Le procedure di conciliazione ed arbitrato nel settore bancario e finanziario

2486

CONSOBdi Enea Franza *

Ombudsman- Giurì bancario, Arbitro Bancario e Finanziario e Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso la Consob, rientrano nell’ampio sistema di risoluzione alternativa delle controversie messa a disposizione dal legislatore ai clienti delle Banche e “di altri intermediari finanziari” con lo scopo di rendere più rapida, economica e snella la soluzione di litigi in corso. Tali realtà hanno, tuttavia, funzioni e competenze molto diverse sulle quali è necessario soffermarsi, anche al fine di valutarne l’impatto sia in termini di “customer satisfaction” che, in termini più generali, di “regolamentazione di settore” sul sistema del credito e dell’intermediazione finanziaria.

Nella sommaria descrizione che seguirà, ci preme distinguere tra i sistemi di mediazione che possono concludersi con la conciliazione o meno, da quelli di arbitrato che si concludono con una decisione vera e propria, evidenziando la peculiarità che assume, in questo contesto, il sistema dell’arbitro bancario finanziario (ABF) .

Partiamo con l’esaminare la figura dell’Ombudsman- Giurì bancario, sistema che già oggetto di molte analisi da parte di insigni giuristi. L’Ombudsman bancario è nato nel 1993 attraverso una circolare dell’ABI, seguita ad un accordo tra le banche. E’ un organismo collegiale composto da un Presidente (nominato dal Presidente del Consiglio di Stato) e da quattro componenti. Il Presidente dura in carica cinque anni con mandato rinnovabile una sola volta, mentre quello degli altri membri del collegio dura tre anni ed è rinnovabile una sola volta. Al collegio è possibile rivolgersi quando si ritiene che il servizio ricevuto dalla propria banca non sia stato adeguato e, allo stesso modo, si ritiene che anche l’ufficio reclami preposto dalla stessa banca non sia stato in grado di fornire opportune risposte alle rimostranze. Possono essere sottoposte all’attenzione dell’Ombudsman soltanto controversie che non siano state già portate all’esame dell’Autorità giudiziaria, di un collegio arbitrale o di un organismo conciliativo; che riguardino questioni quantificabili in un valore non superiore a 100.000 euro; il cui contenuto sia già stato sottoposto all’esame dell’Ufficio Reclami della banca o dell’intermediario ma senza risposta, o con risposta in tutto o in parte sfavorevole; per le quali si è proposto reclamo all’ufficio competente ma, anche se il ricorso è stato accolto, non c’è stata attuazione nei termini indicati. L’Ombudsman decide entro 90 giorni dalla data di ricezione della richiesta di intervento. La decisione deve essere motivata e comunicata mediante lettera raccomandata alle parti, che sono tenute ad adempiere nei termini indicati. Qualora venga a conoscenza che la banca o l’intermediario non si sono conformati alla decisione resa, l’Ombudsman assegna un termine per provvedere, decorso il quale l’inadempienza viene resa nota a mezzo stampa, a spese della banca o dell’intermediario inadempiente. La sanzione è, dunque, in questi casi di natura reputazionale, andando a colpire il comportamento dell’intermediario con riferimento all’adempimento nei confronti delle decisioni del Ombudsman – Giurì bancario. Si segnala che tale modalità operativa è stata presa a modello anche dall’ABF, atteso che l’esperienza del Ombudsman si è dimostrata idonea a convincere molti istituti sulla adesione.

