UN PROGETTO DI MEDIAZIONE SOCIALE

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cittàConiugare la mediazione in contesti diversi da quelli previsti dalla normativa è una tendenza che ci va sempre più affermando anche in Italia.

Ne è un esempio pratico l’ipotesi progettuale formulata dall’associazione GEO-C.A.M., espressione della categoria professionale dei Geometri ma che raccoglie in sé anche altre professionalità, tutte motivate a sostenere la diffusione della cultura della mediazione.
Abbiamo intervistato il coordinatore dell’iniziativa, Giovanni Corsini.

Da dove siete partiti per l’elaborazione di questo progetto?

Siamo convinti che le relazioni comunitarie siano sempre più suscettibili di conflitti. Da quelli condominiali, a quelli di quartiere, di vicinato, di gruppo, scolastici, ambientali, sportivi, inter e intraaziendali e così via.
Tali conflitti, spesso, non riescono ad essere gestiti correttamente, anche per il venir meno delle tradizionali figure che, in passato, svolgevano il ruolo di punti di riferimento come il maestro, il medico, il prete e il notabile del paese che in qualche modo garantivano il mantenimento dell’equilibrio all’interno della comunità.
La scomparsa di queste figure ha lasciato un vuoto che, al momento, viene colmato soltanto dalle forze dell’ordine e dal sistema giudiziario. Ma è evidente con quale fatica e quanta inadeguatezza riescano a gestire queste situazioni.

Da qui l’idea di impiegare la mediazione sociale?

La mediazione sociale non intende sostituirsi agli strumenti giudiziari bensì di proporsi come un aiuto agli strumenti tradizionali, permettendo all’amministrazione di farsi carico dell’emersione di quei conflitti che rendono difficile la vita delle persone e ai cittadini di riappropriarsi del conflitto e della possibilità di esprimere i propri vissuti, emozioni, rappresentazioni e bisogni, aiutandoli ad uscire dall’angolo nel quale spesso si sentono intrappolati, attraverso il ricorso a strategie di tipo comunicativo e negoziale, anche al fine di evitare l’escalation del conflitto stesso e la sua degenerazione in violenza.

Concretamente, come pensate di agire?

Il progetto è volto ad istituire un Centro di Mediazione Sociale presso la Pubblica Amministrazione, gratuito per l’utenza, nel quale il cittadino possa trovare uno spazio di ascolto ed un aiuto competente per riappropriarsi della gestione del proprio conflitto, al fine di aumentare la coesione sociale, il senso di appartenenza e, soprattutto, la prevenzione della degenerazione del conflitto in violenza e, quindi, la perpetrazione di reati, più o meno gravi.  Questo dovrebbe consentire di facilitare la partecipazione dei cittadini alla cura condivisa dei luoghi, a sviluppare reti sociali e a migliorare il rapporto con le Istituzioni, a favorire l’integrazione e la conoscenza dei servizi.

Il progetto è quindi focalizzato sulla costruzione di un centro di mediazione?

In realtà c’è un obiettivo ulteriore. Oltre alla costituzione di un vero e proprio Centro di Mediazione pensiamo di renderci promotori di tavoli di confronto tra le parti sociali, e svolgere il proprio intervento nei luoghi di socializzazione quali ad esempio, le scuole, i centri sportivi, le case popolari, i quartieri ecc. A nostro avviso il Centro di Mediazione sociale dovrebbe prevedere la presenza di mediatori sociali, culturali, familiari e di consulenti legali. Insomma un intervento a 360 gradi a gestione della conflittualità nella sua accezione più ampia.