Stavo camminando nei pressi dell’ingresso di un importante Organismo di mediazione milanese quando ho incrociato lo sguardo di una collega. Nei suoi occhi ho rivisto la mia stessa rassegnazione, nei suoi movimenti il mio stesso passo stanco. Insomma, è evidente che stiamo vivendo entrambe una relazione in crisi.
Sono sempre stata titubante a mettere in piazza la mia vita privata ma dopo la proposta di matrimonio in Parlamento ho deciso di abbandonare ogni remora. Qui lo posso dire e condividere perché so che mi capirete: sto vivendo uno di quei momenti in cui non sopporti chi ti sta vicino, che se l’incauta/o si lascia andare entusiasta a dire “Che bella giornata!” quando il sole splende nel cielo limpido, vorresti rispondere con una testata che neanche Zidane con Materazzi; che se non tiene sigillata la bocca quando mastica, sogni di essere Jack Nicholson che insegue Wendy con la scure; che se non ti dà una mano spontaneamente con le buste della spesa, empatizzi con Kathy Bates di “Misery non deve morire”…
Ma fatemi partire dall’inizio: io e la mediazione siamo una vecchia coppia, ci conosciamo e frequentiamo da quasi vent’anni. Quando ci hanno presentate è stato un colpo di fulmine, inseparabili da subito, travolte da una passione che, ingenuamente, abbiamo pensato che non si sarebbe mai esaurita.
Sapete com’è la fase dell’innamoramento (per chi negli anni ’80 non c’era ancora o per chi era piccolo, sappiate che la mia generazione non è stata solo avvelenata con coloranti e conservanti nelle merendine ma è stata ammorbata da Francesco Alberoni e dal suo “Innamoramento e amore”, testo più diffuso – e forse letale – dell’Ethernet): il tempo trascorso insieme volava, ci sembrava avessimo gli stessi interessi, due autentiche anime gemelle: il futuro ci avrebbe riservato meraviglie, ne eravamo sicure.
Non è andata esattamente così, il futuro è qualcosa che puoi sognare ma non immaginare. Le tante promesse che mi aveva fatto, dopo qualche anno sembravano un insieme di parole vuote sussurrate al mio orecchio perché era quello che avevo bisogno di sentirmi dire.
Ci dicevamo che il tempo era il nostro alleato, che bisognava avere pazienza e avremmo potuto realizzare i nostri progetti, qualcosa sarebbe successo, doveva succedere!
Ma ogni giorno ci credevamo un po’ di meno e la passione ne stava facendo le spese.
Quando ormai stavamo perdendo le speranze, qualcosa è successo, in effetti. Nel 2010 è arrivata sua madre a vivere con noi: si fa chiamare D.Lgs.28 e si è dimostrata subito invadente. Ammetto che la mia immaginazione non era arrivata a tanto e potete capirmi se speravo nell’arrivo di un messia e mi sono trovata in casa una suocera senza che fosse stata invitata. Sapete, di quelle che, con la scusa di aiutarvi, vi fruga nell’armadio e decide cosa mangerete; di quelle che, quando le passate vicino, anche se sta leggendo e sembra assorta, assume quell’aria schifata come se foste una blatta. Ha scritto in fronte che sua figlia meriterebbe comunque di meglio….
Ho provato a parlarne con la mia compagna ma, ad ogni mia protesta, mi sentivo dire che le cose si sarebbero trasformate grazie a lei e, tanto per cambiare, di avere pazienza.
Mi c’è voluto un po’ ad accettare la nuova routine; restare un po’ da sole da quando è arrivata è stato ed è ancora impossibile, si è infilata con grande maestria in ogni aspetto della nostra vita di coppia: non c’è appuntamento, impegno, evento, celebrazione in cui non si veda mia suocera in mezzo a noi. È un’accentratrice che monopolizza la conversazione con chiunque, anche con i nostri amici di sempre; e se non è lei a parlare, finisce che siamo noi a parlare di lei.
Egocentrica e narcisista, ci ha manipolate così bene che non ricordiamo più la nostra vita prima del suo arrivo e non riusciamo ad immaginare il nostro futuro senza di lei.
Ok, ok, non sono solo spine, lo ammetto. Da quando è arrivata, la tavola è sempre apparecchiata e non abbiamo più dovuto arrabattarci per mettere insieme qualche procedura qua e là. Certo è un po’ come trovare in un piatto di vongole un sacco di gusci vuoti ma il piatto è sempre pieno.
E poi ha portato un po’ di pepe nella nostra relazione sbiadita: era così onnipresente che, quando riuscivamo a liberarci di lei dopo il primo incontro, io e la mediazione ritrovavamo la passione di un tempo e tutti i motivi per cui ci eravamo scelte.
Il fatto è che i gusci vuoti sono ancora tantissimi e dopo un lustro senza nessuna scossa, siamo tornate a guardarci distrattamente, insofferenti a tutti i meccanismi perversi che la suocera ha inserito nella nostra relazione. Insomma, è tornata la noia.
Mi dico che è normale: dopo tutti questi anni i reciproci difetti sono sempre meno mascherati per un eccesso di confidenza, e i suoi di difetti mi spingono qualche volta a desiderare di dormire sul divano per evitare un incontro che avrebbe il potere di farmi disamorare ancora di più.
Ma poi succede qualcosa: la lontananza si fa pesante, arriva la malinconia e tutto sembra grigio.
Sì è vero: la mediazione ha un caratteraccio, si fa manipolare da incompetenti e furbi, si lascia bistrattare da avvocati e mediatori che non le riconoscono i meriti e le qualità che possiede, si presta a strumentalizzazioni e non sa farsi remunerare quanto merita.
Tuttavia, lei resta sempre la mia compagna magica: entra nella vita delle persone con commovente delicatezza, si mette al loro servizio annullandosi, accoglie con la medesima benevolenza ogni miseria umana regalando calore. Lo stesso che dà a me quando mi sorride, dopo che il temporale tra le parti si è esaurito e spunta l’arcobaleno.
Così anche questa volta sgombererò il divano e tornerò al mio posto, che è al suo fianco.
Perché io e lei siamo una vecchia coppia; ci ha unite un colpo di fulmine e ci ha legato saldamente un’affinità che di tanto in tanto si appanna ma poi si rigenera sempre.
E se non c’è più la passione di una volta, c’è un lungo cammino che abbiamo percorso insieme, molte difficoltà che abbiamo superato e tanto dolore, rabbia, paura e stanchezza di chi si è presentato davanti a noi che abbiamo sciolto.
Così come quando ci siamo conosciute, ci basta uno sguardo appena accennato per capirci e per riprendere a camminare nella stessa direzione.