Consensus Building – parte seconda

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di Stefania Lattuille*

Era il maggio dell’anno scorso quando sulle ‘pagine’ di questo blog veniva riportata  l’intervista a Marianella Sclavi  che ci illustrava il consensus building,  il suo utilizzo a livello politico attraverso i cosiddetti processi partecipativi e preannunciava che nel giro di qualche anno anche in Italia questo argomento e le relative esperienze sarebbero diventate centrali.
In effetti, così è. Anzi, parrebbe esservi una vera e propria accelerazione in atto al riguardo.
Il Consiglio dei Ministri, lo scorso 30 ottobre, ha approvato “un disegno di legge, sul modello francese del Débat public, che introduce nel nostro Paese l’istituto della consultazione pubblica per la realizzazione delle opere di interesse strategico, così da consentire il coinvolgimento preventivo delle comunità e dei territori interessati, permet-tendo una maggiore condivisione delle informazioni e delle finalità dei progetti con le comunità locali”.
A breve vedremo come tutto ciò evolverà con il nuovo governo.
In ogni caso, di fatto, cominciano a concretizzarsi anche in Italia varie esperienze di processi partecipativi, di cui una proprio qui a Milano: dal giugno scorso si sta infatti svolgendo un percorso di progettazione partecipata nel quartiere Isola-Garibaldi con l’obiettivo di realizzare un nuovo Centro Civico nel quartiere e di riqualificare il cavalcavia Bussa (qui il diario del percorso e il relativo materiale).
Tale iniziativa, voluta dal Comune di Milano -attraverso l’Assessorato al decentramento che ne finanzia la realizzazione- e condotta proprio da Marianella Sclavi, attualmente è nel vivo della fase della implementazione, essendo in corso gli incontri tra i portavoce -designati dai cittadini del quartiere- ed i tecnici del Comune.
L’esperienza è stata decisamente entusiasmante e quello che ho potuto appurare di persona è che mediazione e processi parteci-pativi hanno davvero molto in comune: facilitazione della co-municazione delle parti, ascolto attivo, condivisione delle infor-mazioni, emersione di interessi e bisogni al di là delle posizioni, generazione di più opzioni e creazione di soluzioni condivise, empowerment e responsabilizzazione delle parti.
In tutti e due gli ambiti, inoltre, il mediatore/facilitatore aiuta a gestire i conflitti, a vivere la ‘diversità’ come occasione per mol-tiplicare i punti di vista, a mettere in luce la complementarietà delle proposte risolutive ed a far sì che si arrivi a delle soluzioni che le parti implicate sentano come proprie, con conseguente aumento delle probabilità di realizzazione e sostenibilità dei ri-sultati finali del percorso intrapreso.
Infine, trattasi di un ulteriore professionalità da spendere in questo nuovo settore che va affermandosi anche in Italia, laddove può ritenersi che noi mediatori possediamo quanto meno le conoscenze base necessarie ai facilitatori di processi partecipativi.
Se così è, a quando una scuola di specializzazione per facilitatori di processi partecipativi?

* mediatore, avvocato in Milano