Integrative Law… di cosa stiamo parlando?

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di Mariaclaudia Perego

Con l’espressione Integrative Law si indica, da qualche anno, un movimento che unisce avvocati di molte nazionalità nella condivisione di un nuovo approccio alla professione; un approccio che, come dice J. Kim Wright, avvocato americano che ha dato il via al concretizzarsi di questo movimento, integra l’aspetto razionale – analitico proprio del diritto positivo con il lato umano di ogni problema e situazione, per affrontare il quale viene chiesto l’intervento di un legale.
La scelta di definire Integrative Law questo approccio nasce da un gruppo di professionisti americani riunitisi, non molti anni fa, sotto la guida di J. Kim Wright, per soddisfare il bisogno di definire in qualche modo quest’ondata innovativa che ha risvegliato e poi ampliato il ruolo sociale della professione forense.
Svolgere il nostro lavoro non tanto, o meglio, non solo per fare business ma anche come servizio verso una società ferita e resa sempre più vulnerabile dall’alto tasso di conflittualità ai vari livelli; questa è la spinta che muove i professionisti che condividono questo approccio; aiutare a prevenire, gestire e sanare i conflitti sono obbiettivi che diventano parte fondamentale del compito di un avvocato. Gli avvocati che scelgono di seguire questo approccio hanno bisogno di strumenti diversi e più ampi rispetto a quelli che vengono forniti nei corsi universitari tradizionali.
Le radici comuni di coloro che si sono avvicinati all’Integrative Law si ritrovano, pertanto, nella lettura della nostra professione come di una professione ad alto impatto sociale, che richiede una espansione delle competenze oltre la conoscenza del diritto positivo o processuale; da qui discende la visione, che gli avvocati integrativi condividono, del sistema legale come di un sistema inestricabilmente interconnesso con la società e l’essere umano. Il diritto è il DNA della società, cambiando e integrando il nostro approccio aiutiamo il cambiamento della società in cui viviamo.
E’ chiaro come l’approccio dell’avvocato integrativo nasca e trovi le sue radici nell’idea di una società costituita da più elementi tutti connessi tra di loro le cui relazioni sono inscindibili. Tutto ciò comporta un radicale e profondo cambiamento di punto di vista da parte di noi legali e una percezione del sistema legale come quella di un sistema fluido e volto alla prevenzione e soluzione dei problemi che tocchino le vere fonti del conflitto e non solo l’aspetto esteriore e manifesto della controversia, si parla così di tecniche di linguaggio delle situazioni conflittuali.
Il modo spontaneo con cui l’Integrative Law è nata fa si che ognuno di noi contribuisca con le proprie capacità e sensibilità ad applicarla nella realtà quotidiana seguendo la via che ritiene più vicina al proprio modo di svolgere la professione; è un continuo imparare da sé e dagli altri andando oltre gli schemi predefiniti.
Questo movimento si basa su quattro pilastri principali che costituiscono il terreno comune dei professionisti integrativi, vediamoli insieme così come J. Kim Wright li ha indicati nel suo libro “Lawyers as Changemakers”.
Il primo pilastro: i professionisti integrativi hanno in comune un percorso di formazione e riflessione personale che li porta in contatto quotidianamente con le loro motivazioni, i loro propositi; sono persone curiose e alla continua ricerca di sé e del mondo.
Il secondo pilastro: i professionisti integrativi hanno come punto di riferimento costante propositi e valori coerenti anche nella loro attività professionale; si parla di un vero e proprio allineamento tra ciò che si è e l’approccio al lavoro quotidiano; ricordiamoci che il nostro cervello non fa distinzioni tra la vita lavorativa e quella personale, non esiste una scissione, poterlo fare è solo una nostra illusione.
Il terzo pilastro: i professionisti integrativi hanno in comune una visione del mondo e della società come di un unico grande sistema i cui elementi si influenzano continuamente, e poiché ogni essere umano è parte del sistema ognuno di noi può fare la differenza.
Il quarto pilastro: i professionisti integrativi sono portatori di una ampia e consapevole visione della professione e della cultura che è di sostegno all’evoluzione della società.
Questi quattro pilastri fanno sì che l’Integrative Law Movement possa essere definito come un approccio e non come un metodo; il professionista integrativo può essere descritto come un flusso di acqua che si adatta al terreno, agli eventi; pur condividendo i pilastri di base ognuno di noi porta un piccolo passo personale all’interno di questo grande cammino con lo scopo unitario di aiutare le persone in conflitto o in situazioni ad esso correlate.
