Intervista a Marco Marinaro

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Nel raccogliere le opinioni e i commenti di mediatori ed esperti, Blogconciliazione ha sempre ottenuto spunti interessanti e contributi di notevole spessore. Marco Marinaro, docente universitario, esperto di mediazione e firma del Sole24Ore, non solo conferma questa regola ma ci offre un’analisi a tutto tondo del presente e del futuro della mediazione che dovrebbe essere letto con attenzione tanto dai sostenitori della mediazione quanto da chi la avversa con convinzione.

1) Come giudica l’attuale panorama normativo italiano in tema di mediazione?
Sin dalla pubblicazione del decreto legislativo n. 28/2010 mi sono espresso criticamente, ma sempre in una prospettiva utile e costruttiva considerato che si tratta comunque di una normativa vigente e, quindi, da applicare. La disciplina italiana attuativa della Direttiva europea n. 52/2008 per la mediazione delle controversie civili e commerciali pur non rispondendo adeguatamente alle attese di coloro che ritengono che la mediazione non debba essere eccessivamente irrigidita entro schermi normativi pervasivi, costituisce sicuramente un utile strumento per un’ampia diffusione ed in tale ottica ho sempre tentato di proporne una interpretazione che potesse agevolarne la comprensione, la semplificazione, il radicamento culturale.
C’è poi da rilevare come l’originario quadro normativo – sia primario sia secondario – abbia subìto in questi anni una serie di modifiche, integrazioni, interpretazioni ministeriali che hanno segnato decisi cambiamenti di rotta rispetto all’impostazione inizialmente prescelta. Mi riferisco ovviamente alla profonda revisione del regolamento ministeriale adottata con il D.M. 145/2011 e, chiaramente, alla riforma del 2013 (D.L. 69/2013 convertito in L. 98/2013) che ha fatto seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 272/2012.
Un cantiere normativo ancora aperto – come testimonia la recente modifica del regolamento ministeriale di cui al D.M. 139/2014) – che crea non poca incertezza e confusione tra gli operatori, complicando oltremodo una procedura che dovrebbe caratterizzarsi per la sua informalità ed elasticità. Le resistenze poi che permangono in taluni àmbiti e le ancora incerte interpretazioni giurisprudenziali e ministeriali completano un panorama che, purtroppo, non concorre utilmente alla piena e corretta diffusione di questo modo “altro” di comporre le controversie.

2) Secondo lei ci sono dei correttivi alla norma che si potrebbero porre in essere per rendere lo strumento più efficace?
Le modifiche potrebbero essere numerose, ma non oso sperare che ne siano apportate in quanto spesso – anche nel tentativo di migliorare la normativa vigente – si rischia di incidere negativamente su equilibri e buone prassi che progressivamente si creano nella fase applicativa. Intendo dire che, a fronte di modifiche che possono ulteriormente irrigidire la mediazione, forse è auspicabile un ulteriore periodo di osservazione.
In ogni caso, in relazione alla normativa primaria (e solo per dare qualche indicazione), dovrebbe essere rivisto il c.d. primo incontro ed il connesso sistema dei compensi con una possibile graduazione degli stessi anche in relazione alla effettività dello svolgimento della mediazione, dovrebbero essere rafforzati gli incentivi collegandoli anche alla fase contrattuale (per l’inserimento di clausole di mediazione e/o multi-step) considerato che le liti di fonte contrattuale sicuramente si prestano ad una mediazione preventiva.
Quanto alla normativa secondaria la formazione dei mediatori andrebbe rivisitata radicalmente anche per quanto attiene all’aggiornamento (non è pensabile che il tirocinio possa costituire un obbligo permanente) e non soltanto quanto al percorso di formazione, ma anche in relazione ai requisiti e alla qualificazione professionale dei formatori e del ruolo del responsabile scientifico degli enti di formazione. Anche per gli organismi di mediazione occorrerebbe una approfondita rimeditazione dei requisiti a partire da quelli che dovrebbero essere posseduti dal responsabile dell’organismo che svolge un ruolo chiave pur senza che allo stesso sia richiesta alcuna qualificazione professionale o formazione specifica.
Una importante occasione di revisione della normativa vigente è offerta nei prossimi mesi dall’esigenza di adeguare i sistemi di ADR e, quindi, anche la mediazione, nei rapporti con i consumatori al fine di dare attuazione alla Direttiva n. 11/2013 (“ADR per i consumatori”) il cui termine scade il 9 luglio 2015. Tuttavia, i segnali che pervengono al riguardo non sono rassicuranti in quanto non vi è grande attenzione per tale passaggio legislativo che appare invece assolutamente cruciale per lo sviluppo della mediazione e più in generale dei procedimenti di ADR.

