di Davide Bux e Carlo Giordano*
Si potrebbe iniziare con la famosa frase citata in una réclame “la mia banca è differente” per richiamare alla mente dei lettori quello che in realtà ciascuno di noi cerca nel rapporto che inevitabilmente ha con la propria banca, ossia la fiducia. Ciò dovrebbe apparire chiaro se pensiamo che a tale “entità” affidiamo i nostri averi, frutto di sacrifici e che da questi ultimi discendono garanzie per una futura serena esistenza. In realtà, però, accade spesso che si pensi all’attività della banca come a qualcosa che esula dal rapporto personale con i singoli individui che ad essa si interfacciano. Gli interessi e le somme che passano da un conto all’altro non sono altro che numeri su un display bancario e sia i dipendenti della banca sia i clienti tendono a sentirsi “oggetti” alla mercé delle fluttuazioni del mercato e ad identificarsi con le pratiche che riguardano “l’andamento del conto”. Ecco allora che ci si confronta esprimendo affermazioni del tipo: ”stiamo gestendo la sua pratica con tutta l’attenzione e la professionalità che ci contraddistingue”, oppure “come procede la mia pratica?” disancorando del tutto le problematiche economiche dai soggetti che si trovano ad affrontarle a diverso titolo.
Interessante a questo proposito risulta un caso gestito dalla CAM (Camera Arbitrale di Milano) in cui l’istante è una signora che investe e movimenta piccole somme di denaro. Non è una professionista della speculazione, ma è comunque una persona abituata ad effettuare transazioni e scrupolosa nel verificare la convenienza o meno delle stesse. Ha chiamato in mediazione una delle “sue banche”: durante il passaggio di una somma da un conto attivo presso l’istituto invitato ad un altro aperto presso un’altra banca era sparito del denaro.
Durante i due incontri si esaminavano carte, il rappresentante della banca in mediazione coinvolgeva filiali, direttori, movimentava gli archivi, la signora recuperava ricevute, contabili, moduli. La banca riconosceva che era successo qualcosa di strano: dei ritardi nell’esecuzione degli ordini a causa di cambi nel sistema informatico prima e nell’organizzazione aziendale poi. La signora riconosceva che era passato molto tempo e si era accorta tardi di questo problema.
La somma perduta riguardava una quota di interessi su un piccolo investimento. La banca infine comunicava, porgendo le scuse per l’accaduto, di non poter giustificare un’eventuale dazione di denaro riferita a quella specifica operazione né a titolo di rimborso né a titolo di risarcimento poiché il diritto si era prescritto. La signora accogliendo le scuse si dichiarava soddisfatta per aver compreso l’accaduto e per aver fugato il dubbio che la banca non volesse chiarire la vicenda.
Nel caso appena descritto si è verificato, attraverso la mediazione, un cambiamento nel rapporto tra il funzionario della banca e la cliente che cominciava a chiedersi se questo fatto costituiva un mero errore o era frutto di comportamento intenzionale a danno degli utenti. La banca riconosceva l’esistenza di un errore, ma al tempo stesso dimostrava di avere tutto l’interesse a chiarire la vicenda e, soprattutto, che l’errore verificatosi non era stato frutto di una “mala fede” da parte della stessa. La cliente, dal canto suo, riconosceva una “compartecipazione di responsabilità” per essere stata poco diligente nell’aver atteso a lungo prima di attivarsi per sottolineare l’accaduto. Ecco che il problema in sé veniva ad assumere un ruolo del tutto secondario rispetto al “riconoscimento dell’altro” e al confronto pacificatore, con tanto di scuse offerte vicendevolmente, tra i due soggetti al tavolo del negoziato. Il rapporto di fiducia era salvo!
* Servizio di conciliazione – Camera di commercio di Monza e Brianza- Camera Arbitrale di Milano