Case study su una mediazione “perfetta”

2071
Photo by Ashim D’Silva on Unsplash

di Roberta Pugliese

Se è vero che la perfezione non è di questo mondo, a maggior ragione si può dire che non esiste una mediazione perfetta.
Come in tutte le interazioni umane plurilaterali, le variabili che possono entrare in gioco nel corso di una mediazione sono pressoché infinite. Basti pensare alle possibili caratteristiche delle parti, alla relazione che le lega, alla materia del contendere o ancora alle diverse tecniche a disposizione dei mediatori. Ogni mediazione è un percorso a sé in cui questi ed altri elementi si combinano tra loro con esiti spesso imprevedibili. È pertanto difficile riconoscere nei casi concreti tracce di quell’archetipo di mediazione che, per necessari scopi didattici, ci si costruisce durante i primi corsi di formazione o letture di approfondimento teorico.
Se si ha la possibilità di osservare degli incontri mediazione effettivi, si intuisce subito che quello dei mediatori e dei negoziatori è anche un sapere molto pratico perché costretto a misurarsi con dinamiche (relazionali, comunicative, negoziali…) di volta in volta differenti e delineate da chiaroscuri. Insomma, in mediazione raramente aspettative e realtà, teoria e pratica, coincidono perfettamente.

Ciò nonostante, durante la mia recente collaborazione con il Servizio di Conciliazione della Camera Arbitrale di Milano, ho assistito a una mediazione che definirei “perfetta”. Si tratta di un punto di vista personale che non deriva da una valutazione oggettiva o scientifica, ma piuttosto da un insieme di impressioni positive maturate partecipando ai diversi incontri, che ho cercato di tradurre in concreto individuandone i punti di forza.
Ovviamente, anche questa mediazione ha preso le mosse da un conflitto. Esso vede da un lato un’importante società immobiliare (d’ora in poi “Alfa”), dall’altro il ramo italiano di una nota azienda multinazionale (“Beta”). Quest’ultima è interessata a prendere in locazione alcuni prestigiosi locali situati nel centro di Milano, di proprietà di Alfa, per trasferirvi i propri uffici. Per quasi un anno i manager e i tecnici delle due società intrattengono un proficuo rapporto di collaborazione volto a negoziare i termini del contratto e a progettare i lavori necessari per allestire i nuovi uffici. Tutto sembra procedere per il meglio, ma nella fase di conclusione del contratto succede l’irreparabile: al momento della firma Beta affianca al contratto una side letter inedita recante dei termini stringenti per la consegna dei locali da parte di Alfa. Il rappresentante di Alfa sottoscrive contratto e side letter. Pochi giorni dopo Alfa comunica via e-mail alla controparte la risoluzione del contratto di locazione dovuta all’impossibilità di rispettare i termini da ultimo posti. Nel giro di poche ore salta una trattativa durata mesi e Beta, che deve cercare in tutta fretta una nuova sistemazione, lamenta nei confronti della società immobiliare danni che ammontano a centinaia di migliaia di euro. Alfa, dal canto proprio, ha perso un’ottima cliente tant’è che al tempo della mediazione i locali, oggetto del contratto risolto, risultano ancora sfitti.
I fattori che a mio parere hanno contribuito alla perfetta riuscita della mediazione sono stati i seguenti.
Due team di negoziatori efficienti e motivati. Uno dei punti di maggiore forza del procedimento è stato, sin dal primo incontro, la partecipazione personale e attiva dei legali rappresentanti delle due aziende. Sono sempre intervenuti agli incontri anche i collaboratori tecnici che avevano seguito tutte le fasi del negoziato e gestito le varie comunicazioni. Si è creato un terreno fertile per la mediazione proprio perché tutti gli attori della vicenda conflittuale erano presenti allo stesso tavolo e in grado di fornire con trasparenza ogni informazione utile.
Positivo è stato anche l’apporto degli avvocati, con la differenza che l’avvocato di Beta aveva seguito passo per passo la società durante le trattative e la stesura del contratto e appariva più coinvolto, anche dal punto di vista emotivo dalla mancata conclusione dell’affare. Il legale di Alfa, invece, era subentrato solo a risoluzione avvenuta e manteneva quindi un atteggiamento più distaccato rispetto ai fatti.
Nella fase esplorativa è emerso che, durante le trattative, si era creato un legame di forte fiducia tra le parti, che si era spezzato al momento della firma per quello che poi è risultato essere un classico misunderstanding avvenuto nei giorni della conclusione del contratto, cui si è aggiunto un gap di comunicazione nelle delicate settimane successive alla risoluzione. È stato incoraggiante vedere come questi trascorsi non abbiano minato la stima e il rispetto reciproci tra i due manager rappresentanti. A questo proposito mi sono rimaste impresse alcune frasi che, pronunciate autenticamente in un contesto di mediazione, hanno un fortissimo potere curativo del conflitto: Beta: “Ci siamo innamorati dei locali di Alfa, erano perfetti per noi. Quelli dove siamo ora non sono la stessa cosa”. Alfa: “Abbiamo perso un cliente serio e affidabile come Beta”.

