di Alice Trioschi*
Secondo l’Art Basel & UBS Art Market Report 2018, le vendite d’arte globali nel 2017 sono cresciute del 12% rispetto al 2016, raggiungendo la cifra di 63.7 miliardi di dollari. Il TEFAF Art Market Report del 2017, ha poi creato un focus specifico sul mercato delle vendite di arte antica: l’Europa è il continente che ha esportato più arte antica, per un totale di 14.5 miliardi di dollari, e il secondo per importazioni dopo l’America, con 11 miliardi.
All’interno di questo scenario è difficile determinare la percentuale esatta del mercato nero dell’arte, che rimane nascosto agli occhi dei più. Studi diversi, attribuiscono a tale mercato la grandezza di circa un settimo di quello legale. Stando a queste stime, nel 2017 la sua dimensione avrebbe raggiunto circa i 9 miliardi di dollari. L’UNESCO ha recentemente identificato il mercato nero in arte come uno dei mercati illegali più duraturi nel corso del tempo, comparandolo a quello delle armi e della droga. Si stima che circa l’80-90% dei reperti antichi abbia un’origine illecita, nonostante poi venga venduto con successo all’asta o in trattative private. Tramite la vendita “legalizzata”, le opere guadagnano una provenienza “pulita” e diventano più attraenti per i collezionisti che desiderano investirvi. La loro provenienza illecita, viene generalmente scoperta dopo diversi passaggi di proprietà grazie all’attenzione dei professionisti che lavorano nel mercato dell’arte, gli studiosi e gli storici dell’arte.
Un famoso esempio di questo meccanismo è il caso Gurlitt. Nel 2012, 1285 opere d’arte furono trovate a Monaco di Baviera nell’appartamento di Cornelius Gurlitt, figlio dello storico dell’arte Hildebrand Gurlitt. I quadri erano stati rubati dal padre durante la seconda guerra mondiale: Hildebrand era infatti parte della Commissione per lo Sfruttamento dell’Arte Degenerata, creata da Hitler per sequestrare e vendere l’arte contemporanea del tempo, considerata appunto “degenerata”. Molte opere rimasero in casa Gurlitt fino al bombardamento di Dresda: per salvarli, Hildebrand spostò con un furgoncino la collezione nel sud della Gemania. Dopo la morte del padre, Cornelius iniziò a vendere i quadri e ad usarli come fonte di reddito per sopravvivere fino alla scoperta della polizia tedesca che, a causa di un controllo fiscale sulle sue finanze, trovò la collezione e lo arrestò.
Per ovviare a questi problemi, alcune autorità sovranazionali e nazionali hanno creato dei database che aiutino i collezionisti a identificare se un’opera sia stata rubata o meno. I Carabinieri, ad esempio, utilizzano il sistema Leonardo, che permette al proprietario di un’opera di ricercare liberamente sul database se la stessa abbia una provenienza illecita. A Londra, l’Art Loss Register offre agli utenti la possibilità di ricercare la propria opera tra i 500.000 oggetti da collezione rubati e registrati sul database. Similmente, anche l’INTERPOL ha sviluppato un database di opere rubate, contenente oggi circa 49.000 oggetti. Esistono poi database specializzati in materie specifiche, come il Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg (ERR) per le opere trafugate durante il regime nazista in Belgio e Germania o il registro di opere tedesche rubate del Deutsches Zentrum Kulturgutverluste, che registrava più di 150.000 opere nel 2014.
A livello internazionale e nazionale operano diversi sistemi legislativi che combattono i crimini contro il patrimonio culturale: i trattati UNESCO (1954 e 1970) e la convenzione UNIDROIT del 1995 a livello internazionale, la Direttiva 60/2014 e il Regolamento 1215/2012 dell’UE a livello Europeo, il Codice dei Beni Culturali (D.Lgs 42/2004 così come emendato dalla L. 124/2017) sul territorio italiano. Nonostante questo complesso sistema legislativo, la risoluzione dei conflitti per la restituzione di opere d’arte tramite il giudizio ordinario è raramente semplice e veloce. Non c’è, infatti, una definizione armonizzata a livello internazionale di “bene culturale” e rimane alto, vista l’internazionalità di queste controversie, il rischio che le parti compiano “forum shopping” trasferendo l’oggetto della controversia nello stato con la legislazione a loro più favorevole.
Una soluzione a queste problematiche, potrebbe essere quella di utilizzare i metodi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR), quali arbitrato, mediazione e negoziazione. Sono diversi i casi di restituzione di opere d’arte tornate nelle mani dei legittimi proprietari tramite tali metodi, anche sul territorio italiano. Si propone dunque di seguito un esempio di negoziazione, la restituzione della statua di Vibia Sabina dal Boston MFA alla Repubblica Italiana.
