Mediazione tributaria: il punto della situazione

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Le controversie con il fisco sono senza alcun dubbio estremamente spiacevoli per chi le vive, almeno sotto il profilo economico. Anche in questo settore negli ultimi anni si è fatto ampio ricorso agli strumenti di giustizia alternativa arrivando a creare la “mediazione tributaria”. Non si è in presenza di un soggetto realmente terzo e numerose sono le differenze rispetto ai più tradizionali meccanismi noti ai lettori di questo blog. Nondimeno, il settore resta di particolare interesse per tutta una serie di similitudini e assonanze che meritano più di un approfondimento. Massimiliano Ferrari, commercialista e mediatore, da diversi anni si occupa di questa materia.

Nel 2013 ti intervistammo per chiederti informazioni sulla mediazione tributaria. A distanza di sei anni cos’è cambiato e quali progressi ci sono stati?

Possiamo dire di esser stati dei pionieri in tal senso perché già allora avevamo visto punti di incontro tra due mondi solo apparentemente lontani.
Da allora, sono cambiate molte cose e ci sono stati dei progressi, a mio personale avviso significativi.
Ricorro alla storia della rana che bolle in un pentolone, che d’improvviso si accorge dall’aumento della temperatura. Non si può certo dire, intendo, che si sia passati direttamente dall’acqua fredda all’acqua bollente ma ci sono stati tanti segnali che vanno nella direzione di favorire e aumentare l’appeal degli strumenti deflattivi, anche nell’ambito del contenzioso tributario.
Mi riferisco all’importante intervento Legislativo in questa direzione, con il quale recentemente è stato introdotto l’aumento del valore delle controversie tributarie sottoposte all’obbligo di mediazione: per i ricorsi presentati a partire dal 1.01.2018 l’art. 10, comma II, D.L. 50/2017 ha innalzato la soglia di valore da €20.000,00 ad € 50.000,00, al netto di sanzioni ed interessi, estendendo l’utilizzo dello strumento in parola ad altre fattispecie fiscali, quali, ad esempio, i tributi locali ed i recuperi per i contributi annuali alla CCIAA non versati regolarmente.
I veri progressi però sono quelli invisibili. Penso per esempio al fatto che sempre più professionisti di contenzioso tributario apprezzano quello che è il mondo della negoziazione, spogliandosi in parte, nell’approccio al conflitto fiscale, dell’abito del contenziosista “puro”, per rivestire anche i panni del consulente ADR.
Certamente la strada da percorrere è ancora lunga. Bisogna sempre partire dal presupposto che la mediazione tributaria non è una vera e propria “mediazione”, come usualmente intesa.
Ciò non sta a significare che non si debba comunque cercare di utilizzare al meglio questo strumento: l’Amministrazione Finanziaria è comunque portatrice di bisogni inesplorati nella fase tipicamente contenziosa e sui quali possono nascere i germogli di un accordo conveniente per tutti.

Periodicamente sui media appaiono notizie riguardanti accordi raggiunti dai contribuenti italiani con l’Erario. In questo caso le parti hanno dato vita ad un vero e proprio negoziato? E su quali basi?

