Quattro chiacchiere con Stefano Cera

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Stefano CeraOggi abbiamo un nuovo appuntamento con gli operatori della mediazione. Incontriamo STEFANO CERA, formatore e docente in mediazione, conduttore radiofonico (www.radiogodot.it) e blogger (formamediazione.blogspot.it)

Come nasce la passione per la mediazione?

Nasce nei primi anni ’90, partecipando al Corso in Specializzazione in Commercio Estero fatto presso l’ICE. Uno dei docenti è stato Mario Quinto che ci ha parlato con grande enfasi e passione, soprattutto di negoziazione internazionale. E’ stato un “incontro” molto significativo per me e da allora ho iniziato ad interessarmi a questo argomento, attraverso letture, confronti con colleghi ed attività sempre più mirate. Il passo dalla negoziazione alla mediazione è stato breve, nel senso che, praticamente da subito, nel focalizzare l’attenzione sulla prima, ho “inevitabilmente” allargato la prospettiva anche alla seconda.
In questo modo ho iniziato questo mio particolare “percorso” (professionale e, soprattutto, personale) che ancora oggi, giorno dopo giorno, mi porta a lavorare prima di tutto su me stesso. Anche perché ritengo che la negoziazione e la mediazione, in realtà, offrano lo spunto per approfondire tanti altri temi, dalla comunicazione alla gestione del conflitto, dalla creatività al problem solving. Temi fondamentali, starei per dire “per la vita” e, come tali, meritevoli della massima attenzione, da parte mia e, più in generale, credo da parte di tutti.

Come formatore sei noto per utilizzare spesso il cinema. Quali sono le reazioni nei partecipanti?

Faccio una premessa: ho appena scritto un libro che sta per essere pubblicato (ed.Palinsesto) e spero possa essere disponibile entro poco tempo.
Detto questo,la reazione è molto positiva e l’utilizzo dei film, di solito, viene accolto con grande interesse e curiosità. Da parte mia ritengo che il cinema offra grandissime potenzialità per l’apprendimento, che si realizza per mezzo dell’osservazione di un’esperienza “esterna”, tuttavia facilitata da una nostra elaborazione personale, basata sul nostro vissuto, le nostre esperienze, emozioni e, in generale, il nostro modo di vedere le cose.
Per questo motivo il cinema offre opportunità uniche di metafora per diversi motivi: ai fini dell’apprendimento in generale, perché diventa esso stesso strumento di “reframing”, che facilita la comprensione della differenza di prospettiva; riguardo invece l’apprendimento specifico sulle tecniche di negoziazione e mediazione, perché in realtà riguarda anche tutti gli argomenti che potremo definire “trasversali” come comunicazione, relazioni interpersonali, “cultura negoziale”, gestione costruttiva delle controversie, ecc. E questi sono aspetti molto apprezzati in aula sia da parte dei c.d. “cinefili” (gli appassionati di cinema) sia da quelli che magari vedono pochi film.
In breve, la possibilità di aprire o chiudere le attività di aula con scene di film, o anche soltanto di integrare alcuni contenuti presentati dal formatore, offre spunti, scenari, occasioni di riflessione, tutti diversi, ogni volta, perché diverso è il gruppo in formazione.

Sei conosciuto anche come conduttore radiofonico (sulla webradio Radio Godot). Quali frutti stai raccogliendo da questa esperienza?

