E non chiamatela mediazione!

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* di Giovanni Matteucci

Il 5.11.2013 il Ministro della giustizia italiano ha emanato una direttiva, avente ad oggetto la mediazione civile, nella quale ha sottolineato che
“ … l’istituto della mediazione non deve … costituire un vuoto ed oneroso adempimento burocratico, una mera condizione di procedibilità prima di potersi rivolgere al giudice. Al contrario, l’istituto, attesa la sua strettissima correlazione con l’attività giurisdizionale, deve rappresentare un effettivo momento di composizione delle possibili future controversie giudiziarie.
“ … il procedimento di mediazione si svolga in maniera tale da assicurare ai cittadini che debbano o intendano avvalersene un elevato livello di preparazione professionale dei mediatori.
“ …  una funzione, tanto delicata da potersi definire paragiurisdizionale …   ”

[1]

Questa direttiva ministeriale, quindi, sottolinea l’importanza della mediazione civile, tanto da definirla strettamente correlata all’attività giurisdizionale, ma -correttamente- distinta da essa.
Leggere, tuttavia, in un documento ufficiale della Repubblica Italiana che la mediazione (universalmente definita “alternative dispute resolution”) ha assunto, nel nostro Paese, una funzione paragiurisdizionale lascia perplessi. Ma la realtà è complessa e per affrontarla bisogna adeguare ad essa gli strumenti di cui si dispone. Con il rischio però di snaturarli e, soprattutto, di renderli inefficaci.
Le domande sono due:
– in Italia, il procedimento, regolato dal D.Lgs. 28/2010 (come modificato dalla L. 98/2013) e rubricato come “procedimento di mediazione”, è mediazione ?
e soprattutto
– lo strumento così come normato è utile ?
La mediazione è una procedura di risoluzione dei conflitti al di fuori del processo con le se-guenti caratteristiche:
– VOLONTARIA ;
– NELLA DISPONIBILITA’ DELLE PARTI ;
– con ACCORDO RAGGIUNTO DALLE PARTI STESSE ;
– SENZA RAPPORTI CON IL PROCESSO ;
– GESTITA DA UN TERZO NEUTRALE esperto in tecniche di comunicazione;
– SENZA LA PRESENZA OBBLIGATORIA DEGLI AVVOCATI, assistenti le parti;
– FOCALIZZATA SUGLI INTERESSI e non sui diritti.
Il primo intervento normativo, organico, sull’argomento fu effettuato con il D.Lgsl. 5/2003, che agli artt. 38 – 40 introdusse la mediazione c.d. societaria (per le controversie in campo societario, bancario, finanziario e creditizio). Difformi dalla tradizione  :
–  la possibilità per il mediatore di effettuare una proposta di accordo, ma su richiesta congiunta delle parti ;
– il collegamento (tenue) con il successivo eventuale processo, in quanto la mancata comparizione di una delle parti o le posizioni da loro assunte nella procedura potevano essere valutate, dal punto di vista delle spese, dal giudice;
– la possibilità per le parti di chiedere al presidente del tribunale di attribuire efficacia esecutiva al verbale / accordo (cominciò allora il pot-pourrì di norme che confondevano / separavano il verbale dall’accordo, in difformità dalla prassi che distingueva nettamente questi due atti).
Il ricorso a tale procedura fu vicino allo zero assoluto. Ne chiesi il perché ad alcuni avvocati. Mi fu risposto: “Non era obbligatoria”.
Il successivo D.Lgs. 28/2010 introdusse :
– l’obbligatorietà del ricorso alla mediazione in controversie relative a determinate materie;
– la possibilità per il mediatore di effettuare la proposta di accordo “sua sponte” ed anche assente una parte (c.d. “mediazione in contumacia”, totale assurdità logica).
Parte dell’avvocatura (soprattutto gli organismi rappresentativi di essa) gridò alla fine della civiltà giuridica in Italia.
La L. 98/2013 inoltre ha statuito :
– l’avvocato mediatore “ope legis” (considerato che in tutte le università italiane e nei corsi di formazione alla carriera forense numerosi ed altamente qualificati sono i corsi sulle tecniche di mediazione !);
– l’obbligo dell’assistenza degli avvocati alle parti, per soddisfare la condizione obbligatoria di proce-dibilità;
– un riferimento di competenza territoriale per l’instaurazione delle procedura.
Ne consegue che la procedura di mediazione amministrata, in Italia, come attualmente re-golata:
– in molte materie è condizione obbligatoria di procedibilità;
– è scarsamente nella disponibilità delle parti;
– la proposta di accordo può essere formulata dal mediatore, senza richiesta delle parti;
– ha rapporti con il processo;
– vede la presenza obbligatoria degli avvocati, al fine sopra indicato;
– se continua ad essere focalizzata sugli interessi lo si deve solo alla notevole bravura (e caparbietà) del mediatore.
Da ultimo le è stata riconosciuta funzione paragiurisdizionale.
E NON CHIAMATELA MEDIAZIONE !
Cos’è ? Un ircocervo dalla natura indistinta, che dovrebbe fungere da filtro all’ accesso al processo, in funzione deflattiva di esso.
Servirà ?
L’esperienza maturata tra il 2° trimestre 2011 ed il 4° trimestre 2012 (periodo nel quale era in vigore l’obbligatorietà) non consente particolari entusiasmi.
Secondo i dati forniti dal Ministero della giustizia

