Ammettiamolo, funzioniamo tutti un po’ a corrente alternata in base alle sollecitazioni che riceviamo ogni giorno. Come mediatori e nei rapporti con gli avvocati, ad esempio. All’uscita da una procedura che si è svolta in un clima di collaborazione con parti e professionisti, ci sentiamo fiduciosi in un cambiamento culturale che inesorabilmente sta avvenendo sotto i nostri occhi. Al termine di un incontro che più che di mediazione sembrava di boxe, sconsolati scrolliamo la testa e anneghiamo la nostra disillusione in (almeno) un mojito, domandandoci come mai non abbiamo ancora aperto un chiringuito ai Caraibi.
Poche cose come la mediazione regalano la sensazione di stare sulle montagne russe quanto a entusiasmo e frustrazione e non c’è Plasil che tenga. Un giorno ci si sente pronti a risolvere diplomaticamente il conflitto siriano, un altro si sente prepotente il desiderio di lanciare un missile terra-terra, casualmente in direzione dell’Ordine degli Avvocati del luogo del giudice territorialmente competente.
Certo questo è un argomento trito e ritrito, cotto e stracotto più della ribollita toscana; tuttavia, appellandomi alla mia età che mi espelle drammaticamente dalla “categoria giovani”, indugio nella ripetizione senza nemmeno l’incipit consolatorio: certo che ai miei tempi….
Il focus di questo sfogo è l’aspetto economico della mediazione e il meccanismo perverso che spesso si verifica durante il primo incontro. Per non dire “durante I PRIMI INCONTRI” i quali, a dispetto dell’aggettivo numerale ordinale che dovrebbe collocare temporalmente un unicum, tendono a moltiplicarsi come gli haters della Lucarelli.
Alzi la mano chi non si è mai sentito richiedere un rinvio del “primo incontro”. Alzi la mano chi è il fortunello o la fortunella a cui non è mai stato chiesto un rinvio del rinvio del primo incontro. Che, parafrasato secondo la tecnica ben conosciuta dai mediatori o, per i più raffinati, “reincorniciato” (tecnica del refraiming), significa: «Vorremmo continuare questa mediazione senza pagare fino a che non abbiamo la certezza di arrivare ad un accordo». E tralascio in questa sede quando alla fine l’accordo se lo chiudono direttamente gli avvocati nei loro studi.
Diciamolo, nei confronti del primo incontro nutriamo uno slancio schizofrenico di amore-odio: amore (in drammatico calo) perché ha moltiplicato le adesioni alla mediazione dandoci delle chance in più di gestire procedure interessanti. Odio (in inquietante salita) perché l’impianto stesso della mediazione ci mette nella condizione di subire appropriazioni indebite del nostro tempo da parte di professionisti e parti senza vergogna, oppure di contrapporci agli stessi svergognati in nome di un legittimo riconoscimento economico del nostro lavoro.
Comunque sia, che si subisca o ci si contrapponga, l’effetto inevitabile su cui andrebbe fatta una seria riflessione è sempre lo stesso: un imbarazzato commiato alla NEUTRALITA’ del mediatore.
Già perché se l’obbiettivo del primo incontro è che le parti proseguano con la mediazione e paghino le indennità, il mediatore è costretto a giocare per se stesso fino a che non sente strisciare la carta di credito. Il tempo in cui gioca per se stesso può essere ragionevolmente breve se al tavolo sono sedute persone corrette e professionisti che non scambiano la deontologia per un’intolleranza alimentare, o decisamente più lungo e faticoso quando si deve misurare con gli svergognati di prima. Quando capita, si può verificare addirittura che anche i litiganti più agguerriti e arrabbiati reciprocamente sospendano la loro belligeranza per allearsi contro la discutibile pretesa che il lavoro venga remunerato.
Il corto circuito è questo: mettere il mediatore nella condizione di negoziare per sé. Sappiamo bene che una negoziazione basata sui soldi ha poche chance di elevarsi ed è ingiusto e frustrante che la struttura della norma lasci solo il mediatore nell’arena, come un cristiano tra i leoni.
Come se ne esce? Essere nostalgici non porta benefici ma basterebbe tornare al 2013 e alla iniziale formulazione del primo incontro “programmatico” che prevedeva una remunerazione a forfait. Tempo pagato, imbarazzo schivato, mediatore, se non neutrale, almeno super partes.
Ma, soprattutto, scansato un grave rischio per la salute psichica del mediatore: la Sindrome di Stoccolma nei confronti di quegli avvocati che, senza accampare scuse e senza approfittarne biecamente, entro la prima ora passano alla cassa.
P.s.: e comunque, con o senza primo incontro, la storiella della neutralità del mediatore non mi ha mai convinto del tutto. Ma questa è un’altra storia, magari una prossima invettiva bisbetica.