Da un paio di anni, parlo di mediazione anche in radio e questa esperienza ormai fa parte integrante della mia vita, professionale e prima ancora personale. Perché la musica in realtà è diventata l’occasione per parlare dei miei argomenti preferiti, mediazione ed apprendimento, soprattutto. La trasmissione in questione si intitola Così parlò Cerathustra e va in onda su Radio Godot (www.radiogodot.it) ogni lunedì sera, dalle 21 alle 23. Anzi, ne approfitto per ricordare che lo scorso 30 marzo ho ospitato in trasmissione Nicola Giudice della Camera Arbitrale di Milano. Una puntata molto bella e particolare, direi “a cuore aperto”, sulla mediazione.
Ho iniziato perché la radio, per me, era e resta soprattutto un divertimento. Da questo punto di vista per me non esiste il “lavoro”; esiste invece il concetto del “divertirsi” facendo qualcosa che poi, in qualche modo, ti produce anche un reddito. Questo vale nella formazione, nella mediazione, valeva a proposito della musica ed ora vale anche per la radio. Dico questo perché non rinuncerei mai al mio programma perché mi fa stare bene, mi fa sentire vivo ed anche perché mi permette (una settimana dopo l’altra) il confronto con tanti ospiti. In breve, tanti punti di vista, tante prospettive diverse, tante opportunità di apprendimento, per chi ascolta, ma anche, se non soprattutto, per me stesso.
Quindi, radio come divertimento ed apprendimento, ma anche occasione di confronto, di approfondimento della differenza di prospettiva. In fondo, è quello che accade anche a proposito della mia passione per il cinema… Questo resta per me il motivo di maggiore soddisfazione e gratificazione. Anche perché se dovessi valutare ciò che faccio esclusivamente in termini “economici” probabilmente perderei la “passione” (anzi, direi che talvolta il gioco non vale proprio la candela!). Passione che invece rappresenta il “motore” della mia anima, come ex-musicista, come formatore e come mediatore, ma soprattutto come persona. E questo è quello che intendo continuare a fare, almeno finché c’è qualcuno che mi offre un microfono, si intende…

Quale futuro ha la mediazione in Italia, secondo te?

Se penso agli inizi, certamente da quel “lontano” 1994 un po’ di acqua è passata sotto i ponti; sono sicuramente successe un po’ di cose e mi sento di dire che, in assoluto, la mediazione vive un momento positivo, soprattutto se pensiamo a quella che era la situazione venti anni fa. Sono stati fatti passi importanti, c’è un decreto che all’epoca sembrava un miraggio, si parla sempre di più di mediazione, ecc.
Detto questo, tuttavia, dobbiamo porci delle domande rispetto al percorso che la mediazione (soprattutto quella in ambito civile e commerciale) ha fatto a partire dal decreto 28 del 2010. Perché in questo caso resta forte la mia impressione che la mediazione vada verso una direzione che resta sempre molto “para-giuridica” (per la verità, più giuridica che “para”…). Per carità, siamo in Italia, paese “particolare” (sotto molti aspetti, compreso questo), la normativa è quello che è e sono stati diversi gli sviluppi che hanno portato alla situazione che abbiamo sotto gli occhi.
Tuttavia, ritengo che la mediazione “vera” resti qualcosa di profondamente diverso da “questo”; lo diciamo ai corsi, in fondo, e lo diciamo forte e chiaro. “La mediazione non si caratterizza per quello che non è rispetto al giudizio, piuttosto che all’arbitrato. La mediazione si caratterizza per quello che è di specifico”. Ed a me sembra che quello che era, secondo me, un limite iniziale forte, ossia presentare la mediazione soprattutto come deflazione del contenzioso, dopo ormai 5 anni dalla pubblicazione del 28 non stia facendo bene al “sistema-mediazione” nel suo complesso. Perché, se è vero che la deflazione del contenzioso rappresenta un beneficio (ci sono anche i numeri che lo dimostrano e diversi autori hanno anche fatto una precisa valutazione economica su questo), lo è altrettanto che sarebbe opportuno puntare l’attenzione ANCHE su altri aspetti, fino ad ora tenuti invece in disparte, come il contenimento dei tempi, dei costi, la possibilità di migliorare la relazione interpersonale (o almeno non peggiorarla) e il fatto di mantenere al minimo i “costi personali” (che hanno criteri di valutazione totalmente diversi da quelli economici; pensiamo ad es. a quanto ci fa stare male vivere un conflitto con qualcuno). Non è mai troppo tardi per farlo, così come sarebbe opportuno lavorare (finalmente!) sugli incentivi economici, di cui si parla tanto, ma sui quali troppo poco è stato fatto fino ad ora. Per quanto importante, l’aspetto deflattivo, senza questi, non ha l’efficacia che invece potrebbe avere.
La mediazione offre, quindi, straordinarie opportunità, a prescindere dal 28, la Corte Costituzionale, il TAR e chi più ne ha più ne metta. Ed è per questo che rappresenta l’occasione per gestire in ambito personale, professionale, lavorativo, familiare, sociale, penale, scolastico, ecc., l’elemento che può fare DAVVERO la differenza. Questo per due motivi diversi. Innanzitutto, perché è utile creare relazioni efficaci con gli altri. E questo è un argomento che dovrebbe riguardare un po’ tutti, almeno così credo. Infatti, parlarsi, dialogare, cercare di comprendersi se non mette al riparo da “questioni” con gli altri, almeno può portare a prevenirle ed a farci stare meglio. E se noi stiamo meglio insieme agli altri, semplicemente stiamo meglio anche con noi stessi. E se stiamo meglio con noi stessi, perché viviamo una situazione se non proprio di armonia, almeno di dialogo e di tentativo di comprensione, finisce per farci stare meglio anche con gli altri. E’ un effetto virtuoso che si riverbera nei due sensi, che crea “risonanza”, da noi verso gli altri e dagli altri verso di noi.
Allora, se noi saremo capaci di cogliere tale opportunità, e se gli sviluppi saranno in linea con questa prospettiva “umanista”, allora tutto questo sarà più semplice, altrimenti è indubbio che i rischi che abbia la meglio chi dice “l’abbiamo sempre fatto”, “non servono strumenti nuovi”, “se fosse stato così facile, lo avremmo già fatto”, “è solo un costo in più”, ecc. saranno più alti. La mediazione non può essere circoscritta al solo “tecnicismo” (per quanto molto importante), ma deve essere allargata alla conoscenza del “metodo” (inteso come capacità di costruire relazioni, facilitare la collaborazione ed il dialogo, creare armonia). Ciò significa intervenire a “livello sistemico”, sia nel campo educativo che formativo. Per es., attraverso percorsi formativi specifici sulla gestione della controversie a livello universitario (attenzione, non solo a Scienze Giuridiche, come molti dicono, ma in tutte le facoltà, perché le capacità relazionali sono “traversali” e focalizzate sullo sviluppo della persona e non limitate solo ad una o più categorie professionali), scolastico, attraverso laboratori sulla mediazione ed a tutti i livelli. Dopo l’alfabetizzazione informatica e la famosa patente europea per il computer, perché non pensare ad una “patente italiana (o europea) per le relazioni efficaci”?

