ULISSE E POLIFEMO ovvero l’importanza del “come”

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Avete mai pensato di coniugare mitologia classica e mediazione? Mariaclaudia Perego, mediatrice e avvocato in Milano, non solo lo pensa ma segue costantemente questa pratica, con ottimi risultati. I lettori di blogmediazione ricorderanno un suo primo contributo su questo tema. Da oggi il nostro blog ospiterà periodicamente una riflessione su un mito utilizzato per spingerci a riflettere sul modo in cui ci relazioniamo con gli altri e con il conflitto.

 

di Mariaclaudia Perego

La storia di Ulisse e Polifemo è uno degli episodi narrati dall’Odissea, un poema omerico che racconta il ritorno a casa di Ulisse re di Itaca, dopo dieci lunghi anni di guerra; il viaggio di Ulisse verso casa dura altri dieci anni. Questo antico testo è ricco di spunti di riflessioni anche per la vita contemporanea; nell’ambito dello studio del rapporto tra gli archetipi a cui aderiamo e gli strumenti per i professionisti del conflitto c’è un momento preciso di questo racconto che coglie il centro di alcune dinamiche conflittuali archetipiche.
Polifemo, un terribile e gigantesco mostro con un occhio solo, è figlio di Poseidone, dio del mare; egli vive su un’isola con i suoi fratelli, i temibili Ciclopi. Ulisse e i suoi uomini entrano nella sua grotta attratti dal cibo e diventano suoi prigionieri, Polifemo infatti scopre gli intrusi e pone una pesante roccia davanti all’ingresso del proprio antro per impedire la loro fuga. I compagni di Ulisse iniziano ad essere divorati uno ad uno dal Ciclope. Con un astuto inganno, Ulisse si è presentato a Polifemo con il nome di “Nessuno”, quindi il Ciclope è convinto di avere a che fare con “Nessuno”. Ulisse non si perde d’animo, è un uomo scaltro e riesce a salvare i suoi uomini con un piano temerario: il Ciclope viene accecato e al mattino, quando lascia uscire il suo gregge dall’antro, non si accorge che gli uomini sono aggrappati sotto gli animali, così i superstiti possono fuggire alla loro nave.
Il racconto di questo episodio non termina qui. C’è ancora un passaggio fondamentale e determinante per lo svolgersi di tutta l’Odissea e da cui dipende il futuro destino dell’eroe omerico.
Ulisse e i suoi uomini sono ora sulla loro nave e, giunti al largo, possono sentirsi al riparo dalla rabbia del Ciclope. In questo momento di ritrovata sicurezza Ulisse è orgoglioso e soddisfatto della propria scaltrezza e non riesce a resistere alla tentazione di rendere noto e memorabile quanto fatto; così dalla nave grida a Polifemo che si è meritato quanto gli è successo e che se vuole sapere chi è il responsabile dell’accaduto il suo nome è Ulisse, figlio di Laerte di Itaca.
L’uomo conosciuto in tutto il Peloponneso per la sua arguzia si rovina con le sue stesse mani, anzi parole, Polifemo fino a quel momento è convinto che il nome di Ulisse sia “Nessuno”, con questo assurdo gesto Ulisse toglie il velo di protezione che lui stesso aveva, con grande abilità, creato per se stesso e per i suoi uomini.
Polifemo sussulta nel sentire la voce di Ulisse, si infuria, strappa una montagna e la lancia in mezzo al mare provocando così un’onda che riporta la nave verso l’isola. Ulisse riesce di nuovo a fuggire ma non prima che Polifemo gridi al padre Poseidone il nome di Ulisse invocando vendetta.
“Ascolta Poseidone se è vero che io sono tuo figlio e tu sei mio padre concedimi che Ulisse figlio di Laerte, distruttore di città, non torni mai in patria, ma se è destino per lui tornare a casa e rivedere i suoi cari, che arrivi tardi e malamente, dopo aver perso tutti i suoi compagni e trovi nella sua casa dei guai.”
