Qualcuno nei giorni scorsi mi ha sentito iniziare una frase con le parole: «Forse mi sto rammollendo…» e da quel momento sono in costante auto-osservazione per verificare la fondatezza del mio sospetto ma, soprattutto, per cercare segnali che certifichino l’errore.
Magari è “long Covid” anche questo, l’effetto del vivere un tempo sbandato che con la sua onda lunga lavora nel profondo di ciascuno ammorbidendolo o indurendolo; forse io mi sto davvero ammorbidendo, anche se a giudicare dai pensieri che attraversano la mia mente quando do un’occhiata ai social potrei affermare il contrario.
Fatto sta che dopo quasi tre anni e mezzo la CIM è tornata in presenza e nei tre giorni della manifestazione ho scodinzolato euforica come un cucciolo di cane. La notizia, a parte che non sono un cane a cui peraltro sarei pure allergica, è che la prima ad essersi sorpresa sono stata proprio io, io che non avevo dato segnali ed avvisaglie di nessun tipo fino all’inizio dei lavori. Capite l’imbarazzo e la difficoltà a dissimulare un tale entusiasmo quando per tanti anni ho cercato di darmi un tono serioso.
Poi è arrivato il momento delle prove dei ragazzi e delle conseguenti valutazioni. Mi pareva di essere a teatro: giovani spigliati, divertenti, preparati. Facile compilare le schede di valutazione, piacevole dare il feedback alle squadre. Ma allora forse mi sto rammollendo, mi è venuto da pensare. Il ricordo di performance scarse del passato e della difficoltà di trovare le parole adatte per giustificare valutazioni più severe senza fare troppo male agli studenti che tanto tempo e tanti sforzi avevano dedicato alla preparazione, è sempre presente nella mia mente quando l’appuntamento della Competizione si rinnova. Poi inizia la festa e dopo un paio di cocktail chi si è visto si è visto.
Ma tornando seria, oltre che sobria, la conclusione della manifestazione è stata molto toccante; nei tre giorni di lavori altrettante università milanesi – Bicocca, Statale e Cattolica – ci hanno aperto le porte e proprio nella sontuosa aula magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore si è svolta la premiazione. Milano si è fatta accogliente, ha lucidato l’azzurro del cielo e ha soffiato una lieve brezza che ha temperato il caldo africano giusto il tempo per scattare le foto celebrative.
Sì, lo so che leggendo quest’ultima frase penserete di non avere più dubbi, ma aspettate prima di sentenziare sulla mia perdita di nerbo perché non ho intenzione di rassegnarmi facilmente.
Nel 2019, in coda alla 7ma CIM, scrissi su questo blog un contributo intitolato “Decalogo semiserio per i coach della CIM” nel quale prendevo bonariamente in giro vezzi, ingenuità e errori commessi dai ragazzi nelle prove, derivanti dalla preparazione impartita dai coach. L’ho appena riletto e, se dovessi farne una versione aggiornata oggi, avrei davvero poco da scrivere.
E allora forse non sono io a rammollirmi ma, in continuità con il trend che fin dalle prime edizioni abbiamo osservato, miglioriamo tutti ogni anno che passa, coach, valutatori, mediatori e, conseguentemente, anche gli studenti. “Bravi tutti”, insomma (da leggere con il paraverbale che preferite…).
Dunque non vedo l’ora che arrivi l’undicesima CIM (mi immagino il terrore negli occhi di Nicola) per assistere all’ennesimo balzo in avanti in qualità e bravura e, d’accordo con le coach interessate, lancio la sfida per la prossima edizione: #challengespodestalastatale!