Casomai non bastasse la passione per la mediazione, il piacere di condividerla con chi la pensa nello stesso modo, l’orgoglio di poter contribuire ad accompagnare in questo campo i professionisti di domani, c’è un altro ottimo motivo per partecipare alla MAV di Verona: il luogo meraviglioso in cui si svolge, cioè il Polo Santa Marta.
Oggi è sede universitaria ma la sua origine è ben diversa: edificata un secolo e mezzo fa a beneficio della sussistenza del corpo d’armata austriaco, fino alla fine del ventesimo secolo ha mantenuto la sua destinazione di luogo di produzione di pane e gallette e di deposito di generi di sussistenza.
Da nutrimento del corpo a nutrimento della mente e dell’anima: dal 2009 è sede di alcuni dipartimenti dell’Università di Verona che, per il secondo anno, hanno aperto le loro aule alla competizione di mediazione.
Ci sono alcune differenze tra la Mav e la Cim che si tiene a febbraio di ogni anno a Milano: una di queste è che non si iscrivono le università ma squadre composte da studenti o ex studenti che si riuniscono in modo spontaneo. E non è raro incontrare ragazzi che negli anni scorsi hanno partecipato alla Cim e che quindi hanno un po’ di esperienza in questo tipo di competizione. A loro va il merito per la tenacia che dimostrano nell’attaccamento alla mediazione e nel desiderio di coltivare un campo potenzialmente ricco ma che fatica un po’ a dare i frutti. Per non dire dello stoicismo con cui si buttano in queste prove perché la vera incognita che devono affrontare ad ogni step nella gara non sta nelle informazioni riservate dell’altra parte ma in quello che passa nella testa ai valutatori. E credo che, a partire dalla sottoscritta, a loro vadano le nostre scuse. Non quelle retoriche dei casi da simulare (autori, pietà…!) ma quelle vere e sentite. Il perché provo a spiegarlo in questo catalogo semiserio dei valutatori più “originali” delle Cim et similia in cui sono incappata in questi anni.
LO STENOGRAFO
Durante la gara non solleva né gli occhi né la penna dal foglio che si riempie via via dei suoi appunti fitti; trascrive interi virgolettati, parte dei quali verranno letti durante il feedback ai ragazzi. La sua analisi, spesso semantica, di quanto ha ascoltato può portarlo a correggere i singoli passaggi nei dialoghi, con il rischio di perdere la visione d’insieme. Ci si aspetta che da un istante all’altro, in un momento di identificazione con Nanni Moretti di Palombella Rossa, possa urlare arrabbiato: “Le parole sono importanti!!!”
L’EGOCENTRICO
Meglio valutatore che mediatore in queste competizioni, verrebbe da dire. Se non altro è costretto al silenzio fino al termine del confronto tra le squadre. Poi finalmente – per lui! – arriva il momento in cui può parlare e il suo ego si dispiega come un gonfiabile tolto dal cellophane e riempito di aria: io avrei fatto in questo modo, a me è capitato un caso simile e mi sono mosso così, sono solo un paio di esempi ma può arrivare senza sforzi alla citazione di sé in quanto valutatore. “Come mi è già capitato di dire a vostri colleghi…, come sono solito dire in questi casi…”
IL RIFLESSIVO
Non riflette come uno specchio. Più che altro assume un’espressione assorta a occhi chiusi come se preferisse utilizzare l’udito anziché la vista, farsi guidare dalle sensazioni anziché dalla razionalità.
A volte è così. Altre volte è la notte in bianco ad avere la meglio o un pasto troppo calorico…
L’ENTUSIASTA
Resiste alla tentazione di assistere alla gara con i popcorn a portata di mano, ogni performance è interessante e sorprendente e il feedback può essere solo l’esaltazione delle cose positive che ha visto e ascoltato. Se è donna, ha lo sguardo materno. Se è uomo, lo si può immaginare vestito come la romantica donna inglese impersonata da Enrico Montesano mentre pronuncia trasognante: “Molto pittoresco!”
