Pandora: la curiosità, il tempo e la speranza

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di Mariaclaudia Perego

I modi di intendere la mediazione sono tanti e ogni mediatore, alla fine, trova un suo stile ma alcuni momenti della mediazione si ritrovano in qualsiasi approccio che voglia attraversare il conflitto.
Il mito di cui parleremo oggi è quello di Pandora e del suo vaso.
Pandora è la prima figura femminile umana della mitologia greca, un “dono” di Zeus agli uomini che fino a quel momento hanno vissuto nell’abbondanza, senza conoscere sofferenze e malattie.
Zeus è furente contro Prometeo perché il Titano ha donato il fuoco agli uomini, e ora il re dell’Olimpo medita una tremenda vendetta; egli quindi fa forgiare da Efesto una splendida fanciulla e chiede ad ogni divinità di farle un dono, lasciando il proprio per ultimo.
Hermes, il messaggero degli dei, dona a Pandora la curiosità, e infine Zeus le dona un vaso con l’ordine di non aprirlo mai e per nessun motivo.
Pandora giunge tra gli uomini portando con sé il vaso regalatole da Zeus, per un po’ di tempo resiste alla tentazione di aprirlo ma, alla fine, spinta dalla curiosità, disobbedisce all’ordine.
Pandora apre il vaso e da esso escono tutti i mali che si avventano con violenza sul mondo: morte, follia, malattia, sofferenza, gelosia, brama e tutto ciò che di negativo possiamo immaginare si abbatte sull’umanità. Sul fondo del vaso rimane solo Speranza, che non fa in tempo a uscire perché Pandora, terrorizzata, richiude frettolosamente il vaso.
Sino a quel momento gli esseri umani avevano vissuto liberi da ogni male. Con l’apertura del vaso il mondo viene devastato e diventa un luogo di morte e distruzione.
Solo in un momento successivo Pandora riapre il vaso, permettendo così anche a Speranza di uscire e donare agli uomini la possibilità di costruire un nuovo mondo, in cui l’azione dei mali trova un ciclo positivo nella azione di speranza.
Questo mito mi ha affascinata da sempre e l’ho spesso utilizzato nei miei corsi in materia successoria per spiegare ai colleghi come il momento dell’apertura della successione sia un momento liberatorio per tutte quelle situazioni, emozioni e complessità che sono state represse o nascoste per amore o per timore del de cuius.
Poi un giorno, proprio mentre preparavo le slides per un corso, mi è venuta in mente una lettura del mito che ci racconta e spiega il lavoro del mediatore.
Torniamo al mito: Hermes, il dio che crea ponti di comunicazione tra il divino e l’umano, dona a Pandora la curiosità; proprio a causa della curiosità Pandora apre il vaso che non avrebbe dovuto aprire lasciando emergere, in un primo tempo, i mali del mondo e, in un secondo tempo, Speranza, che permette agli uomini di ricostruire un nuovo mondo.
Portiamo tutto questo in mediazione.
Quando, come mediatori, aiutiamo una o più persone a gestire un conflitto, il vaso che Zeus non voleva che fosse aperto rappresenta la parte sommersa dell’iceberg o dell’ippopotamo, se preferite questa versione.
La curiosità di Pandora è un dono che si manifesta nella abilità del mediatore di formulare domande esplorative che fanno emergere il sommerso; un sommerso che può essere potenzialmente devastante per la relazione delle parti, che può arrivare sino a distruggerla.
Nelle sue varie gradazioni e sfumature questa fase di emersione, se gestita in modo appropriato dal mediatore, è positiva ed efficacie per il processo di mediazione, poiché permette di fare pulizia di tutto il sommerso, di tutte quelle complessità emotive e relazionali che in qualche modo ostacolano il raggiungimento di un accordo.
Il tempo tra la prima apertura del vaso e la seconda è il tempo della mediazione, il tempo per pulire, per fare chiarezza nella confusione che le emozioni hanno portato, il tempo di riflettere, il tempo per lasciar emergere idee, lavorare e far emergere ipotesi d’accordo.
Se Speranza fosse uscita dal vaso insieme ai mali sarebbe rimasta travolta e soffocata dalla tempesta distruttiva.
Quando Pandora apre per la seconda volta il vaso, in mediazione inizia la fase in cui si guarda al futuro, la fase in cui si costruisce un accordo condiviso su un foglio bianco, o quasi.
Il tempo permette così a tutto ciò che il mediatore fa emergere di acquisire una nuova dimensione, un respiro più ampio e regala alle parti una maggiore consapevolezza.
Ecco spiegato, allora, come mai sia così importante per il mediatore focalizzarsi più sul processo di mediazione che sulla soluzione. Creare e mantenere uno spazio e un tempo appropriato per quella specifica situazione lascia a Speranza la possibilità di emergere.
La curiosità, la capacità di gestire e far fluire il tempo, e la speranza sono così una triade che, a mio avviso, può diventare il focus di un approccio alla mediazione che può declinarsi secondo la sensibilità e la capacità di ogni singolo mediatore.
Così, senza volerlo, Zeus fa il dono più grande agli uomini: Speranza, quel soft skill che permette a noi tutti di attraversare i momenti di difficoltà, coglierne gli aspetti di cambiamento positivo, lasciar andare ciò che non ci serve più e costruire su un terreno pulito.