L’Arbitro Bancario Finanziario (ABF in breve), è stata prevista dall’articolo 128-bis del Testo unico bancario (TUB), introdotto dalla legge sul risparmio (legge n. 262/2005). Secondo questa norma, le banche e gli altri intermediari finanziari sono obbligati ad aderire a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela(¹) , ovvero, chiamati dal risparmiatore l’Istituto deve necessariamente presentare le proprie controdeduzioni. Il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) – che opera presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – con una Delibera del 29 luglio 2008, ha stabilito i criteri per lo svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e ha affidato alla Banca d’Italia il compito di curarne l’organizzazione e il funzionamento. La Banca d’Italia ha adottato il 18 giugno 2009 le disposizioni di attuazione della Delibera del CICR, che sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, del 24 giugno 2009. L’Arbitro Bancario Finanziario è composto da un Organo decidente e da una Segreteria tecnica. L’Organo decidente è articolato sul territorio nazionale in tre Collegi: uno a Milano, uno a Roma e uno a Napoli(²). In ciascun Collegio l’Organo decidente è composto da cinque membri: il Presidente e due membri sono scelti dalla Banca d’Italia , un membro è designato dalle associazioni degli intermediari, un membro è designato dalle associazioni che rappresentano i clienti (imprese e consumatori). Il Presidente resta in carica per cinque anni e gli altri membri per tre anni; il mandato è rinnovabile una sola volta. Possono essere sottoposte ad esso le controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari. Sono escluse le controversie attinenti ai servizi e alle attività di investimento ed alle altre fattispecie non assoggettate al titolo VI del T.U. ai sensi dell’articolo 23, comma 4, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono. Se la richiesta del ricorrente ha ad oggetto la corresponsione di una somma di denaro a qualunque titolo, la controversia rientra nella cognizione dell’ABF a condizione che l’importo richiesto non sia superiore a 100.000 euro. Sono escluse dalla cognizione dell’organo decidente le richieste di risarcimento dei danni che non siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o della violazione dell’intermediario; sono parimenti escluse le questioni relative a beni materiali o a servizi diversi da quelli bancari e finanziari oggetto del contratto tra il cliente e l’intermediario ovvero di contratti ad esso collegati (ad esempio, quelle riguardanti eventuali vizi del bene concesso in leasing o fornito mediante operazioni di credito al consumo; quelle relative alle forniture connesse a crediti commerciali ceduti nell’ambito di operazioni di factoring). Non possono essere sottoposte all’ABF controversie relative a operazioni o comportamenti anteriori al 1° gennaio 2007. Non possono essere, inoltre, proposti ricorsi inerenti a controversie già sottoposte all’autorità giudiziaria, salvo i ricorsi proposti entro il termine fissato dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Anche in questi casi, resta fermo l’ambito della cognizione dell’ABF definito dalle presenti disposizioni. L’ABF non può conoscere controversie per le quali sia pendente un procedimento di esecuzione forzata o di ingiunzione. Non possono altresì essere proposti ricorsi inerenti a controversie rimesse a decisione arbitrale, ovvero, per le quali sia pendente un tentativo di conciliazione o di mediazione ai sensi di norme di legge (ad esempio, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) promosso dal ricorrente o al quale questi abbia aderito. Il ricorso all’ABF è, tuttavia, possibile in caso di fallimento di una procedura conciliativa già intrapresa; in questo caso – fermo restando quanto previsto dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 – il ricorso può essere proposto anche qualora sia decorso il termine di 12 mesi di cui alla sezione VI, paragrafo 1. Nel caso di azione collettiva risarcitoria di cui all’articolo 140-bis del Codice del Consumo, la controversia si intende sottoposta all’autorità giudiziaria dal momento in cui il consumatore o utente aderisce all’azione collettiva. Ma veniamo al dunque, che effetto hanno le decisioni dell’ABF ? L’Arbitro Bancario Finanziario è un sistema nuovo, la cui istituzione, come visto, è prevista direttamente dalla legge (art. 12b bis TUB). Gli intermediari sono obbligati ad aderirvi ma le sue decisioni non sono vincolanti per le parti, che hanno sempre la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria. La notizia dell’inadempimento dell’intermediario, o della sua mancata cooperazione al funzionamento della procedura, come in caso di omissioni ritardi nell’invio della documentazione, è pubblicata sul sito internet dell’ABF, e – a cura e spese dell’intermediario – in due quotidiani ad ampia diffusione nazionale. Si noti che il giudizio davanti all’ABF non ha i caratteri di una cognizione processuale assimilabile a quella del giudice ordinario o dell’arbitro; in linea di principio, infatti, la decisione emessa dal Collegio difetta dei requisiti di accessorietà, definitività e vincolatività, limitandosi la sanzione per l’intermediario ad avere carattere reputazionale. In merito, tuttavia, va evidenziato che “gli esiti dei ricorsi sono valutati dalla Banca d’Italia per i profili di rilievo che essi possono avere per l’attività di vigilanza”, pertanto, il mancato adempimento dell’intermediario alla decisione assunta dall’ABF espone l’intermediario, non solo all’irrogazione delle sanzioni reputazionali, ma anche alle sanzioni che Banca d’Italia può infliggere nell’esercizio delle proprie attività di vigilanza sulla conformità dei comportamenti degli intermediari alle prescrizioni del TUB e, in particolare, alle regole di trasparenza (vedi “Disposizioni sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” emanate da Banca d’Italia il 29.07.2009). Si tratta, insomma, di un rischio alto per l’intermediario, se si tiene conto che la decisione dell’ABF fa scuola per i casi simili non solo con riferimento all’intermediario colpito, ma anche per gli altri. Ne segue, alla luce di quanto esposto, che consigliabile sarebbe per gli intermediari porre maggiore attenzione nella gestione dei reclami e dei connessi rapporti con la clientela, sostenendo lo sviluppo della mediazione e dell’arbitrato. Di tutta evidenza che vada posta una particolare attenzione anche alla modulistica contrattuale che preveda, in caso del sorgere controversie, le procedure conciliative e preveda clausole d’arbitrato valide e ben formulate.

