ALERT!!! Questo NON è contributo scientifico e le informazioni citate, che potrebbero essere state smentite o corrette recentemente, sono qui utilizzate con mero fine narrativo.
C’è una sit-com che da anni riscuote grandi successi a livello mondiale, molto seguita anche in Italia. Si intitola Big Bang Theory e prende il via dall’incontro di quattro nerd – un fisico teorico, un fisico sperimentale, un astrofisico e un ingegnere aeronautico – con una biondina un po’ oca che spera in una carriera di attrice a Hollywood. Dei quattro ragazzi nerd, la caratterizzazione più originale è quella di Sheldon Cooper, il fisico teorico, ragazzo dotato di intelligenza geniale e inarrivabile ma privo di empatia e capacità di relazionarsi col prossimo: dà voce ai suoi pensieri senza alcun tipo di filtro. Se non fosse che Sheldon Cooper nutre un’autentica venerazione per Marie Curie e giudica le persone in base alla loro intelligenza scientifica tout court, avrei pensato che il professor Alessandro Strumia potesse essere il nostro Sheldon. Chi è il professor Strumia? È un docente di fisica teorica all’Università di Pisa e al Cern, oltre che il protagonista di una delle cose più esilaranti (nella sua tragicità) successe negli ultimi mesi a proposito di questioni di “genere”. Proprio durante un simposio al Cern sull’uguaglianza di genere nella fisica delle alte energie, infatti, il nostro enuncia – e poi espone la sua dimostrazione – che se esiste una disuguaglianza è perché le donne non sono brave come gli uomini in fisica.
Sarebbe interessante sapere cosa stesse frullando nella testa del prof. Strumia mentre pronunciava quelle parole nel tempio della fisica guidato da una donna italiana: Fabiola Gianotti. Avrebbe potuto essere una zingarata da “Amici miei”, giusto per gustarsi 15 secondi di sconcerto in platea, un pesce d’aprile sull’equinozio sbagliato, e poi via verso una bella e ruffiana propaganda di genere per ottenere finanziamenti per le sue ricerche. E invece no, dritto forte calpestando il soffitto di vetro che per l’occasione gli si è frantumato sotto i piedi.
Da quello che ho letto sull’evento, nonostante io abbia sempre avuto con la fisica una relazione complicata e potrei essere la dimostrazione delle ragioni di Strumia, i suoi postulati si fondano prevalentemente su entità numeriche che rappresentano lo stato dell’arte, ignorando elementi fondamentali di tipo culturale – come ad esempio l’analfabetismo e l’impedimento delle donne alla carriera accademica anche solo di un secolo fa – e i condizionamenti che ne derivano, se protratti nel tempo, dal punto di vista psicologico ma anche dello sviluppo cerebrale. Perché, che il cervello femminile e il cervello maschile funzionino in modo diverso è qualcosa che la neuroscienza ci ha già dimostrato.
E qui veniamo al punto (ok, ok, l’ho presa larga ma è un po’ che non scrivo in questa rubrica e ho verbosità da smaltire…). Anzi, ad un gradino prima del punto. Pensando per macro sistemi (vi prego, parafrasatemi che avete capito che sto parlando di MACRO sistemi!), è stato osservato che, in una negoziazione, l’atteggiamento prevalentemente maschile è di tipo competitivo mentre quello prevalente femminile è di tipo cooperativo. Non si può negare il peso dei condizionamenti sociali che, in un confronto negoziale, spingono la maggioranza degli uomini a “combattere” e la maggioranza delle donne a non aggredire e a non chiedere nel proprio interesse per il timore che ciò si ripercuota sulle proprie relazioni sociali. Tuttavia è dal punto di vista biologico che la cosa si fa molto interessante.
Pare, infatti, che la propensione delle donne verso l’evitamento del conflitto derivi da uno stress psicologico registrato più profondamente rispetto agli uomini in alcune zone del cervello e dalla quantità di emozioni negative che il conflitto stesso scatena, come ansia, paura e tensione, associate alla percezione dello stesso come una vera e propria minaccia alla propria sopravvivenza fisica. Da qui la tendenza, alternativa al combattimento, di cooperazione per il reciproco sostentamento. Le neuroscienze ci hanno spiegato che queste reazioni sarebbero indotte dall’ormone ossitocina, che viene rilasciato nel sangue in situazione di stress; le prove in laboratorio hanno dimostrato che l’ossitocina stimola la cooperazione e il rafforzamento dei legami sociali e i suoi effetti sono amplificati dagli estrogeni e ridotti dal testosterone. Pensate ora alla soddisfazione di uno scienziato maschio nel pronunciare beffardo le parole: «gli ormoni condizionano a tal punto il cervello femminile da spingerlo a percepire in maniera diversa la realtà e la vita stessa» con il sottotesto “lo sapevo, lo sapevo!!”. Invece a questa conclusione è giunta una decina di anni fa Louann Brizendine, scienziata e neuropsichiatra, nonché autrice del libro “Il cervello delle donne”, sapientemente ripresa da Alessandra Passerini, mediatrice e formatrice oltre che avvocato, nell’interessantissimo articolo dal titolo “Condizionamenti e ostacoli di genere al tavolo negoziale: stereotipi, pregiudizi, dilemmi o scelte consapevoli?” pubblicato sul Volume II della collana “La giustizia sostenibile” di Aracne Editrice (maggio 2012) e da cui sto attingendo a piene mani per questo contributo.
