* di Giovanni Matteucci
Il D.Lgs. 28/2010 (efficace dal 20.3.2011) all’art. 5, c.2, nelle materie oggetto di mediazione obbligatoria, aveva previsto la possibilità della mediazione amministrata così detta delegata (cioè su invito del magistrato) : “ Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione. L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito,il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”.
L’attenzione prestata dai giudici alla possibilità di invitare le parti a rivolgersi ad un organismo di mediazione fu scarsissima: del totale delle procedure di mediazione attivate nel 2° trimestre 2011, solo l’1% era delegata; percentuale salita a ben il 2% nel 3° trimestre 2012. Notevole diffidenza e sussiegoso distacco nei confronti di un istituto che aveva l’ardire di intrufolarsi nel mondo della gestione del conflitto, i cui massimi sacerdoti si autoproclamavano essere i tecnici del diritto.
La sezione distaccata di Ostia, del Tribunale di Roma, tuttavia, da subito pose particolare attenzione alle potenzialità dell’istituto, in termini di maggiore efficienza del “servizio giustizia” e riduzione dell’arretrato civile. E nel periodo aprile 2011, ottobre 2012 il dirigente della sezione, Dr. Massimo Moriconi, stimò “prudenzialmente nel 10% la riduzione delle sentenze ottenuta grazie alla mediazione” [1] !
La sentenza della Corte Costituzionale portò ad un black-out quasi totale nell’uso della mediazione in genere. Ma qualche magistrato continuava a prestare attenzione ad essa, come il Dr. Giuseppe Buffone del Tribunale di Milano, in un intervento del gennaio 2013 [2].
Il Decreto del Fare (D.L. 69/2013, 21.6.2013; G.U 144, 21.6.2013, S.O. 50), convertito nella L. 98/2013 (9.8.2013; G.U. 194, 20.8.2013, S.O. 63)
– reintrodusse la mediazione come condizione obbligatoria di procedibilità in molteplici materie, nonché
– inserì un nuovo articolo nel codice di procedura civile, il 185-bis:“(Proposta di conciliazione del giudice) – Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, deve (modificato in “può” in sede di conversione in legge – n.d.r.) formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio”; e
– modificò l’articolo 420, c.1, alla parola “transattiva” aggiungendo “o conciliativa”.
Ma se la reintroduzione della condizione obbligatoria di procedibilità (e della mediazione amministrata delegata) diverrà efficace dal 20.9.2013, l’art. 185-bis del c.p.c. (conciliazione endoprocessuale) e la nuova formulazione dell’art. 420 entrano subito in vigore il 21 giugno 2013.
Dopo pochi giorni il Tribunale di Milano fece ricorso alla conciliazione endoprocessuale, ed in modo estensivo: “… art. 185-bis c.p.c. – è – norma applicabile all’odierno processo … in applicazione del principio tempus regit actum “ e “espressione di un principio generale (anche nell’art. 420 c.p.c. come riformato), anche per il fatto di distinguere espressamente tra proposta transattiva e conciliativa e per la difficoltà di ammettere settori o comparti divisi dell’ordinamento in cui il giudice possa o non possa aiutare i litiganti a pervenire ad un assetto condiviso per la soluzione pacifica della causa” [3] . Quindi norma di immediata applicazione anche ai procedimenti in essere e non solo alle controversie previste dall’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 ma a quelle relative a tutti i diritti disponibili.
Dopo un paio di mesi un’ordinanza del Tribunale di Nocera Inferiore [4] , ben poco commentata dalla stampa specializzata, ma di particolare interesse, applicava l’art. 185-bis ad un argomento che si è prestato – e continuerà a prestarsi- a controversie “seriali”: l’ anatocismo bancario. Oltre a richiamare l’art. 185-bis questa ordinanza :
– evidenzia “alle parti il coordinamento con l’art.91 c.p.c., secondo cui il giudice, ‘se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92’ “;
– “rappresenta alle parti che i costi delle rispettive spettanze legali, di un eventuale supplemento di consulenza tecnica di ufficio e di ogni altro adempimento connesso hanno già oltrepassato, cumulativamente considerati ed in ragione dell’anzianità della lite, il valore della controversia”.
Il Tribunale di Fermo, poi, in un’ordinanza del 17.10.2013 [5] ha enunciato quelle che possono essere considerate delle “linee guida” della conciliazione endoprocessuale :
“ rilevato che, a seguito dell’ultima novella al c.p.c., sono stati tra l’altro ulteriormente promossi gli istituti finalizzati alla fuoriuscita dal processo, rispetto ai quali, per quello che qui interessa, occorre sottolineare la presenza dei seguenti dati
1) riconoscimento ope legis a tutti gli avvocati dell’idoneità ad essere mediatori, riconoscimento il quale, seppure specificamente previsto con riferimento alla legge speciale sulla cosiddetta media-conciliazione, non può non essere preso come caratteristica della stessa professione di avvocato
2) riconoscimento al giudice di un forte potere-dovere conciliativo (o “transattivo”), già anticipato, peraltro, da questo stesso giudice in via d’interpretazione sistematica della pregressa normativa
3) libertà/informalità della metodologia con la quale si svolge il tentativo di composizione, con l’unico limite del coinvolgimento paritario delle parti
4) tendenziale ricaduta sul regime delle spese in caso di proposta conciliativa fallita.