Compiti diversi sono affidati alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato costituita presso la Consob, ai sensi dell’art 32 ter del Testo Unico della Finanza (3) . Esso è un organo tecnico e strumentale della Commissione attualmente (4) composto da tre membri, nominati dalla Consob tra i suoi dipendenti di grado direttivo superiore con i compiti di amministrare le procedure di conciliazione ed arbitrato, di tenere gli elenchi di conciliatori ed arbitri (i professionisti che materialmente gestiscono le procedure di conciliazione e arbitrato), nonché di promuovere la conoscenza presso il pubblico della conciliazione e dell’arbitrato. Lo scopo della disciplina è di offrire ad investitori diversi dai clienti professionali che si ritengano danneggiati da un comportamento scorretto dell’intermediario, la possibilità di risolvere in modo efficace, rapido ed economico ogni controversia che insorga con i soggetti abilitati alla prestazione di servizi ed attività di investimento. Ricordiamo che a “clienti al dettaglio” è consentito il passaggio alla categoria dei “clienti professionali” nel rispetto, tuttavia, di specifiche condizioni predefinite (5) . I “soggetti abilitati” sono in primo luogo le banche italiane o comunitarie con succursale in Italia, le banche extracomunitarie , le Sim, le imprese di investimento comunitarie con succursale in Italia, le imprese di investimento extracomunitarie, le Sgr (ovvero, le Società di gestione del risparmio), le società di gestione armonizzate con succursale in Italia, le Sicav nonché gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del testo unico bancario di cui al D. Lgs. 385/93. Le controversie “censurabili” presso la Camera sono relative alla compravendita di azioni ed obbligazioni ovvero concernenti operazioni in strumenti finanziari derivati, nonché le questioni relative ai “prodotti composti” – ossia quelli che hanno una componente con natura di investimento o assicurativa e una componente finanziaria – se tali prodotti hanno finalità esclusiva o prevalente di investimento . Viceversa, se tale specifica finalità manca, possono essere decise dal sistema di conciliazione e arbitrato della Consob soltanto le controversie relative alla componente del prodotto che ha la finalità di investimento, nonché i singoli contratti che compongono un “prodotto composto” con finalità esclusiva o prevalente di investimento. Più precisamente il riferimento è all’art. 1, comma 2, del Testo Unico della Finanza. Tuttavia, qualche perplessità nasce dalla presenza nell’ampia previsione normativa anche delle c.d. “carte commerciali”, in quanto valori mobiliari (7). Il sistema prevede che sono decise dalla Camera solo le “liti” che hanno ad oggetto la violazione da parte degli intermediari di regole di informazione, correttezza e trasparenza nella prestazione dei servizi di investimento o del servizio di gestione collettiva del risparmio. I servizi di investimento sono tutti individuati e disciplinati dalla legge; i più noti sono l’esecuzione di ordini della clientela (la banca compra per noi sul mercato un titolo, cioè un’azione, un’obbligazione, un titolo di Stato, una quota di un fondo ecc.), la gestione di patrimoni (la banca gestisce i nostri soldi investendoli in titoli, secondo una politica di investimento predefinita), il collocamento (la banca ci propone l’acquisto di titoli da poco emessi per essere offerti al pubblico) e la consulenza in materia di investimenti (la banca ci consiglia l’operazione che ritiene adatta a noi). Il servizio di gestione collettiva