Qui e ora

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Photo by Brandi Ibrao on Unsplash

Diciamolo, essere messi sotto scacco da qualcosa che ha le dimensioni di 100 o 200 milionesimi di millimetro irrita non poco. Da qualcosa che vediamo magari possiamo scappare, oppure possiamo guardarlo negli occhi e affrontarlo, o magari ci si puoi alleare. Ma questa infinitesimale dimensione impedisce qualsiasi confronto, ci dice solo quanto un avversario così possa essere subdolo. Tuttavia, averlo incontrato mette altri avversari sotto una luce differente: che so, tutto sommato ci fa capire quanto in fondo siano innocue orde di avvocati contrari alla mediazione. Che ne dite?
O anche che l’attuale Guardasigilli, a ben vedere, non è una iattura di dimensioni così epocale. Anzi, no, di questo non sono tanto sicura…
La presenza nella nostra vita del coronavirus ci ha diviso idealmente in due gruppi: quelli toccati direttamente, spesso tragicamente, da esso ai quali esprimo vicinanza e solidarietà, e i fortunati (dal punto di vista sanitario) che insieme a me stanno sperimentando un’organizzazione del tempo senza precedenti e a cui dedico le mie parole.
Intanto iniziamo col dire che è doveroso restare a casa e che questo con molta probabilità ci terrà lontani dal contagio; ma, attenzione, non si potrà escludere che verremo spazzati via dalla cirrosi epatica o dall’ostruzione delle coronarie. Non so voi, ma il contenitore del vetro di casa mia ora è chiamato “secchio della vergogna”…
Essere confinati a casa propria e senza possibilità di svago esterno, oltre a consentire la visione in una sola volta dei 210 minuti della versione restaurata del film “Lawrence d’Arabia” (!!), ci apre la mente a molte cose: ad esempio ci dà una vaghissima idea di cosa voglia dire stare per anni in una cella di 6 mq, se va bene, o quanto sia bello e rigenerante avere relazioni sociali non virtuali.
Ecco, aprire la mente è uno sforzo che andrebbe fatto sempre e in modo tenace. Se qualcuno non ne fosse ancora convinto, lo incoraggio a impiegare un po’ dell’insperato tempo libero di cui disponiamo in queste settimane per coglierne le trappole e i tentativi di fuga. Abbiamo osservato tutti – e qualcuno avrà osservato noi – che persone che tendono a prendere l’ascensore anche per salire al primo piano si dichiarano sofferenti per le palestre chiuse; gente che prende l’auto per fare 400 metri si mangia le mani per non poter andare a sciare; vacanzieri che solitamente popolano le spiagge della riviera romagnola ora fremono per non poter percorrere l’intera Via della Seta come Marco Polo; telespettatori del Grande Fratello improvvisamente attratti da Parma, quest’anno capitale della cultura; appassionati di cinepanettoni sconsolati per la chiusura del Teatro alla Scala.
Insomma, non c’è come non poter fare qualcosa per desiderare vigorosamente di farla.
È la nostra mente che fugge sempre dal “qui e ora”; tolti i momenti di grande concentrazione, siamo sempre a pensare a dove vorremmo essere in alternativa a dove siamo, a cosa faremo più tardi o nei giorni successivi, a cosa vorremmo dire al nostro capo o a come avremmo voluto rispondere al nostro amico. Sempre altrove, sempre in un momento diverso.
In questi giorni è ancora più evidente per tutti. Il pensiero va al contagio, agli scenari del dopo contagio quando faremo i conti con gli effetti economici di questo stop, alle legittime preoccupazioni per come sapremo rimetterci in piedi e quanto tempo ci vorrà. Ma sono solo pensieri, appunto, e consumarsi ora su un futuro che sfugge al nostro potere porta solo stress.
Imparare a stare nel “qui e ora” è una grande risorsa e chi medita lo sa bene (dai, forza, quanti di voi si sono detti mille volte: «Ah, se avessi tempo mediterei anch’io…». Ora trovare 20 minuti o mezzora al giorno non dovrebbe essere un problema…).
Tranquilli, non voglio proporvi un video sulla meditazione guidata: innanzi tutto, vorrei riportarvi a qualcosa che credo accomuni tutti i mediatori, cioè la capacità di stare nel “qui e ora” del setting. Non so voi, ma durante le mediazioni posso garantire la mia presenza massima alle parti, quella che esclude anche la percezione della stanchezza. Per me questo coinvolgimento fa della mediazione un’esperienza di vita sempre appassionante.
E poi, giusto per restare in tema di mediazione e di sfruttamento del “qui e ora”, la rete e le piattaforme ci consentono mille diversivi. Da appassionata di serie televisive e di negoziazione, devo dirvi che c’è l’imbarazzo della scelta; per esempio, su Netflix trovate le 5 stagioni di Narcos e vi assicuro che si negozia dall’inizio alla fine. Certo l’approccio è di tipo competitivo e tutto tende a risolversi nella scelta tra “plata o plumo”, quindi non utilizzabile in mediazione, ma merita la visione.
Più seriamente, vi consiglio caldamente un’altra serie disponibile su Sky dal titolo “Succession”: sono due stagioni da dieci puntate ciascuna e la terza è in lavorazione. Come è facilmente intuibile dal titolo, si parla di successione, di passaggio generazionale in una famiglia ricchissima, proprietaria di un impero nel settore dei media e dell’intrattenimento.
C’è un capostipite, Logan Roy, le cui condizioni di salute in peggioramento rendono urgente l’individuazione di un successore tra i 4 figli, alcuni già in azienda e altri con attività e interessi al di fuori. La famiglia è ricchissima, la “paghetta” per i figli ha almeno sei zeri, il mondo rappresentato è qualcosa di inarrivabile e anche di difficile comprensione a volte per chi vive del proprio stipendio.
Ma le dinamiche familiari, quelle sono universali.
Quindi sono due le tematiche interessanti da osservare mentre ci si gusta una storia ben scritta e ben interpretata: quelle negoziali, in un continuo nascere di trattative interne ed esterne all’azienda, e quelle familiari, connotate da tantissimi soldi e da tanto potere.
Certo, conflitti del genere non arrivano in mediazione ma studiarli fa bene alla nostra professionalità.
Poi ci terrà occupati per una ventina di ore in un “qui e ora” appassionante e, dal mio punto di vista, anche un po’ disturbante. Perché, vedete, quando si parla di famiglia è facile che spuntino ganci emotivi al mediatore e questa visione potrebbe fare da screening.
E, infine, si fa la conoscenza con Logan Roy, il personaggio più cinico e crudele che abbia mai incrociato nelle mie scorribande cine-seriali; sì, anche peggio di Pablo Escobar di Narcos. Lui, in fondo, ha sempre protetto la sua famiglia mentre Logan Roy, anche se sprovvisto di “plumo”, non risparmia nemmeno i suoi figli.
Bene, per chi vorrà seguire il consiglio, buona visione.
Io, invece, ora vado; ho una sfida a dadi con mio figlio per decidere chi stasera porterà giù la spazzatura…