Tre cose da non dire mai ad un mediatore (e perché)

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Qualche burlone, nella notte dei tempi della mediazione, deve aver messo in giro la voce che i mediatori sono persone angelicate, votate agli altri, come Giovanna D’Arco hanno sentito la chiamata e sì, insomma, più che un lavoro la loro è una missione.
È evidente che, se l’aspettativa delle parti e degli avvocati nei confronti del mediatore è questa, la relazione con lui potrebbe risultare compromessa sul nascere o, quanto meno, potrebbe crearsi quella bizzarra situazione in cui una persona pensa di essere nella sala massaggi di una SPA e si ritrova invece sulla poltrona di un dentista in procinto di trapanargli un molare.
La leggenda ora si è un po’ ridimensionata ma non è raro che i mediatori debbano davvero cercare in loro stessi tracce di pace interiore per sostenere l’ascolto di alcuni luoghi comuni e sedare così il McEnroe davanti al giudice di gara che è in loro. Perché, udite udite, essere mediatori capaci non significa avere un bel carattere e nemmeno saper restare impassibili come bonzi alle provocazioni e agli attacchi che sviliscono la professione e la professionalità di ciascuno.
Voglio esagerare: svolgere con passione e impegno il lavoro di mediatore non vuol dire che sulle questioni personali non si litighi. Capisco che la reazione davanti a mediatori che si azzuffano possa essere sconcertante quanto vedere uno pneumologo con la sigaretta in bocca, o un fiscalista accusato di evasione fiscale, o una parrucchiera con dieci centimetri di ricrescita che grida vendetta. Ma “è la condizione umana, bellezza…”.
E allora, premesso che il parterre dei mediatori civili attivi presenta soggetti dotati dei caratteri più diversi, dai più pacati ai più irascibili, ci sono (almeno) tre cose da non dire mai a nessuno di loro, qualunque sia il loro temperamento. Sempre che non si ami il rischio e non si voglia sfidare la sorte, ovviamente.

1. In fondo, io la mediazione la faccio tutti i giorni

Che fa il paio con: “per fare il lavoro che faccio io bisogna essere un po’ psicologi”, detto anche dal portinaio dello stabile a fianco al nostro, con buona pace del sistema nervoso degli psicologi che hanno preso una laurea, fatto il tirocinio e approfondito qualche specializzazione. E, non di rado, guadagnano meno di un portinaio.
I mediatori sgobbano un po’ meno per ottenere la qualifica, ma studio e conoscenza del metodo sono imprescindibili per un lavoro di qualità.
Poi arriva un professionista qualsiasi che nel corso della sua carriera lavorativa ha risolto qualche problema per i suoi clienti e si sente Roger Fisher; e allora il mediatore che lo ascolta si sente Mosè ma con una pala in mano e intento a scavare una buca profonda nel deserto del Sinai in cui gettarlo.

2. Per voi mediatori, fare questo lavoro è una missione

Deve essersi verificato un errore di comunicazione all’origine, un fraintendimento, a causa del quale la parola “passione” è diventata “missione”. Il legislatore ci ha messo del suo nel 2013 e la gratuità del primo incontro non ha fatto che rinforzare questo convincimento, specie tra quegli avvocati che hanno iniziato a leggere la normativa in materia di mediazione partendo dalle tabelle delle indennità.
Voi capite che la situazione può diventare imbarazzante se da un lato c’è un mediatore che nel primo incontro si dà da fare con “passione” per uscire dall’area gratuita e entrare in quella remunerata, e dall’altra c’è qualcuno che, convinto di aver davanti un “missionario”, si accomoda nel soffice spazio gentilmente donato dall’articolo 8, neanche fosse nello showroom di una nota marca di sofà dalle inesauribili offerte.
L’apoteosi si raggiunge quando l’approfittatore di offerte sui divani, turbato dalle istanze del mediatore che si appella al legittimo desiderio di veder remunerato il proprio lavoro e il proprio tempo, candidamente pronuncia la frase: “Ma per voi mediatori fare questo lavoro è una missione”.
Allora il desiderio che si affaccia prepotente alla mente del mediatore sventurato è quello di essere di nuovo Mosè, questa volta per convincere il Signore a scagliare sul bestemmiatore tutte le sette piaghe d’Egitto contemporaneamente.

3. La mediazione è stata introdotta per far arricchire gli amici degli amici

La fiera dei luoghi comuni, si sa, è sempre affollata e, a fianco allo stand del “una volta qui era tutta campagna”, c’è quello molto popolare (e molto populista) del “in Italia si fanno le leggi solo per fare arricchire gli amici degli amici” detto anche “è tutto un magna magna”.
La mediazione, così osteggiata da tanti, non poteva passare indenne da questo pregiudizio; quindi, agli occhi di questi disillusi pessimisti malfidenti che non si sono dati la pena di leggere la norma incriminata o, se l’hanno fatto, di cercare di capirla, gli organismi di mediazione sono lo strumento della potente lobby dei mediatori con cui fanno i “soldi facili” grazie all’introduzione del quarto grado di giudizio.
Ovvio che anche questa volta il nostro mediatore desideri essere Mosè, non fosse altro che per il “peso” che la legge aveva a quel tempo. Se poi tutto il peso delle tavole su cui era incisa la versione del decreto 28 del vecchio testamento finisce frantumato sul piede dell’accusatore temerario, beh non dite che non ve l’avevo detto.