deciso di affrontarla in mediazione, piuttosto che in un’aula giudiziaria, un po’ come accade nel famoso film Sliding doors.
L’articolo di Repubblica ricorda a tutti che nessuno, neppure Dolce e Gabbana, può utilizzare una maglietta del Pibe De Oro, senza la sua autorizzazione.
Il giudice milanese incaricato della questione ha fatto propendere la bilancia della giustizia dalla parte del fuoriclasse argentino, condannando la coppia di stilisti al risarcimento del danno.
Il principio applicato in Tribunale per dirimere la controversia riguarda lo sfruttamento indebito del nome e dell’immagine di un personaggio noto, che richiede sempre l’autorizzazione di quest’ultimo, per essere lecito.
In una partita di calcio, come nel corso di un processo, lo scopo dei partecipanti è vincere. Arbitri e giudici sono, rispettivamente, i garanti della gara e del procedimento. Difensori e avvocati sono schierati, in prima linea, pronti a combattere. Arrivare alla porta dell’avversario e segnare, è l’ossessione di ciascun “giocattore” e di ogni convenuto.
Proviamo ad immaginarci, invece, le stesse parti, durante un incontro di mediazione.
Maradona, assistito dal proprio coach, un avvocato preparato alla mediazione e Stefano Dolce e Domenico Gabbana, altrettanto fiancheggiati con stile da un professionista di fiducia.
Il mediatore, che non è un arbitro e neppure un giudice, pronto ad ascoltare le parti e ad aiutarle ad individuare i loro interessi e i loro bisogni, che si nascondono dietro ai principi.
Seppure circondato da riservatezza, il confronto avrebbe tutta l’attenzione del caso, da parte del mediatore, il cui scopo principale è quello di ascoltare le parti e aiutarle a comporre la questione, avuto riguardo alle rispettive priorità, economiche e personali.
Un’offesa subita in passato? Bisogno di tornare alla ribalta mediatica? Chissà cosa ha mosso Maradona, o qualcuno del suo entourage, ad accanirsi contro gli stilisti, che, dal canto, loro, forse avrebbero preferito non far parlare di sé, come parti soccombenti di un giudizio, e ci avrebbero guadagnato, se, nel corso di una mediazione, avessero potuto concordare l’equo prezzo per future possibilità di sfruttamento (lecito) dell’immagine e del nome del noto calciatore.
Non potremo mai sapere come sarebbe andata, e quel che più mi dispiace, neppure Maradona e D&G sapranno mai quanto hanno perso, entrambi, per non essersi confrontati alla ricerca di una soluzione vantaggiosa per ciascuno di loro.
Leggo, in questi giorni, che anche Philipp Plein e il brand automobilistico Ferrari stanno avendo i loro guai mediatici e lascio a voi, se vi va, provare a pensare come andrà a finire, e, nel contempo, a esercitarvi, magari anche con la fantasia, a ipotizzare quali potrebbero essere le vere leve che stanno muovendo le parti a scontrarsi, e quali le basi di un possibile accordo, che potrebbe essere con pazienza costruito, a vantaggio di entrambi.
Certo è che, per sapere davvero come si sentono le parti, cosa le muove, e cosa vogliono ottenere, andrebbe chiesto a loro. Questo è ciò che un mediatore ama fare, e quando riesce ad accompagnare le parti a un accordo, grazie al quale tutti sentono di avere vinto, ve lo garantisco, è come fare il più spettacolare gol.
*mediatore, consulente proprietà industriale