Si tratta di un importante rinforzo a quanto già sappiamo a proposito del conflitto che viene rappresentato davanti al mediatore (e alla mediatrice): esso ha ben poco di oggettivo, anzi è un film in soggettiva la cui narrazione è definita da come viene percepito da parte dei protagonisti. Se il diverso punto di vista genera storie differenti, ora sappiamo che anche la prospettiva di genere introduce una variabile alquanto significativa della distanza iniziale in una negoziazione.
Insomma, nulla che non fosse già rappresentato dagli Elio e le Storie Tese in “Cara ti amo”:
“Lui: eravamo fidanzati, poi tu mi hai lasciato senza addurre motivazioni plausibili.
Lei: No, non è vero. Tu non capisci l’universo femminile, la mia spiccata sensibilità si contrappone al tuo gretto materialismo maschilista”.
E ancora:
“Lui: rimani a casa.
Lei: voglio essere libera.
Lui: esci con chi ti pare.
Lei: non ti interessi mai di quello che faccio”.
E così via.
Ma torniamo alla mediazione e alla sua giovane età. È, infatti, piuttosto recente l’approccio negoziale di tipo integrativo e collaborativo che ha trovato nella mediazione la sua collocazione più felice. Alla luce di quanto esposto poco fa a proposito della propensione femminile ad adottare preferibilmente una modalità di tipo collaborativo e a perseguire, collaborando, un interesse collettivo piuttosto che uno individuale, è successo che i corsi di formazione per diventare mediatori/conciliatori attiravano soprattutto donne, incuriosite da una professione che di fatto ancora non esisteva ma con la quale si sentivano affini. Questo fino al 2010, cioè fino a quando la mediazione/conciliazione non aveva illuso nessuno che avrebbe potuto diventare un business; poi è arrivato il D.Lgs. 28 con il suo carico di aspettative e i partecipanti uomini sono diventati tantissimi. Ma questa è un’altra storia.
Per quale motivo, oltre a quanto già detto, la mediazione sembra così compatibile con il genere femminile? Facciamo un altro tuffo nella neuroscienza e a quanto fino ad oggi è stato scoperto grazie alle risonanze magnetiche a proposito di diversità chimiche, genetiche, funzionali e soprattutto ormonali del cervello di uomini e donne, che influiscono sullo sviluppo cognitivo, sociale e comportamentale. Per restare in tema, pare che negli uomini i centri cerebrali destinati all’aggressività siano più ampi e maggiormente collegati ad aree del cervello preposte all’attività fisica, mentre nelle donne l’aggressività pare essere più “verbale” (se c’è anche solo un uomo in grado di smentire, alzi la mano…). Le donne possiedono più neuroni nei centri cerebrali del linguaggio e dell’ascolto e più dotate nel decifrare emozioni dalle espressioni facciali e dal non verbale in genere. Oltre che a distinguere dall’azzurro, il celeste, l’indaco, il ceruleo, il turchese, il lavanda e il pervinca. Vette che un uomo non potrà mai raggiungere… a meno che non abiuri al ruolo di “maschio alfa” e rinunci ad una serie di privilegi ottenuti e consolidati per millenni.
Stiamo comunque vivendo in un’epoca in cui le differenze di genere si stanno, seppure lentamente, rimodellando ed è ipotizzabile un futuro in cui il concetto stesso di genere chiederà di essere ridefinito e ampliato. Nel frattempo, vorrei citare un articolo di un paio di mesi fa pubblicato sull’Harvard Business Review (How men get penalized for straying from masculine norms): sostiene che gli uomini che provano a distinguersi da ciò che è visto come mascolino vengono penalizzati in termini di carriere e di reddito: se sono gentili, empatici, se mostrano le loro emozioni e se sono modesti e consapevoli dei propri limiti, hanno decisamente meno chance di avanzare nel lavoro o di essere assunti o di ottenere aumenti di stipendio.
Come donne, di tutto questo ne sappiamo qualcosa. Mentre quello che probabilmente non sappiamo è che mandiamo e riceviamo sms e email grazie ad una ragazza che diventò famosa nel 1933 per aver corso nuda in un bosco nel film “Estasi”: Hedy Lamarr. Fu lei ad inventare un sistema per guidare i siluri grazie ad una tecnica detta salto di frequenza. Venne snobbata dall’esercito americano, ovviamente, che le consigliò di sostenere la patria dedicandosi a occupazioni più adatte al genere femminile belloccio: vendere baci a 50.000 dollari l’uno per promuovere la sottoscrizione dei titoli di guerra. Poi negli anni cinquanta il salto di frequenza venne rispolverato e formò la base per l’espansione della tecnologia che rende possibile oggi cellulari e internet (“All’indietro sui tacchi a spillo” di T. Kindersley e S. Vine – Einaudi Stile Libero). Capito, professor Strumia?