Facilitazione dei gruppi: un metodo di lavoro che ha futuro.

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Attraverso la gestione delle controversie ambientali, Camera Arbitrale di Milano ha intrapreso da più di due anni un percorso che l’ha portata ad occuparsi di strumenti, talvolta complementari e altre volte del tutto congruenti con la mediazione, che possono essere di grande supporto per la gestione di situazioni di crisi che possono andare anche molto al di là dei canonici confini delle controversie civili e commerciali. Il riferimento è, in particolare, alla facilitazione dei processi decisionali.
Proprio sull’impiego di questi strumenti CAM ha programmato due interventi formativi. Il primo (12/13 marzo) sarà destinato a tutti i professionisti che a vario titolo si occupano di gestione dei gruppi (dal manager all’amministratore di condominio, dal funzionario pubblico al dirigente scolastico, giusto per fare qualche esempio) . Il secondo corso (9/10 aprile) sarà invece specificamente destinato a mediatori esperti.
Mario Dotti e Stefania Lattuille sono tra i professionisti che con maggiore impegno si sono dedicati all’impiego di queste tecniche, lavorando in modo approfondito sia su pratiche a carattere ambientale che sulla gestione di controversie multiparte.
Li abbiamo incontrati per porre loro qualche domanda.

Cosa si intende per facilitazione?
La facilitazione ha a che fare con i gruppi. Facilitare significa “rendere facile”.
Ciò che la facilitazione rende facile è il lavoro, l’attività che un gruppo di persone si trovi, a vario titolo, a dover svolgere: dal confrontarsi su una questione, al cercare insieme una soluzione a un problema, al prendere delle decisioni, al negoziare, al gestire un conflitto o a realizzare un progetto.
La facilitazione è un insieme di metodologie e tecniche che agevolano il funzionamento del gruppo, curando due aspetti: quello del “come”, ossia delle dinamiche relazionali e della comunicazione tra le persone nel gruppo, e quello del “cosa”, ossia della realizzazione del compito che il gruppo si è prefissato.

In quali situazioni potrebbe essere utilizzata la facilitazione?
In tutte le situazioni in cui ci si trova a dover svolgere un’attività insieme ad altre persone. Situazioni che nella nostra vita quotidiana sono molto più frequenti di quanto non si immagini: dalle riunioni di lavoro (a volte interminabili e inconcludenti), alle riunioni di famiglia (spesso conflittuali), alle (famigerate!) assemblee di condominio o delle associazioni/comitati (in ambito scolastico, sportivo, culturale…), ai gruppi di famiglie che hanno deciso di andare a vivere in un cohousing, agli incontri di mediazione in contesti multiparte, fino a situazioni “macro”, quali i percorsi di progettazione partecipata in cui vengono coinvolti i cittadini nelle decisioni relative al loro territorio.
Le difficoltà in cui molto spesso il gruppo si va ad incagliare riguardano il cattivo utilizzo del tempo (ci si dilunga su una questione e si lasciano indietro le altre), la difficile gestione dei turni di parola (parlano sempre gli stessi), i conflitti nel gruppo (discussioni che si trasformano in litigi, polarizzazioni), l’assenza di un progetto della singola riunione o del percorso (perché siamo qui oggi? Cosa dobbiamo decidere? Che risultato dobbiamo produrre?…), la mancanza di una conduzione della discussione (che porta più confusione che chiarezza). Il lavoro del facilitatore è quello di curare tutti questi aspetti, è una sorta di regista del processo di confronto e di interazione del gruppo.

Quali sono i vantaggi che comporta l’aiuto di un facilitatore?
I vantaggi sono tanti. Spesso non immediatamente percepibili, ma poi, all’esito dell’intervento del facilitatore, molto apprezzati.
Grazie all’aiuto di un facilitatore si riesce, anzitutto, a dare voce a tutti i componenti del gruppo, in modo da favorire la loro inclusione e partecipazione in un percorso che sia da tutti condiviso, con esiti quindi non solo favorevoli ma più stabili e duraturi.
Ogni facilitatore sa che il suo primo compito è quello di aiutare il gruppo a dialogare efficacemente, a fare convergenza e a pervenire a un risultato utile.
Il facilitatore poi fa emergere e valorizzare le risorse, sia del singolo che collettive, e mette il gruppo nel suo insieme in condizione di divenire artefice e responsabile della realizzazione dell’obiettivo che si è prefissato, con conseguente empowerment del team e riflessi anche nelle dinamiche e progetti futuri.
Il facilitatore infine sa gestire i momenti di negatività, fisiologici in ogni gruppo (inconcludenza, disfattismo, conflittualità…) e trasformarli in opportunità di crescita per i singoli e per il gruppo.

Ci raccontate qualche caso di facilitazione di cui vi siete occupati?
Come mediatori ci capita spesso di applicare principi e strumenti della facilitazione in mediazioni multiparte. Si tratta di attrezzi del mestiere che ben si prestano a favorire il buon esito di tavoli negoziali con tante persone e diversi interessi in gioco: controversie relative a grossi appalti coinvolgenti varie società, successioni ereditarie tra più coeredi, conflitti ambientali con vari stakeholder sia pubblici che privati, tanto per fare gli esempi più frequenti.
Insieme, in co-mediazione, grazie all’utilizzo di metodologie partecipative abbiamo portato all’accordo 400 condòmini che da 30 anni litigavano in merito al distacco della stecca dei negozi da un supercondominio milanese. Stefania poi si occupa di progettazione partecipata come facilitatrice nel settore del cohousing ed a livello cittadino come partner di Ascolto Attivo.

Pensate che la professione di facilitatore possa affermarsi in Italia?
Sì, quella del facilitatore è una professione che si va sempre più affermando anche in Italia. Sono sempre più numerose le esperienze che prevedono un coinvolgimento attivo dei cittadini nella gestione della cosa pubblica, quali i percorsi di progettazione partecipata relativi alla rigenerazione urbana o per la realizzazione di opere ed infrastrutture (il Dibattito pubblico di cui si riparla proprio in questi giorni). Anche nel settore privato sempre più aziende e associazioni chiedono l’intervento di un facilitatore per gestire con metodologie partecipative dei gruppi di lavoro, avendone conosciuto e apprezzato i vantaggi sopra descritti, così come viene richiesta da più parti una formazione specifica per leader facilitativi.