Come esperto di musica, cinema e formazione consiglia ai lettori di blogconciliazione un libro, un film e una canzone che, secondo te, meglio rappresentano la mediazione?

Ritengo che scegliere un libro, un film o una canzone sulla mediazione sia un’impresa “titanica”; per questo, se siete d’accordo, preferirei ragionare secondo una prospettiva più ampia e dare più indicazioni, non solo su un argomento specifico, ma su uno o più argomenti collegati alla mediazione. Come del resto ho fatto nel libro, nel quale ho suddiviso scene e film per macro-temi (comunicazione, conflitto, cultura negoziale, negoziazione e mediazione).

LIBRI

• COMUNICAZIONE: M.B. Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri).
• CONFLITTO: P. Patfoort, Difendersi senza aggredire.
• PROBLEM SOLVING: E. De Bono, I sei capelli per pensare.
• NEGOZIAZIONE: D. Lax – J. Sebenius, Saper negoziare.
• MEDIAZIONE: J. Morineau, Lo spirito della mediazione.

FILM
• COMUNICAZIONE: Ti odio, ti lascio, ti…, regia: Peyton Reed.
• CONFLITTO: La matassa, regia: Giambattista Avellino, Salvatore Ficarra e Valentino Picone.
• CULTURA NEGOZIALE: A beautiful mind, regia: Ron Howard. In particolare, la scena del bar, nella quale John Nash ha l’”illuminazione” sulle c.d. “dinamiche dominanti”.
• NEGOZIAZIONE: Thirteen days, regia: Roger Donaldson.
• MEDIAZIONE: Due single a nozze, regia: David Dobkin. SIn particolare, la scena iniziale, nella quale i due protagonisti agiscono come co-mediatori in una disputa familiare.

CANZONI
• COMUNICAZIONE: Come talk to me (Peter Gabriel)
• CONFLITTO: Both sides of the story (Phil Collins)
• NEGOZIAZIONE: Il baratto (Renato Zero)
• MEDIAZIONE: Mediate (Inxs) e due canzoni di Marco Mengoni, L’essenziale e Esseri umani.