di Riccardo Maggioni*
Ho avuto occasione di assistere recentemente a un seminario sul tema – prima a me del tutto ignoto – del cd. storytelling e, anche se di mediazione non si era in alcun modo parlato, mi pare siano emerse analogie sorprendenti e diversi spunti utili ai mediatori, che desidero condividere in questa sede.
Il sintagma “storytelling” può essere tradotto con “approccio narrativo” e designa una strategia comunicativa che si propone di promuovere un’idea, non necessariamente in ambito commerciale, evidenziandone gli aspetti funzionali suscettibili di migliorare la qualità della vita e suscitare partecipazione emotiva, piuttosto che descrivendone le caratteristiche in maniera analitica e razionale.
Lo storytelling considera altresì opportuno, ove possibile, acquisire preventivamente attraverso l’ascolto attivo degli interlocutori informazioni sui loro bisogni e aspettative, così da poter predisporre la comunicazione nel modo più efficace.
Su tale premessa, in sintesi lo storytelling propone l’utilizzo di archetipi narrativi collaudati sin da quando, nella notte dei tempi, gli uomini si raccontavano storie intorno al fuoco.
Archetipo ideale può essere ad esempio la vicenda dell’”eroe”, protagonista della narrazione, il quale si trova all’inizio in una situazione caratterizzata da gravi problemi di cui acquisisce consapevolezza e, nello sviluppo della storia, incontra un mentore che gli offre tecniche e informazioni per risolvere la situazione di partenza: il protagonista, dopo una fase in cui deve vincere le proprie titubanze e mettersi in gioco per superare l’inerzia di uno status quo insoddisfacente ma ormai consolidato nel tempo, si determina finalmente a oltrepassare la soglia e iniziare un cammino lungo il quale affronterà prove, incontrerà alleati e nemici, per riuscire a raggiungere infine l’obiettivo prefissato e risolvere i problemi che lo affliggono.
Alla luce di quanto sopra, vado ora a tirare le fila del discorso in relazione alla mediazione.
A mio avviso l’incontro preliminare (o “primo incontro”) di mediazione costituisce l’occasione di mostrare alle parti che il mediatore ha sia le capacità tecniche che le qualità umane per aiutarle a gestire il loro conflitto, trovandone auspicabilmente una soluzione di reciproca soddisfazione: come insegna Watzlawick nella Pragmatica della Comunicazione Umana (1971, Roma), la comunicazione – anche in occasione del primo incontro di mediazione! – avviene peraltro sempre a due livelli distinti, da un lato quello del contenuto e dall’altro lato quello della relazione.
Forse perché la mia formazione è quella del giurista pratico, privo di nozioni approfondite in tema di psicologia, in occasione dell’incontro preliminare mi sento per lo più a mio agio nel descrivere il contenuto della mediazione come istituto. Talvolta, ho però la sensazione che la descrizione più o meno analitica dell’istituto, tutto ben considerato, non sia di grande utilità per instaurare una relazione proficua con le parti. Spesso, più che fornire le nozioni astratte sulla mediazione e il suo funzionamento, risulta utile per i partecipanti creare un’atmosfera concreta di fiducia e collaborazione, anzitutto con il mediatore e quindi tra loro, necessario presupposto per una gestione efficace del conflitto.
Sotto questo profilo l’approccio di fondo dello storytelling, con la cura che dedica all’aspetto emotivo e relazionale, mi pare ideale per mettersi nella condizione di mostrare alle parti che, al di là degli aspetti tecnici del procedimento, la mediazione costituisce uno strumento utile a migliorare la qualità della loro vita, idoneo a gestire in maniera appropriata il conflitto in cui sono coinvolte.
Anche poi senza arrivare a realizzare vere e proprie narrazioni, l’approccio dello storytelling risulta a mio avviso sorprendentemente calzante con l’attività del mediatore che si deve sforzare di non porre al centro sé stesso bensì i suoi interlocutori, considerandoli gli “eroi“ protagonisti della vicenda rispetto ai quali il mediatore si pone quale “mentore” che le aiuta offrendo informazioni e tecniche utili a “mettersi in cammino” alla ricerca di una comune soluzione del conflitto, magari di non facile reperimento ma che comunque vale la pena di impegnarsi a perseguire, nella prospettiva di un miglioramento della propria vita.
In occasione dell’incontro preliminare, in particolare, l’impostazione dello storytelling mi pare utile al mediatore per evitare di porsi come un professionista che tenta di convincere a utilizzare il proprio servizio e aiutare invece le parti a comprendere che sono loro le vere protagoniste (gli “eroi”), insieme ai rispettivi legali e consulenti che per lo storytelling costituiscono auspicabilmente preziosi “alleati”, chiamate a intraprendere insieme un percorso che vede il conflitto come un problema comune da risolvere.
In tale impostazione, la mediazione costituisce un aiuto prezioso per migliorare la qualità della vita dei partecipanti e giustifica l’impegno a superare una situazione tradizionale in cui le parti si rivolgono a un giudice terzo, attendendone passivamente la decisione che dovrebbe porre fine d’autorità alla disputa e viene così meramente subita.
Nel presentare le mie riflessioni che precedono, estemporanee e senza pretese, sarei ben felice infine di suscitare l’interesse e il contributo dei colleghi mediatori, in particolare di coloro le cui specifiche conoscenze tecniche consentano una riflessione sul tema meno “naif”, ma più approfondita e consapevole.
*Avvocato e Mediatore in Milano