Nel 1974, durante i campionati mondiali di calcio, Nikolas Koutoulakis, commerciante d’arte greco, ricevette una bella notizia: alcune opere d’arte antica stavano per essere immesse sul mercato dell’arte. Tra di esse, di particolare interesse era la statua di Vibia Sabina (ca. 136 d.C.), la moglie dell’imperatore romano Adriano (117-138 D.C.), proveniente da Villa Tivoli, Roma. La statua si trovava nel magazzino di un venditore turco a Monaco di Baviera. Koutoulakis chiese dunque all’amico italiano Giacomo Medici di andare a Monaco per vedere la statua, e di scattarne alcune polaroid. Il greco decise di non comprare l’opera, che fu poi acquistata da Fritz Burki, commerciante svizzero, nel 1979 e da lui venduta al Boston Museum of Fine Art (Boston MFA) tramite l’agente americano Robert E. Hecth Jr. La provenienza della statua fu al tempo identificata in una ricca famiglia aristocratica di Baviera. Alcuni anni dopo, però, si scoprì la verità sulla sua storia.
Nel 1995, i Carabinieri e le autorità svizzere effettuarono una grossa operazione di indagine e sequestro presso quattro depositi locati a Ginevra di proprietà di Giacomo Medici. Lì vennero scoperte migliaia di opere d’arte, documenti, reperti archeologici trafugati in Europa e venduti sul mercato nero dell’arte, dando vita alla “Cospirazione Medici”. Tra le tante opere, furono trovate le polaroid scattate da Giacomo anni prima a Monaco, raffiguranti la statua di Vibia Sabina. Due archeologi italiani, Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini, collegarono le polaroid alla statua acquisita dal Boston MFA, portando la loro scoperta alla conoscenza dei media internazionali. Furono iniziati diversi procedimenti legali, sia in Italia che all’estero. Da questi, emerse che Medici e Hecht si conobbero a
Roma negli anni ’60, creando un network internazionale di traffico di opere d’arte. Medici conosceva i tombaroli, mentre Hecht aveva contatti nel mondo dei musei e delle case d’asta di tutto il mondo. Nel 2006, vista la lunghezza dei procedimenti legali, il Ministero della Cultura Italiano propose al Boston MFA di risolvere la lite tramite negoziazione. Entrambe le parti, infatti, preferivano evitare la giustizia ordinaria. Il Boston MFA aveva una posizione “debole” dovuta alle prove fornite dalle polaroid scattate a Monaco da Medici e dalla causa internazionale al tempo aperta contro Medici e Hecht per il traffico illecito di opere antiche. D’altra parte, anche il Ministero della Cultura non aveva una documentazione chiara sulla provenienza clandestina della statua di Vibia Sabina e non avrebbe potuto vincere la causa contro il museo. Il procedimento di negoziazione si svolse tra Maggio e Giugno 2006, concludendosi con accordo scritto nel Settembre dello stesso anno. I firmatari, il direttore del Boston MFA Malcom Rogers e il Ministro della Cultura Francesco Rutelli, si accordarono su tre precisi punti. Il primo fu la restituzione di 13 reperti antichi all’Italia: tra questi, la statua di Vinia Sabina, due anfore a due manici (nestoris) (circa 420-410 a.C e XV sec a.C.), un vaso a due manici (pelike) (circa 450 a.C), due brocche (kalpis-hydra) (circa 285 a.C e 530-520 a.C), una damigiana per l’olio (lekytos) (circa 490 a.C.), un supporto triangolare per candelabri (20-60 d.C.) e un vaso a campana (circa 380-370 a.C.). Il secondo fu la creazione di una partnership tra il Boston MFA e il governo italiano: l’Italia dava infatti la sua disponibilità a prestare al Boston MFA reperti archeologici “significativi” per le future esibizioni organizzate dal museo. Terzo, il museo concordò con lo stato italiano di scambiare informazioni relative la sua futura acquisizione di reperti antichi provenienti dall’Italia. A seguito di diversi anni, si potrebbe affermare che questa negoziazione abbia portato risultati postivi e sia un modello da imitare per il futuro. Infatti, nel 2006 la statua di Vibia Sabina fu restituita all’Italia e esposta in mostre quali “Vibia Sabina. Da Augusta a Diva”, a Villa Adriana, Tivoli. D’altra parte, nel corso degli anni il governo italiano ha prestato diversi reperti al Boston MFA. Esempi sono le mostre “Titian, Tintoretto, Veronese: Rivals in Reinassance Venice” e “Aphrodite and the Gods of Love” tenute dal museo nel 2009 e nel 2011 con la partecipazione dell’Italia.
Il caso Repubblica Italiana / Boston MFA, mette in luce le potenzialità risolutive dei metodi ADR nel campo della restituzione delle opere d’arte illecitamente sottratte dal Paese di provenienza. In particolare, tra arbitrato, mediazione e negoziazione quest’ultima sembra essere stata la preferita per la restituzione di opere d’arte. I risultati del database ArThemis , la piattaforma più usata a livello internazionale per la registrazione di casi ADR inerenti arte e beni culturali, parla chiaro: su 91 casi totali, 80 sono stati risolti tramite negoziazione, 10 con la mediazione e uno tramite arbitrato. La negoziazione è stata particolarmente apprezzata dalle istituzioni culturali quali musei o gli stessi Stati, in forza della possibilità di comunicare con la controparte senza l’intervento del terzo neutrale e tramite la flessibilità del procedimento. In questo scenario, risulta sempre più importante la creazione di istituzioni quali la Court of Arbitration for Art (CAfA) , e i progetti di ADR nel campo di arte e beni culturali, quali ADR Arte della Camera Arbitrale di Milano, la mediazione congiunta ICOM-WIPO e la commissione ICPRCP dell’UNESCO .