del risparmio consiste nella gestione di fondi comuni di investimento, dove le quote di più risparmiatori sono unite per essere investite in titoli o altre attività (ad esempio, immobili). Oltre che avere ad oggetto un servizio di investimento (o di gestione collettiva del risparmio), la controversia oggetto di conciliazione deve riguardare, ex art. 4 regolamento di attuazione del d.lgs 8 ottobre 2007, n. 179, la violazione da parte dell’intermediario bancario o meno, degli obblighi d’informazione, correttezza o trasparenza previste nei rapporti contrattuali con gli investitori. Facciamo il punto su tali regole, sulle quali vigila la Consob. Esse servono a fare in modo che le informazioni che l’intermediario deve fornire al risparmiatore, di cui ha bisogno per effettuare in piena consapevolezza le proprie scelte di investimento, siano chiare e complete ed i comportamenti siano corretti. La disposizione richiamata fa puntuale riferimento alla “chiarezza”, “correttezza” e “trasparenza”, al fine di determinare quale debba essere il buon comportamento degli intermediari. Queste clausole hanno la funzione d’integrare i doveri specifici che incombono sugli intermediari, i quali sono tenuti a rispettare non solo tutto quanto loro dettagliatamente prescritto da legge e regolamento, ma – in funzione integrativa – tutto quanto correttezza e trasparenza impongono(8) . Infatti, gli intermediari svolgono un’attività professionale e, dunque, la diligenza che è loro richiesta deve essere parametrata alla natura dell’attività svolta. Il comportamento dell’intermediario non può che essere professionale se vuole essere diligente, in quanto diligenza significa anzitutto rispetto di tutte le disposizioni che regolano a livello primario e secondario la condotta degli operatori del settore. La “correttezza”  è un termine che si rinviene nell’art. 1175 c.c.: “il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza ”. Trasparenza (9) significa chiarezza ed indica il complesso di comportamenti e di presidi organizzativi che consente un appropriato trasferimento d’informazioni dall’intermediario al contraente. In particolare, “trasparenza” (soprattutto se considerata insieme a “correttezza) assume il significato anche di “completezza” dell’informativa, dal momento che trattenere informazioni può risultare fuorviante per il contraente ed impedirgli di prestare un consenso consapevole. Più specificamente, in una materia tecnica quale quella finanziaria, l’intermediario trasparente è quello che pone il contraente nelle condizioni di capire gli elementi essenziali del rapporto contrattuale, spiegando la terminologia tecnica, in una terminologia ragionevolmente facile da comprendere con riferimento alla profilatura del cliente. L’importo della controversia sollevabile davanti la Camera, a differenza delle questioni sollevate dall’Ombudsman e all’ABF, non ha un limite ed è per sua natura generalmente molto elevato. La Camera offre due strumenti: la conciliazione o l’arbitrato. La conciliazione è finalizzata a trovare un accordo, fra il ricorrente e la banca, che risolva bonariamente la controversia; dal momento del formale ricevimento della domanda di conciliazione fino alla conclusione della procedura non devono passare più di 60 giorni, prorogabile dalle parti al massimo di ulteriori 60 giorni. Raggiunta l’intesa, il conciliatore redige insieme alle parti un verbale che ne racchiude i contenuti. In caso di mancato rispetto degli impegni presi, il verbale, omologato dal presidente del tribunale (una volta accertatane la