Struttura e tempistiche ben riuscite. Uno dei meriti del terzo neutrale è stato saper gestire efficacemente le fasi e i tempi del procedimento. La mediazione in esame si è svolta in quattro incontri. Dal deposito della domanda alla firma dell’accordo sono trascorsi poco meno di cinque mesi: tempo che supera il limite prescritto dal D.lgs n.28 del 2010, ma che è perfettamente accettabile.
La struttura degli incontri ha seguito un andamento classico: nel primo incontro di un’ora le parti hanno deciso di dare avvio alla mediazione. Il secondo incontro, più esteso, è stato dedicato alla fase esplorativa: ciascuna parte con l’aiuto della mediatrice ha ricostruito la propria verità riguardo ai fatti accaduti. Sono emersi importanti retroscena delle trattative e delle circostanze in cui è stato firmato l’accordo. Ad esempio, la riunione in cui è avvenuta la sottoscrizione del contratto e della side letter era stato inteso in modo diverso dalle due parti: da Alfa come un incontro ancora interlocutorio, tant’è che non lo aveva rinviato nonostante l’assenza del proprio collaboratore di fiducia che aveva seguito più da vicino le trattative, mentre per Beta si trattava già dell’occasione per chiudere una volta per tutte l’affare.
Nel terzo incontro, durato un intero pomeriggio, si è concentrata la fase negoziale vera e propria, che si è conclusa con tre incontri separati, gestiti dal mediatore con ciascuna parte. Nei primi due, la mediatrice ha sentito separatamente ciascuna parte con i rispettivi legali per individuare quale potesse essere un accordo accettabile per entrambe attraverso un reality test. Dopo aver confezionato la proposta in termini monetari durante il caucus, Alfa l’ha comunicata a Beta nella sessione congiunta immediatamente successiva. La mediatrice ha poi chiamato un terzo e ultimo caucus, stavolta preferendo riunire soltanto i rappresentanti legali delle due società. Trovandosi l’uno di fronte all’altro, senza avvocati e tecnici, i due imprenditori hanno potuto chiarire alcuni passaggi e parlare schiettamente delle mosse successive, come sottoporre la proposta nei rispettivi Cda. Nel quarto e ultimo incontro, di appena tre quarti d’ora, le parti si sono riunite esclusivamente per redigere e firmare l’accordo.

Consapevolezza delle alternative alla mediazione. Un ruolo fondamentale si deve alla consapevolezza maturata nel corso dei diversi incontri riguardo le alternative al tavolo della mediazione. Come gli avvocati hanno avuto cura di evidenziare durante il procedimento, ciascuna parte aveva argomenti convincenti da spendere in un eventuale futuro giudizio. Aleatorio ne sarebbe stato l’esito, mentre certo è che la soluzione definitiva della controversia, con i tempi della giustizia ordinaria italiana, avrebbe richiesto diversi anni. Complice, nel caso di Beta, la presenza di una casa madre straniera cui rendere conto, gli imprenditori hanno scelto di assumersi la responsabilità della risoluzione del conflitto con un accordo condiviso, consapevoli che il giudizio in questo caso non rientrasse nei propri BATNA.
Molto efficace è stato anche il reality test effettuato dalla mediatrice nella fase di confezionamento della proposta monetaria di Alfa: “Se tu fossi nei panni di Beta, quale offerta prenderesti in considerazione?”. Ciò ha permesso di allargare gradualmente la zona di possibile accordo (ZOPA) e di avvicinare le due posizioni attraverso una integrazione degli interessi sottostanti.

Non da ultimo, tutti questi elementi di forza della mediazione sono stati cuciti ad arte dalla mediatrice, che è riuscita a restaurare la comunicazione tra le parti, a creare cioè uno spazio e un tempo in cui le parti possano proficuamente ricostruire la propria vicenda conflittuale ed esplorare le alternative per ricomporla autonomamente.
Voglio in conclusione osservare che pure in questa mediazione “perfetta” non sono certo mancati intoppi o problemi; prese di posizione, escalation di tensione o momenti di impasse si sono puntualmente verificati. Si è trattato piuttosto di perfezione nell’accezione latina del termine, cioè “completo, portato a compimento”, in cui gli intoppi sono stati superati proficuamente e tutte le opportunità della mediazione sono state colte al meglio.