Nel mondo integrativo si stanno comunque strutturando degli strumenti condivisi e applicabili nella pratica quotidiana; i principali, a cui vorrei accennare in questo breve scritto, sono la Touchstone e l’ ACED Adressing Change, Engaging Conflict and Disagreement.
Per Touchstone si indica il lavoro che le parti compiono, coadiuvate dai propri avvocati, in vista della conclusione di un accordo, della costituzione di una società, e vorrei dire, anche prima di scegliere di iniziare una convivenza o di sposarsi, e dà loro l’opportunità di chiarirsi e mettere per iscritto i valori e le motivazioni comuni che li spingono a cercare o a concludere un accordo; i criteri alla base delle scelte effettuate in quel momento diventano una chiave di lettura e un punto di riferimento utilizzabile ex post.
Vediamo ora il secondo strumento: il metodo di ingaggio delle situazioni di crisi e conflittuali chiamato ACED Adressing Change, Engaging Conflict and Disagreement.
Il fondamento principale di questo strumento nasce dalla considerazione che qualsiasi situazione, col passare del tempo, sia soggetta a mutamenti e che pertanto quando si lavora a un accordo, quale che sia la sua natura, è necessario costruirlo così da renderlo adattabile e flessibile ai mutamenti, da un lato, e conservativo della relazione tra le parti, dall’altro.
Questo è possibile mediante la predisposizione di un sistema di ingaggio delle situazioni potenzialmente conflittuali, che le parti possono scegliere tra quelli comunemente usati o, se preferiscono, delineare un sistema ad hoc.
Ingaggiare una situazione conflittuale prima che il conflitto emerga, o agli arbori della sua manifestazione, ha il grande vantaggio di dare spazio a una più facile gestione dell’aspetto emotivo del conflitto.
Le parti coinvolte sono pertanto più facilmente propense a fare un passo indietro per poi valutare il percorso con la mente calma e oggettiva, a incontrarsi, magari alla presenza di un terzo neutrale che faciliti il processo, e rileggere la situazione alla luce dei motivi che li hanno spinti a trovare un accordo o a compiere scelte comuni; ecco perché ACED e Touchstone sono due elementi fondamentali che si integrano l’uno con l’altro.
Questo tipo di approccio permette di gestire in modo coordinato i tre aspetti fondamentali delle situazioni conflittuali: le radici del conflitto, l’aspetto emotivo, e il sistema di risoluzione della situazione.
Qualora le parti non riescano in questo modo a superare la situazione conflittuale il sistema ACED prevede l’utilizzo di uno strumento di ADR, inteso nell’ottica di Appropriate Dispute Resolution, che le parti avranno scelto a priori in modo coerente alla propria Touchstone; spesso la clausola prevede una mediazione formale o l’avvio di una Pratica Collaborativa.
Per le parti di un accordo, quale che sia la sua natura, sapere che esiste un sistema di default da loro scelto e corrispondente ai propri valori e principi, aumenta il livello di sicurezza e la capacità di affrontare in modo aperto con un confronto chiaro situazioni potenzialmente conflittuali.
Quindi la presenza di un sistema di ingaggio del conflitto influisce in modo positivo sulla gestione dello stesso o delle sue radici, e modifica l’atteggiamento delle parti verso la situazione emergente.
Il movimento, come tale, non ha confini: nel suo libro “Lawyers as Changemakers” J. Kim Wright, racconta come, con suo grande stupore, ha incontrato avvocati che condividono i pilastri del movimento in tutto il mondo; nella parte finale del testo sono raccolte le testimonianze di colleghi Sud Africani, Indiani, Olandesi, Francesi, Belgi, Australiani, Brasiliani e chissà forse in una futura edizione ci sarà spazio anche per l’esperienza italiana.
Essere un professionista integrativo significa sentire come propri valori e principi comuni con gli altri professionisti e proiettarli nel lavoro quotidiano con gli strumenti che apprendiamo ma anche con quegli strumenti che sono lo sviluppo della nostra esperienza personale e lavorativa; vivere con creatività, maturità emozionale e consapevolezza; tutti elementi questi per i quali non basta leggere libri o frequentare corsi.