Un “giudice alla rovescia”: intervista a Luciana Breggia

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*di Valeria Lovato

Luciana Breggia è un magistrato, Presidente della Quarta Sezione Civile del Tribunale di Firenze. E’ anche una grande sostenitrice della mediazione e di una saggia cultura della gestione del conflitto. Autrice di “Il Giudice alla Rovescia” (Einaudi Ragazzi, 2015), un libro dedicato ai bambini ma in realtà adatto ad una platea assai più vasta, Breggia ha incontrato Blogmediazione per parlare di questa creazione letteraria e di molto altro…

Da dove nasce l’ispirazione per la scrittura del suo libro “Il giudice alla rovescia”?

Dal mio lavoro di giudice, specie dai casi di “prossimità”, cioè dalle liti che riguardano persone vicine, familiari, vicini di casa e simili. Conflitti che consideriamo di poca rilevanza e che, invece, minano la coesione sociale, scatenando quella che il sociologo Aldo Bonomi ha definito una micro-guerra civile. Non di rado, infatti, da queste relazioni rabbiose si può trascendere in fatti gravi, di rilievo penale.

In che cosa consiste il “capovolgimento” di questa figura giudicante? 

Il giudice alla rovescia è in realtà una figura complessa. Il linguaggio simbolico della fiaba mi ha permesso di mescolare vari aspetti, ad esempio, il giudice in fondo è anche quello che si fa carico delle ragioni del leccio che stava per essere tagliato e quindi lo difende; e direi che in tutti i cinque casi esaminati il giudice pone in essere anche delle abilità che sono proprie della mediazione: far vedere le ragioni dell’altro, non pensare che ci sia un’unica soluzione, ma far intravedere plurime soluzioni con creatività. Secondo me anche il giudice (civile) dovrebbe in prima battuta fare proprio questo, con il tentativo di conciliazione oppure, a seconda dei casi, con l’invio in mediazione. Il Giudice del libro è alla rovescia perché non si ferma alla soluzione più ovvia, capovolge gli schemi usuali.

Quanto c’è della vita reale del magistrato in questa esperienza narrativa e quanto assomiglia il nostro Paese a quello del suo libro?

I casi del libro sono tratti dalla realtà. In particolare, l’idea di scrivere il libro è nata dal caso del leccio che mi era capitato come giudice in seguito ad un ricorso urgente in cui si lamentava la pericolosità dell’albero. Quando il proprietario del terreno dove sorgeva l’albero, pur dopo la consulenza dell’esperto che escludeva ogni pericolo, mi disse che era d’accordo di fare abbattere l’albero “pur di non sentire più il vicino”, è scattata per me l’esigenza di elaborare questo fatto in un’altra dimensione, dove anche il leccio potesse far sentire la sua voce…i fatti che descrivo nel caso sono tutti veri dunque… tranne la soluzione, ovviamente !
Il libro nasce dalla mia esperienza lavorativa e anche dalla constatazione dell’insufficienza del diritto per risolvere certi tipi di controversie per le quali sarebbe più adeguato raggiungere un accordo amichevole.

Ci dica tre caratteristiche che ritiene fondamentali per saper litigare bene.

Attraversare le proprie emozioni, non negarle, ma far passare il tempo sufficiente per capire quale è la vera ragione del conflitto e il nostro interesse; cercare di mettersi nei panni dell’altro e capire quale è la sua ragione; non far crescere il conflitto oltre il punto di non ritorno, cioè quello in cui divampa inarrestabile. In questo l’intervento di un terzo è molto importante.

Poche righe per riassumere il senso del lavoro fatto insieme dal Giudice, nostro protagonista, e dalla comunità che lo ha ospitato.

Il Giudice cerca di esercitare una sorta di arte maiuetica, di far emergere le soluzioni dagli stessi abitanti del villaggio (tipico è il caso di Màriza), cerca di farli procedere oltre l’apparenza e li invita a prendersi il tempo per stabilire relazioni e ricomporre i conflitti, a volte, almeno in parte, artificiosi.

Secondo lei quando giustizia e legalità si allontano e quando si avvicinano fino a coincidere?

La discussione tra legalità e giustizia è sempre aperta; secondo me, sicuramente ci si avvicina alla giustizia quando più ci si avvicina alla Costituzione e alle Carte dei diritti che riconosciamo come fari del nostro tempo; ma forse non potrà mai esserci una coincidenza. Un grande filosofo francese, Jean-Luc Nancy, diceva che la legge cambia, si evolve, mentre la giustizia resta sempre da attuare, bisogna innanzitutto scoprirla…e aggiungeva: ‘”’inizio della giustizia consiste nel sapere che non si è mai sufficientemente giusti”.
Dunque è un cammino che riguarda ciascuno di noi e non ha fine.

Quale messaggio vorrebbe che i piccoli lettori del suo libro cogliessero?

Sono andata in numerose scuole per parlare di conflitti, di come si formano le regole, della giustizia nelle sue varie declinazioni e con alcuni amici abbiamo anche articolato un laboratorio che si chiama “Caro giudice alla rovescia” . Per sintetizzare il messaggio che cerco di trasmettere direi questo: i bambini e i ragazzi imparano tante cose durante la loro crescita, ma devono apprendere la base perché la crescita sia piena e consapevole: imparare a litigare. Voglio dire imparare a farlo, senza essere prevaricatori o vittime, senza distruggere, ma in modo da generare nuove sensibilità e abilità.