regolarità), costituisce titolo esecutivo, cioè potrà essere utilizzato per chiedere al giudice l’esecuzione forzata sui beni della parte inadempiente. Se la conciliazione non riesce, vi è un’ultima possibilità: il conciliatore formula la “sua” proposta di conciliazione, cioè i termini di un accordo che ritiene giusto. Le parti sono libere di accettarla o meno, se non l’accettano il verbale riporterà la loro posizione contraria. Gli oneri connessi ai diritti dei conciliatori e le eventuali spese gravano sulle parti in egual misura, ma rispetto alla disciplina generale sono d’importo dimezzato. Il legislatore con il decreto legislativo n. 28/2010, al fine di incentivare il ricorso al nuovo strumento della conciliazione, ha stabilito una serie di agevolazioni fiscali per le parti, che naturalmente valgono anche per la conciliazione effettuata presso la Camere di Conciliazione ed Arbitrato presso la Consob. I benefici si sostanziano nell’ esenzione dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto degli atti prodotti nel corso della mediazione (domanda di mediazione, nomina ed accettazione del mediatore, proposta di conciliazione del mediatore, verbale di accordo o di mancato accordo), nell’ esenzione da imposta di registro per verbali di accordo entro il limite di 50.000 euro, nel caso in cui il verbale superi il suddetto limite sconterà imposta di registro per la parte eccedente , e nel credito d’imposta, per ciascuna delle parti commisurato all’indennità di mediazione corrisposta all’organismo di mediazione, fino a concorrenza di 500 euro nel caso di successo del procedimento di conciliazione. In caso d’insuccesso il credito d’imposta è ridotto della metà. Se il tentativo di conciliazione dovesse fallire, non resta che rivolgersi al Tribunale o, se esistono i presupposti, all’arbitrato. L’arbitrato, al contrario della conciliazione, non ha la finalità di favorire un accordo. La disciplina dell’arbitrato Consob, come quella della conciliazione e` ripartita su due livelli: il D.Lgs. n. 179/2007 demanda difatti a un regolamento Consob la regolamentazione dettagliata di tale materia. Il primo adottato dalla Consob con delibera n. 16763/2008, è stato poi sostituito dalla successiva delibera n.18275/2012. L’evidenza storica evidenza come , a tutt’oggi, non risultino discusse davanti alla Camera di conciliazione ed arbitrato della Consob cause d’arbitrato. Certamente il vulnus sta nell’assenza, nella generalità dei contratti d’intermediazione finanziaria di clausole d’arbitrato, che possano ritenersi sufficientemente chiare per l’attribuzione della competenza a giudicare alla Camera di Conciliazione ed arbitrato della Consob . In particolare, è noto che, i contratti d’investimento , predisposti dall’intermediario, vengono poi sottoscritti, sostanzialmente per adesione, dall’investitore. Si tratta generalmente di un modello contrattuale predisposto dalla banca e dall’intermediario, rispetto al quale il risparmiatore non ha alcuna possibilità di negoziazione (10) . L’arbitro, come il giudice, decide sulla controversia, stabilendo chi ha torto e chi ha ragione e, eventualmente, definendo l’entità dei danni che dovranno essere risarciti. L’arbitro decide sulla controversia e pronuncia il suo lodo. L’arbitro può, nel caso di collegio, la decisione è assunta a maggioranza degli arbitri. Il lodo ha lo stesso valore della sentenza del giudice. E’ impugnabile, ma solo per vizi di legittimità, dinanzi alla Corte d’appello e, una volta definitivo, costituisce, al pari della sentenza del giudice, titolo esecutivo.

