P.A. tra ADR policy e riservatezza

2200

di Vittorio Indovina*

Recentemente ho avuto modo di approfondire la disciplina dell’Administrative Dispute Resolution Act adottato nel 1996 dal Congresso negli Stati Uniti e l’ho trovata interessante almeno per due ragioni. La prima è che costituisce uno spunto per riflettere circa la possibilità o meno di avanzare una proposta di legge in Italia (e, perché no, a livello comunitario) che obblighi le pubbliche amministrazioni ad adottare delle ADR policies, ovvero un insieme di azioni volte ad incentivare il più possibile il ricorso, da parte di questi enti, ai mezzi di risoluzione alternativi delle controversie. La seconda è il particolare regime di riservatezza nei procedimenti ADR scelto dal legislatore nordamericano quando una delle parti è , appunto, la Pubblica Amministrazione ovvero un ente federale e i suoi riflessi sul procedimento di mediazione.
Ebbene, con riferimento alla disciplina dell’Administrative Dispute Resolution Act è necessario richiamare la sua section 3 ai sensi della quale gli enti federali statunitensi hanno l’obbligo di adottare ADR policy e, dunque, di far si che le singole controversie e, più in generale, i conflitti che possono sorgere a causa della loro attività/funzione, vengano risolti il più possibile mediante il ricorso agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Tra i vari strumenti, la Sec. 571 n. 3 menziona, a titolo esemplificativo,la conciliation, facilitation, mediation, fact finding, minitrials, arbitration, ombudsman.
Ogni ente deve avere il proprio responsabile ADR ovvero un conflict manager o ADR specialist che ha il compito specifico di elaborare e monitorare l’ADR policy dell’ente che rappresenta. L’ente deve inoltre provvedere periodicamente al training del proprio personale in materia di negoziazione, mediazione e arbitrato e deve inserire nei contratti che stipula coi privati o con altri enti clausole che autorizzino e incoraggino l’uso dell’Alternative Dispute Resolution.
Con l’entrata in vigore dell’Administrative Dispute Resolution Act i più importanti enti federali hanno adottato i propri ADR programs e la soddisfazione per il nuovo approccio alle controversie è testimoniato già nell’anno 2000 dalla relazione del Procuratore Generale Usa Janet Reno indirizzata alla Presidenza degli Stati Uniti. Nel suo Report to the President on the Interagency ADR Working Group dell’8 maggio 2000, infatti, il Procuratore Generale ha menzionato, tra gli altri, il successo dell’ADR program del Servizo Postale statunitense (U.S. Postal Service), soprattutto nelle controversie di lavoro, come anche l’ADR Program dell’Aeronautica militare USA (Air Force Army) in materia di contratti e appalti. E’ infine precisato nella relazione che altri enti hanno adottato le proprie ADR policies con ottimi risultati, ad esempio nel campo della sanità, dell’energia e dell’ambiente.
Sebbene, ad avviso di chi scrive, sarebbe interessante anche in Italia e a livello comunitario, adottare una legge o una direttiva che obblighi gli enti pubblici a implementare delle proprie ADR policies,  occorre precisare il diverso contesto, rispetto a quello italiano ed europeo, in cui l’Adminitrative Dispute Resolution Act è stato emanato.
Mi riferisco, in particolare, non tanto alla diversità dei sistemi giuridici considerati (elemento che, di per sé secondo chi scrive, non preclude un intervento legislativo simile a quello nordamericano nei paesi di civil law), bensì all’elevato livello di sperimentazione delle procedure ADR negli Stati Uniti già alla fine degli anni 90 del secolo scorso e alla raggiunta consapevolezza di alcuni limiti del modello tradizionale di risoluzione delle controversie: il processo. Tale consapevolezza emerge nel preambolo dell’Administrative Dispute Resolution Act, laddove il Congresso sottolinea come il processo sia divenuto troppo formale, costoso, lento, lungo e causa di logorio dei rapporti interpersonali delle parti, mentre gli strumenti alternativi di risoluzione delle dispute risultano per molti aspetti molto più vantaggiosi, in considerazione anche dell’esperienza fino a quel momento maturata nel settore privato (section 2 nn. 2-5).