Considerato che, se questi sono i punti salienti che individuano il nuovo assetto delle possibilità di conciliazione/transazione, ne discende la necessità, più che la possibilità, di iniziare sistematicamente una composizione secondo le seguenti direttive :
a) responsabilizzazione dei difensori che, sia pure su impulso ed indirizzo del giudice, si vedono investiti di una proposta che possono gestire ulteriormente con i loro assistiti , ai fini di una composizione ;
b) necessità di attivare programmi sistematici di fuoriuscita dal processo nelle controversie di modesto valore, inferiore ad euro 10.000, salvo casi particolari da individuare con criteri predeterminati ;
c) necessità che non si protragga un contenzioso praticamente inutile in quanto in tutto o in parte si tratta di questioni ‘seriali’ su cui il giudice si è già pronunciato, magari con sentenze “pilota” (es. , rapporti bancari in materia di anatocismo e cms)”.
Il Tribunale di Bari, Articolazione di Modugno, in un’ordinanza del 30.10.2013 [6] , tra l’altro ha specificato che, se l’accordo non viene raggiunto, “le parti .. potranno riportare a verbale le loro posizioni e/o offerte al riguardo, permettendo al Giudice, nel merito, l’ eventuale valutazione della loro condotta processuale per la regolamentazione delle spese di lite, ex art. 91 c.p.c. [7] , o per l’equa riparazione nei casi di cui all’art. 96 III° c.p.c”. In passato era prassi, nel verbale di mancato accordo alla fine del procedimento di mediazione, riportare solo la constatazione di quest’ultimo e l’eventuale proposta da parte del mediatore. Ora, se le parti lo richiedono, sarà più che opportuno riportare nel verbale anche le eventuali proposte effettuate da queste ultime.
Altro particolare di rilievo, in molte ordinanze, è la presenza della conciliazione endoprocessuale (ex art. 185-bis c.p.c.) insieme alla mediazione delegata (ex art. 5, c.2 D.Lgs. 28/2010); se fallisce la prima il magistrato invita ad esperire la seconda. Con la nascita di una nuova figura di ADR: finora “med – than – arb”; ora, grazie ai magistrati italiani, “arb – than – med”.
Tenere presente, comunque, che, nei due istituti, la proposta del giudice ha un differente ambito applicativo: fino alla chiusura dell’istruttoria per la conciliazione endoprocessuale; fino all’udienza in cui le parti devono “precisare le conclusioni” o, nel rito del lavoro, “discutere la causa” per la mediazione delegata (per cui, anche se l’istruttoria è finita, il magistrato, prima dell’udienza suddetta, può invitare le parti a rivolgersi ad un organismo di mediazione).
Il maggior numero di ordinanze nell’estate autunno 2013, applicative dell’art. 185-bis c.p.c., sono a firma del Dr. Moriconi, del Tribunale di Roma, con due caratteristiche di rilievo:
– ha utilizzato la mediazione anche in relazione a responsabilità della Pubblica Amministrazione (nel caso di specie Asl [8] ) e del Fondo di garanzia vittime della strada [9] , settori che finora sembravano ben poco permeabili a tale istituto;
– ha inserito il ricorso a conciliazione endoprocessuale e mediazione delegata in una vera e propria analisi di gestione del ciclo del prodotto (usando termini aziendalistici), ponendo in essere un metodo di rilevazione statistica relativa alle fasi della procedura giudiziale, in cui ha fatto ricorso all’ADR, volto a testarne l’efficacia; metodo che ha enunciato in un convegno tenuto presso l’Università di Firenze [10] e che, si spera, troverà esplicitazione completa in un prossimo scritto.
E’ altamente probabile che il ricorso a queste due applicazioni della mediazione riscuoterà l’interesse di un numero sempre maggiore di magistrati –e forse anche del Ministero della giustizia- ; e, si spera, non solo per fini deflazionistici del contenzioso. Di conseguenza sempre più avvocati saranno indotti, al momento di prospettare il “piano del conflitto” (usando un termine proprio della teoria della mediazione), a considerare l’eventualità che, instaurato il giudizio, sia poi il magistrato ad indurli a trovare, insieme alle parti, una soluzione della controversia non avversariale ma concordata. A quel punto inizierà la “rivoluzione” culturale da tempo auspicata in Italia – a parole da molti, nei fatti da pochi – relativa alla gestione del conflitto.
Per cui : conciliazione endoprocessuale e mediazione delegata, tenetele d’occhio !
*Dr. Giovanni Matteucci, mediatore presso CCIAA Grosseto e Conciliatore Bancario-Finanziario; formatore.
[1] Biolchini Maria Cristina, “Resoconto del convegno: il ruolo del giudice nella mediazione”, Roma, Corte d’Appello, 17.6.2013, in http://www.mondoadr.it/cms/articoli/resoconto-del-convegno-il-ruolo-del-giudice-nella-mediazione.html
[2] Buffone Giuseppe, “La mediazione demandata dal giudice come sistema omeostatico del processo civile: il progetto dell’osservatorio sulla giustizia civile di Milano”, Milano, Palazzo di Giustizia, 23.1.2013, in http://www.adrmaremma.it/buffone01.pdf .
[3] Tribunale Milano, sez. IX civile, decreto 26.6.2013 (presidente Canali, relatore Buffone), in http://www.adrmaremma.it/news129.pdf .
[4] Tribunale di Nocera Inferiore, sez. I civile, 27.8.2013, Dr. Levita, in http://www.adrmaremma.it/news131.pdf
[5] Tribunale di Fermo, 17.10.2013, Dr. Marziali http://www.adrmaremma.it/news146.pdf .
[7] L’articolo citato prevede che “il giudice, se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 92 c.p.c.”
[8] Tribunale di Roma, sez. XIII civile, 24.10.2013 in http://www.adrmaremma.it/news142.pdf .
[9] Tribunale di Roma, sez. XIII civile, 4.11.2013 , in http://www.adrmaremma.it/news142.pdf .