La preghiera di Polifemo a suo padre è una condanna per Ulisse e i suoi uomini, e la vendetta richiesta dal Ciclope si concretizza in ogni suo aspetto.
Questo episodio contiene più di un archetipo, o dinamica archetipica conflittuale, a cui ancora oggi la nostra società fa riferimento e vorrei porre in evidenza quelli che risultano più evidenti a una prima lettura.
Se si presta attenzione al momento genetico della “maledizione” appare la prima dinamica: Ulisse è il vincitore, colui che con scaltrezza è riuscito a prevalere in una situazione di evidente svantaggio, Polifemo è il perdente, sconfitto da un nemico inaspettato che usa armi di un livello e di una categoria diverse dalle sue.
Ulisse è orgoglioso di ciò che ha fatto e della propria vittoria, nonostante la perdita di numerosi compagni, ed ecco che quando si sente in una posizione di sicurezza, qualche cosa in lui scatta e lo porta a travalicare il limite posto dalla saggezza; la spirale egoica che cattura Ulisse lo spinge a schernire il Ciclope e a prendersi gioco dello sconfitto, ma questo non gli basta, la spirale continua e lo scherno si tramuta in qualcosa di più: Ulisse in quel momento vuole che l’impresa sia a lui riconosciuta.
L’incredibile potenza dell’ego si manifesta in modo irrefrenabile; Ulisse in questo passaggio esplicita un impulso umano che purtroppo non sempre si è in grado di controllare.
Quando si è stati bravi e si ottiene un risultato insperato, o quasi disperato, questo impulso arriva e si fa sentire sempre più forte, a volte anche spinto dalla grande sofferenza attraversata o subita.
Se l’approccio a questi momenti avviene con l’intento di ingaggiare situazioni di disaccordo o dinamiche conflittuali ciò che fa la differenza è “come” si decide di gestire questo impulso, la scelta del “come” può cambiare in modo radicale la qualità di vita futura.
Assecondare l’impulso, come mostra Ulisse, significa crearsi un nemico per la vita, creare disagio e conseguenze che non solo ricadono su chi agisce ma anche sulle persone che lo circondano.
Sopprimere l’impulso, può però essere altrettanto controproducente, ascoltarlo, capire che è una parte di noi, accettarla e scegliere in modo consapevole di non assecondarlo porta invece alla possibilità di agire in modo differente e di valutare le conseguenze di gesti o parole.
Una seconda considerazione può essere fatta con riguardo alle parole di Polifemo, il contenuto della “maledizione”. In poche righe Omero riunisce tutte le conseguenze principali dell’impatto di un conflitto, mal gestito, sulla vita di una persona e di coloro che sono in relazione con lei.
La prima richiesta è che Ulisse non torni mai in patria, ma lo stesso Ciclope si rende conto che la sua richiesta potrebbe essere non accolta dagli Dei tanto che le sue parole potrebbero essere tradotte “vorrei ucciderti ma so che non posso allora farò di tutto per rovinarti la vita”; ed ecco che Ulisse arriva a casa dopo aver perso tutti i suoi compagni, deve mendicare la carità nella sua abitazione e uccidere i pretendenti di sua moglie Penelope.
Troppo spesso nella vita quotidiana e professionale è possibile vedere l’avverarsi di profezie simili; l’effetto dei conflitti sulla vita di alcune persone può essere davvero devastante, si perdono amici, relazioni familiari si incrinano, anni di battaglie disperdono energie e risorse, e alla fine si arriva stanchi e provati a scelte obbligate.
E’ chiaro come almeno da qualche migliaio di anni si conoscono le conseguenze di alcune dinamiche, eppure continuano a ripetersi poiché vengono nutrite da radici profonde di cui quasi si è persa memoria, riconoscerle, conoscerle e portarle a piena luce costituisce un valido strumento per iniziare a decidere, un passo alla volta, il “come”.