L’INCONTENTABILE
Nelle combinazioni di squadre, mediatori e valutatori non è raro che ci si incroci più volte e che una squadra venga valutata dalla stessa persona su casi diversi. Va detto che i ragazzi prestano molta attenzione ai feedback che ricevono, soprattutto per migliorare le loro performance nelle prove successive. Per loro è già fonte di frustrazione aggiustare il proprio atteggiamento accogliendo il consiglio di un valutatore e trovarne un altro, nelle prove successive, che non lo apprezza. Ma l’apoteosi della frustrazione è raggiunta quando è il medesimo valutatore a cambiare punto di vista, perché – come ci tiene a spiegare se glielo fanno notare – ciò che andava bene prima non è detto che vada bene dopo. D’altra parte, il mantra della mediazione non è proprio “dipende”?
L’INCONSAPEVOLE
Ha l’espressione attenta per tutto il tempo, sembra che non si perda una sillaba, uno sguardo, un gesto. Tuttavia, quando è il momento del feedback, dalle sue parole sembra che abbia assistito ad una performance diversa da quella che si è svolta sotto i suoi occhi. Sguardi smarriti si incrociano tra ragazzi, mediatore, altro valutatore, solitamente senza che nessuno se la senta di dire nulla. E confidando che il time keeper metta fine al più presto all’imbarazzo…
IL CONFUSO
È un valutatore che, durante la restituzione, tende a soffermarsi sui passaggi positivi della competizione e non lesina lodi a nessuna delle squadre. Potrebbe sembrare un entusiasta. Ma, quando si tratta di compilare le schede di valutazione, i suoi giudizi diventano impietosi e scollegati dalle parole che ha pronunciato, come somma manifestazione della sua confusione. La quale si propaga e germoglia generosa nella testa dei ragazzi, che si domandano cosa non hanno capito.
IL PARSIMONIOSO
Che sia un trauma che si porta dietro dalla carriera scolastica o che tema che i giudizi generosi possano non motivare adeguatamente i ragazzi, quando si tratta di barrare le caselle di valutazione la sua penna trova rifugio nella parte sinistra del foglio tra numeri piccolissimi, anche quando pensa che le squadre siano state brave. Se la declinassimo dal punto di vista psicoanalitico, Freud parlerebbe della fase anale irrisolta…
L’ALLINEATO
Non è mai il primo a dare il feedback alle squadre e, non si sa se per pigrizia, economicità o reale identità di vedute coi colleghi, oltre a dichiarare che è d’accordo con quanto è già stato detto ben poco esce dalla sua bocca. Solitamente la chiusa è: “comunque bravi, eh”.
IL DISTRATTO
Per lui la mediazione e la valutazione della prova è puro istinto e evviva l’improvvisazione. Se ha letto la traccia, se la dimentica in allegria per seguire la performance che si augura fantasiosa. Poco male se una squadra devia dalle indicazioni, lui apprezza e trova molto divertente lo sconcerto dell’altra squadra che si sente spiazzata davanti a certe inedite notizie.
IL DIETROLOGO
Nella sua formazione di mediatore ha approfondito tutto quello che poteva sulla comunicazione: non c’è domanda, sguardo, gesto, cambio di tono della voce o silenzio che non venga letto da questo valutatore come passaggio tattico o applicazione di una teoria. Mastica la PNL come se l’avesse inventata lui e non di rado si sente l’erede italiano di Paul Ekman. La sua restituzione alle squadre a fine prova è tra le più godibili che esistano: “Quando ti sei grattato l’orecchio era per comunicare al tuo compagno che avresti chiesto dopo qualche minuto l’incontro riservato? Quando hai accavallato le gambe era il segnale che non avresti accettato l’offerta della controparte? Quando hai alzato di 2 decibel il tono della voce pronunciando la parola “termostato” volevi che la controparte capisse le tue emozioni?”.
A riprova che il bello sta negli occhi di chi guarda (e ascolta). Pure nell’espressione interrogativa dei ragazzi, ignari fino a quel momento che l’orecchio che prude potesse essere la porta dell’inconscio.
L’EMULO DI TOGNAZZI
Menzione d’onore a chi, una frase dopo l’altra (non sempre compiute, spesso troncate sul più bello) riesce a non esprimere alcun concetto. Il sottinteso aleggia inafferrabile, ai ragazzi si formano piccole rughe tra le sopracciglia per lo sforzo di cercare di comprendere cosa sta dicendo, i più sgamati intercettano presto la supercazzola e attendono pazientemente la fine. Cosa davvero vorrebbe dire resta un mistero e, dopo tanti sforzi, la montagna partorisce il topolino: “Certo che voi, eh… Comunque mi siete piaciuti…”