(1) Per un approfondimento: l’Arbitro bancario Finanziario, in Arbitrato, (a cura di) Salvaneschi, Radicati di Brozolo, Carlevaris, Avvalena, Cintioli, Iacoviello, Ielo, Negri, Olivieri, Villa, Milano, 2012, p. 342; De Carolis, L’Arbitro Bancario Finanziario come strumento di tutela della trasparenza, in Quaderni di Ricerca Giuridica Banca d’Italia, n. 70, 2011 e  Quadri, L’arbitrato bancario e finanziario nel quadro sei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, in Nuova Giur. Civ. comm., 2010,p. 318.

(2) Il Collegio con sede a Milano è competente per la decisione sui ricorsi presentati da clienti aventi il proprio domicilio in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto; il collegio con sede a Roma per Abruzzo, Lazio, Marche, Sardegna, Toscana, Umbria e per i ricorsi presentati da clienti aventi il proprio domicilio in uno stato estero; il collegio di Napoli è invece competente per Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia.

(3) Norma introdotta  dall’art. 7 del d.lgs del 17.9.2007.

(4) Come modificato a seguito della delibera della Consob  n.18275 del 18 luglio 2012.

(5) La variazione comporta la rinuncia ad alcune delle tutele previste in favore del “cliente al dettaglio”. La procedura da seguire per la modifica della categoria prevede richiesta in forma scritta da parte del cliente di essere trattato come “professionale” a titolo generale oppure rispetto ad un particolare servizio, operazione, strumento o prodotto di investimento., l’ inoltro al cliente di una nota informativa contenente l’avvertimento che la nuova classificazione come cliente professionale comporta la perdita di alcune tutele; una dichiarazione scritta del cliente, in un documento diverso dal contratto, circa la propria consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezione e la verifica da parte della BCC della sussistenza dei requisiti previsti dall’allegato 3, sezione II, punto1) del Regolamento Intermediari (Del. Consob 11522/98 e ss mod.), ed infine la notifica al cliente della nuova classificazione.

(6)  I servizi e le attività d’investimento sono definite all’art. 1, commi 5 e 6 del T.U.F., mentre , quanto alla prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il riferimento è al Titolo III, del T.U.F.

(7) Si tratta di una specie di “cambiale” che le imprese emettono e che sono sottoscritte da banche, fondi o privati. Gli istituti finanziari si trovano così normalmente ad avere nei loro portafogli molta carta commerciale a diverse scadenze. Questa attività può essere cartolarizzata, cioè a dire l’istituto finanziario può emettere delle obbligazioni, da far sottoscrivere da altre società finanziarie o da privati, che hanno a garanzia la carta commerciale in portafoglio dell’istituto.

(8) La “correttezza” va distinta dalla “diligenza”, pur integrandone il contenuto. L’art. 1176 comma 1 c.c., prevede che “nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia”. Lo stesso articolo, quindi, specifica che “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata” (art. 1176 comma 2 c.c.).

(9) La “trasparenza”, è una nozione meno classica del diritto civile e ricorre nelle leggi speciali preposte a disciplinare i mercati assicurativo, bancario e finanziario. Ad esempio il titolo VI del d.lgs. n. 385/1993 è rubricato “trasparenza delle condizioni contrattuali”.

(10) Invero, l’art. 37 reg. n. 16190/2007 prevede in dettaglio quale debba essere il contenuto di tale contratto, che, ai fini che qui interessano “esso debba indicare le eventuali procedure di arbitrato per la risoluzione di controversie” (art. 37, comma 2, lett. i, reg. n. 16190/2007).

* Responsabile Ufficio Camera di conciliazione e arbitrato CONSOB. Le opinioni espresse nel presente articolo rappresentano il pensiero dell’autore e non devono essere considerate posizione ufficiale della CONSOB stessa.