Una nuova formazione per i mediatori

795
Photo by Thomas William on Unsplash

di Carola Colombo

Raccontare la mediazione

Insieme ad altri colleghi partecipo, con molta soddisfazione e gratitudine, ad un progetto editoriale sulla mediazione che penso vedrà la luce l’anno prossimo. Per scrivere i miei contributi ho dovuto cercare nella memoria – oltre che nei file e nei fascicoli – storie di mediazione dalla cui narrazione emergesse il tipo di lavoro che ho svolto.

Alcune di queste storie nel tempo sono diventate aneddoti d’aula, esempi di declinazione pratica della teoria enunciata per dare concretezza e veridicità ai principi e alle tecniche trasmesse. Quindi nella mia faretra di formatrice si trovano alcune frecce a cui sono affezionata, ciascuna delle quali destinata a centrare il bersaglio di un esempio specifico: c’è quella che mostra l’efficacia del reframing in un determinato punto della procedura, quella che chiarisce la potenza dell’individuazione della MAAN nella fase pre-negoziale, un’altra che aiuta a distinguere l’interferenza del mediatore nella negoziazione dall’aiuto che può dare per espandere la “torta” negoziale, e così via.

Il mio lavoro è partito proprio da queste frecce e quello che mi ha maggiormente sorpreso, e che mi ha indotto a scrivere questo articolo, è stato trovare nella rilettura mentale di ogni caso ben più del tag che gli ho attribuito nella mia raccolta di case histories.
È il nostro a b c la consapevolezza e quindi l’accettazione della diversità di vedute, dell’interpretazione multipla degli eventi, della declinazione personale di ogni particolare. Ed è anche la ricchezza che deriva dal poter cogliere i frutti di un lavoro da ogni punto della circonferenza che lo perimetra grazie allo sguardo di più persone che osservano o anche di una sola che si sposta.

Tuttavia le procedure che si svolgono in modo articolato e in cui il mediatore riesce ad applicare svariate tecniche delle quali si possono verificare gli effetti non sono molte e, soprattutto, non sono spesso prevedibili in fase iniziale. Ma fortunatamente accadono e rappresentano un ricco materiale destinato a frammentarsi nei limitati ricordi dei protagonisti.
Questa dispersione è stata oggetto di pensieri legati al mio modo di stare in aula, ai contenuti che cerco di trasmettere, al miglioramento della formazione dei nuovi mediatori e all’aggiornamento degli altri.

Nuovi modi di formare

Ho ricordato che per un certo tempo, a ridosso dell’introduzione dell’obbligo dei tirocini per i mediatori, ho accarezzato l’idea di una forma differita di tirocinio attraverso l’utilizzo di video provenienti dalla registrazione degli incontri più significativi delle mediazioni migliori; sessioni da svolgere sotto la direzione del mediatore stesso e di osservatori preparati, a beneficio di più tirocinanti. Naturalmente con il consenso dei protagonisti e garantendo l’utilizzo strettamente osservante dei canoni di riservatezza che la legge prevede.
Si tratterebbe, tra l’altro, di materiale eccellente anche per la formazione, molto più efficace dei video prodotti ad hoc per l’aula, un trait d’union tra l’affascinante teoria e l’imprevedibilità della pratica.

Il Ministero non ha mai acconsentito alla registrazione ai fini del tirocinio, nonostante una tale modalità darebbe all’obbligo normativo una dignità che spesso viene a mancare.
Siamo alla vigilia di un passaggio importante per la mediazione che coinvolgerà anche la formazione dei nuovi professionisti e, probabilmente, dei formatori stessi. La Commissione Giustizia del Senato ha approvato i principi delega che, all’interno della riforma del processo civile, dovrebbero guidare il legislatore verso una norma più adeguata e seria.

Tra qualche mese è prevedibile, oltre che auspicabile, che la durata dei corsi base per mediatori aumenterà, che gli argomenti da affrontare subiranno una messa a punto e che la parte pratica troverà uno spazio adeguato e delimitato affinché smetta di essere la Cenerentola del programma, sacrificata dall’invadenza, a volte necessaria, della teoria.

Sappiamo bene che 50 ore sono troppo poche per affrontare un programma di formazione che consenta di affacciarsi ad una nuova professione, qualunque essa sia; sappiamo anche che la teoria senza la pratica lascia l’aspirante mediatore in un limbo di curiosità mista a scettiscismo e timore di mettersi in gioco.

La sfida di un percorso interno all’università

Siamo consapevoli che l’ambizione che ci deve guidare è quella di arrivare ad avere un corso di studi universitario, un indirizzo specifico per chi questa professione la vuole svolgere davvero e in modo esclusivo. Di questo si parla sempre più spesso nei workshop, webinar e in ogni occasione di confronto dottrinale, grazie a quei docenti che già oggi profondono grandi sforzi per elevare la materia, per ottenere un riconoscimento dignitoso.

Raggiungere questa meta vorrà dire anche sganciarsi da alcune dinamiche non sempre virtuose dei corsi di formazione per mediatori, legate a docenze a volte carenti, a impietose limitazioni delle ore minime di corso ministerialmente fissate (che frustrano ogni tentativo di proporre al mercato qualcosa di più lungo e strutturato), a valutazioni di fine corso non sempre all’altezza.

Ben venga, quindi, in un futuro non tanto lontano un corso universitario che non avrà paura di bocciare, che dovrà occuparsi di concimare il terreno con competenze teoriche perché solo così i semi della conoscenza potranno diventare consapevolezza di come il mediatore entra in un pezzettino di vita vera delle persone e ne può mutare il corso.

Nel frattempo aspettiamo di vedere la prossima riforma quante ore in più di formazione ci porterà in dono e mi sto già preparando ad elaborare la delusione: ne vorrei il doppio, mi accontenterei di 80 e dovrò digerirne probabilmente 60 o poco più.
Così come vorrei un tirocinio di contenuto, efficace e non perpetuo, sostituito dopo qualche anno dall’abilitazione dalla supervisione con mediatori esperti.

Desiderare non costa nulla; allora ritorno alla mia provocazione e rilancio l’idea di ragionare sulla possibilità e modalità di registrazione di alcuni incontri di mediazione, senza dare per scontato che le parti e i loro avvocati negherebbero l’autorizzazione. Accettano la presenza di tirocinanti (a volte anche più di due) e, con le dovute garanzie di utilizzo mirato del materiale e magari con indennità agevolate, potremmo stupirci delle reazioni favorevoli. Le ODR renderebbero la cosa tecnicamente semplice.

Mediazioni reali per veri mediatori

Provate solo ad immaginare cosa significherebbe in termini di qualità di formazione sottoporre ai discenti mediazioni vere anziché recitate, quale ventaglio di situazioni imprevedibili potrebbero essere affrontate e discusse, che opportunità sia per disegnare la figura del mediatore in tutta la sua professionalità, anziché proporre solo con le parole o i role playing un’idea dai contorni sfumati del facilitatore. Per non parlare dei tirocini.

È troppo? Forse, ma non è troppo presto per ragionarci, secondo me.
La mediazione non è più di primo pelo; senza interesse scientifico e slancio verso lo sfruttamento ottimale delle sue risorse, temo che sia alto il rischio che diventi vecchia senza passare per il vigore e il fascino dell’età adulta.