In Italia come nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, l’ADR conosce un basso livello di sperimentazione da parte dei privati e, pertanto, non è (ancora) possibile richiamare un’esperienza di best practice al riguardo. Questo potrebbe senz’altro limitare il successo di eventuali ADR programs degli enti pubblici italiani. Manca infatti la familiarità da parte dei privati con i detti strumenti e, soprattutto, manca ancora in molti professionisti, come gli avvocati, una formazione in materia di negoziazione, mediazione e arbitrato.
Tuttavia, pur nel diverso contesto italiano ed europeo, ritengo che una legge simile a quella nordamericana possa comunque adottarsi. Essa favorirebbe la diffusione della cultura ADR, direttamente e indirettamente: si pensi all’obbligo di provvedere periodicamente al training del proprio personale; si pensi all’obbligo di inserire nei contratti clausole di mediazione e arbitrato e la possibilità, per esempio, di favorire, negli appalti, le imprese che a loro volta possiedono una ADR policy oppure si avvalgono di professionisti dell’ADR. Il tutto, alla luce di un crescente interesse verso gli strumenti alternativi delle controversie da parte di professionisti, imprese e università, interesse che fa ben sperare per una futura gestione del conflitto con le P.A che privilegi l’Alternative Dispute Resolution. Come negli Stati Uniti.
Un altro aspetto della disciplina dell’Administrative Dispute Resolution Act, è quello relativo al regime di riservatezza  nelle procedure ADR in cui è parte un ente federale. Stando a quanto prevede la legge statunitense, infatti, le parti non sono tenute alla riservatezza su tutte quelle comunicazioni (preparate per la procedura ADR), scritte o orali, fornite o rese disponibili a tutte le parti della procedura. Sono coperte dalla riservatezza solo le comunicazioni rivolte, in via esclusiva, al terzo neutrale e, in ogni caso, tutte le comunicazioni che provengono da quest’ultimo (section 574, lett. b) n. 7).
La ragione di tale particolare regime di riservatezza trova il suo fondamento nel diritto di tutti i cittadini di sapere come opera una pubblica amministrazione e il correlativo obbligo di quest’ultima alla trasparenza. Un commentatore dell’Administrative Dispute Resolution Act ha riferito che, quando il Congresso americano discusse il regime di riservatezza nelle procedure ADR, alcuni argomentarono che al pubblico non poteva essere negato l’accesso alle questioni trattate nelle procedure ADR ove una parte è un ente federale. Alla fine il compromesso raggiunto fu che la riservatezza poteva permanere sulle informazioni scambiate con il terzo neutrale nel corso di sessioni private, mentre le parti dovevano essere libere di rivelare quanto detto durante le sessioni congiunte. Questo regime differenziato fu giustificato dalla considerazione che le negoziazioni tra pubblico e privato su questioni di pubblico interesse non sono mai riservate. Di contro, uno degli elementi fondamentali delle procedure ADR è proprio la possibilità di avere degli incontri privati con il terzo neutrale in regime di riservatezza e si ritenne che tale possibilità non contrastava con l’interesse pubblico.
Ora, come si può facilmente comprendere, tale regola ha delle implicazioni significative. Per esempio, alcuni stili di mediazione privilegiano quasi unicamente la sessione congiunta e, dunque, i relativi procedimenti non possono essere riservati. In ogni caso, a prescindere dallo stile, il privato preoccupato dalla riservatezza può essere indotto a chiamare un grande numero di caucuses ovvero più di quanti ne chiamerebbe se anche la sessione congiunta fosse coperta dalla confidenzialità. Ancora, gli arbitrati non danno la possibilità di svolgere delle sessioni private e, dunque, i documenti relativi alla procedura sono accessibili al pubblico. Ciononostante, il sopra menzionato rapporto del Procuratore Generale Janet Reno non denuncia affatto limiti al successo delle procedure ADR per ragioni connesse al regime della riservatezza.
Ad  ogni modo, e concludo, mi sorge spontaneo chiedere se anche in Italia ragioni di interesse pubblico possano giustificare limiti alla riservatezza nelle procedure in cui è parte un ente pubblico. Il regime di riservatezza di cui al D.lgs n. 28 /2010 nulla dice al riguardo. Scelta consapevole e legittima o mancanza?

*mediatore dal 2008 presso la Camera di commercio di Bergamo