Le fasi deflattive nel mondo tributario sono sostanzialmente tre: l’accertamento con adesione (che potrebbe in qualche misura essere paragonabile alla negoziazione assistita), la mediazione tributaria e la conciliazione giudiziale.
Quello di cui sentiamo spesso parlare in televisione, a mio avviso, sono accordi connessi all’accertamento con adesione, ancorché i contribuenti possano giungere con l’Amministrazione Finanziaria ad accordi anche in sede di mediazione tributaria e di conciliazione giudiziale, istituti questi ultimi, interessati da recenti modifiche normative, neppure tra loro alternativi e dunque entrambi percorribili sul medesimo oggetto, in momenti diversi, pur di arrivare ad un accordo definitivo con il Fisco.
Quanto alle “basi” del possibile accordo, partirei da un presupposto fondamentale, che accomuna i tre citati strumenti deflattivi: questi, infatti, non possono mai essere intesi quali “correzioni” dell’accertamento originario, in quanto, se mai il verificatore dovesse rendersi conto che la pretesa erariale non fosse, ab origine, sufficientemente fondata, dovrebbe obbligatoriamente transitare dall’istituto dell’autotutela o del reclamo, ovvero dovrebbe rettificare l’atto impositivo iniziale ed emettere un nuovo atto corretto. Per cui gli accordi non si devono fare sempre e per forza ma si possono fare a determinate condizioni e senza creare alcun imbarazzo dal punto di vista normativo e legislativo
Le “transazioni” con il Fisco si fondano decisamente sullo sfondo dello scenario giudiziale, pure introducendo la variabile del possibile esito finale del procedimento (valutando dunque miglior o peggior alternativa all’accordo negoziato) e sono accordi a tutti gli effetti, dove è necessario che vi sia la reciproca volontà di porre fine alla contesa.

Il ruolo di un terzo realmente neutrale in un rapporto con l’Agenzia delle Entrate sembra ancora marginale. Esistono spazi perché si possa dare avvio a qualche sperimentazione?
Gli spazi esistono ma il tutto non è semplice da attuare: ad oggi occorre lavorare con gli strumenti offerti dalla norma, che peraltro prevede che i Funzionari designati a gestire il procedimento di mediazione tributaria non siano legati all’attività di accertamento, bensì facenti parte del team legale e, come tali, hanno maggiori e diverse competenze per valutare il caso.
In questo scenario, un’importante funzione è quella rivestita dai consulenti tributari, i quali, se non possiedono una “cultura ADR” fanno decisamente molta  fatica a comprendere le logiche della mediazione. Si pensi, ad esempio, alla capacità di porre le c.d. “domande aperte”, la valutazione della miglior o peggiore alternativa all’accordo, così come la necessità di prendere in considerazione l’impatto emotivo collegato ad un contenzioso fiscale, aspetto che molto sottovalutato anche dai più esperti contenziosisti tributari.
Vedo spiragli positivi tra quei colleghi che partecipano a momenti formativi dedicati agli strumenti deflattivi del contenzioso tributario, anche sotto il profilo delle tecniche di negoziazione, sul condiviso presupposto che la mera conoscenza della normativa, dal punto di vista tecnico, non appare sufficiente per la gestione in concreto del negoziato.

Da quanto dici sembra di capire che il commercialista che segue il cliente nella trattativa debba avere competenze di negoziazione. Si tratta di un’area su cui viene svolta attività di formazione nei confronti dei professionisti? 

È fondamentale possedere una “cassetta degli attrezzi”, al pari di quella che il mediatore civile e commerciale è in grado di “costruire” e “riempire” con adeguati strumenti e nozioni a seguito di un buon e costante percorso formativo.
Personalmente mi diverto a fare buon uso di queste tecniche ottenendo sovente dei buoni risultati.
Ai miei clienti dico sempre questo: “non le so dire se riusciremo ad avere una proposta accettabile, ma le assicuro che negoziando efficacemente potremo ottenere la miglior proposta negoziale che la Amministrazione finanziaria è in grado di fare, poi valuteremo sul da farsi”.
Invito quindi tutti i contenziosisti fiscali ad avvicinarsi al mondo della mediazione civile, al fine di comprendere quanto possa essere utile usare al meglio il deflattivo in tutte le sue formidabili sfumature.
Non a caso tale necessità è stata avvertita anche a livello ordinistico. Il nuovo regolamento di formazione professionale continua dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha esteso alle materie in relazione alle quali è “obbligatorio” acquisire un certo numero di crediti formativi anche l’ambito della mediazione civile. Così facendo si potrà fare formazione sull’apprendimento delle tecniche di negoziazione, comunicazione e gestione del conflitto che rappresentano, a mio avviso, il punto di maggiore interesse per la mia categoria.