In pratica, di 215.689 procedure avviate, solo 26.822 definite con accordo. Ben poca cosa se si considerano tempo, energie, discussioni spesso veementi ed inutili, nonché quintali di carta riempiti e movimentati.

Il dato che ritengo di maggiore interesse (e di cui nessuno parla) è quello relativo al tasso di successo delle procedure attive, quelle cioè dove erano presenti tutte le parti (a prescindere, cioè, dalla contrarietà delle compagnie di assicurazione a partecipare) : diminuzione costante dal 59% di inizio periodo al 38% della fine. Il perché andrebbe ricercato nell’
– attitudine delle parti, una volta sulla via dell’accordo, ad abbandonare la procedura per non pagare il di più previsto in caso di esito positivo;
– scadimento della qualità della formazione man mano che frotte sempre più numerose di aspiranti mediatori anelavano al relativo titolo (nella speranza di “tirare quattro paghe per il lesso” di carduc-ciana memoria).
Altro dato fornito dal Ministero della giustizia, sempre 2° trim. 2011 / 4° trim. 2012 :
Mediazione per tipologia

Comparizione     Tasso di successo         Tasso di definizione organismo    dell’aderente       se l’aderente compare     se l’aderente compare
CCIAA                                              34%             49%               17%
Organismi privati                                      25%             46%               12%
Ordini profess. non avvocati                  29%             36%               10%
Ordini avvocati                             26%             33%                 9%
Media ponderata                                    27,0%             44%               12%
Considerati questi brillanti risultati, come già ricordato, la L. 98/2013 ha nominato gli avvo-cati mediatori “ope legis”. Inoltre ha reso obbligatoria la loro assistenza alle parti per ottemperare alla condizione di procedibilità; norma pleonastica in quanto, sempre in base alle statistiche fornite dal Ministero, questi professionisti erano già presenti nell’83% delle procedure di mediazione (condivisibile, invece, collegare l’esecutività del verbale alla sottoscrizione di esso da parte dei tecnici del diritto). Per la competenza territoriale, poi, quando in precedenza mancava, non mi risultano casi di uso fraudolento della libertà di scelta dell’organismo di mediazione.
Nulla, ma proprio nulla, che sia stato stabilito circa una maggiore qualità della formazione specifica del mediatore (tecnica della comunicazione, ascolto empatico, gestione del conflitto, ecc.). Salvo sottolineare –reiteratamente- la necessità di un “elevato livello professionale dei mediatori”; forse assicurato dalla iscrizione ad un albo professionale ? Ma … i mediatori “puri e duri” non sono iscritti ad alcun albo !
Quindi: la normativa in essere sarà efficace ? sottesa ad essa c’è forse l’italica prassi del “tutto cambi, perché tutto rimanga come prima” ?
Da ultimo, considerata la “strettissima correlazione con l’attività giurisdizionale”, il comportamento da tenere nella mediazione amministrata obbligatoria ritengo vada scelto anche nell’ottica dell’eventuale successivo processo; da tenere in particolare conto il nuovo art. 185-bis c.p.c. , che prevede la possibilità per il giudice di effettuare la conciliazione endoprocessuale. Cioè, oltre alla proposta del mediatore, anche la parte (o le parti) potrebbe farne una propria e chiederne la verbalizzazione. Sull’argomento molti, ragionando in base ai canoni classici della mediation, dissentono. Ma in Italia non chiamatela mediazione !

 *Dr. Giovanni Matteucci, mediatore presso CCIAA Grosseto e Conciliatore Bancario-Finanziario; formatore.