3) Una parte della classe forense appare ancora fortemente contraria all’istituto della mediazione. Cosa si può fare per superare la diffidenza?
Il decreto legislativo n. 28/2010, che si ricorderà è stato approvato dal Governo Berlusconi ed è stato fortemente voluto dal Ministro della Giustizia on. Alfano, nasce con il peccato originale della mancata concertazione con l’avvocatura. Questo vizio d’origine ha determinato sin dalla fine del 2009 (infatti nell’ottobre 2009 dopo la prima approvazione del Consiglio dei Ministri circolò il primo testo del decreto che poi fu approvato definitivamente il 4 marzo 2010) un aperto contrasto che sconta anche una resistenza determinata da una scelta che si è vista come attuata in un’ottica di antagonismo preconcetto all’avvocatura.
La costante contrapposizione attuata per via mediatica che si è sviluppata da una parte dell’avvocatura in questi anni ha creato un clima di diffidenza tra gli operatori della giustizia e, quindi, non solo tra gli avvocati, ma anche tra i magistrati, creando una frattura che ancora oggi, dopo la riforma del 2013, non può dirsi sanata. Infatti, anche molte scelte assolutamente opinabili – qual è ad esempio quella dell’avvocato mediatore di diritto con una formazione ad hoc del tutto sganciata dalle regole di cui al D.M. 180/2010 – non sono state sufficienti a ristabilire un sano rapporto sul tema della mediazione vista quale concorrente della professione forense.
Il problema è fondamentalmente culturale ed attinge alla crisi della professione dell’avvocato che si dibatte tra nobili radici e problematiche derivanti dalla massificazione e dalla imprenditorializzazione di stampo europeo dei servizi legali. Un insanabile contrasto che lacera dall’interno la classe forense e del quale la mediazione costituisce soltanto l’occasione per l’emersione di un mancato adeguamento dei percorsi per la formazione universitaria di base e specialistica.
Un profondo rinnovamento culturale pervade la cultura giuridica ed il mondo delle professioni che da essa traggono linfa, ma le università sono ancora ferme su piani di studio per lo più obsoleti che non consentono di formare adeguatamente i nuovi professionisti del diritto.
Peraltro, sino a quando la mediazione non avrà autonomia scientifico-disciplinare nel sistema universitario sarà destinata ad un ruolo volta a volta ancillare rispetto alle materie ed ai programmi nei quali viene inserita.

4) Il legislatore italiano sembra aprirsi all’ADR soprattutto per creare una via di fuga da un processo civile inefficiente. Come giudica questo approccio?
È una scelta necessitata. La crisi profonda del sistema giustizia impone nuove scelte e gli ADR costituiscono in fondo un modo semplice (magari a costo zero) per poter dare risposte all’opinione pubblica e alle istituzioni europee che più volte hanno sollecitato l’adozione di soluzioni.
Tuttavia, la prospettiva deflattiva non soltanto rischia di mortificare la mediazione e tutti i sistemi di ADR, ma trasmette un messaggio distorto. La mediazione in tal senso diviene l’alternativa al processo civile inefficiente. Non è così e non deve essere così. Mediazione e processo sono percorsi complementari e sono in grado di essere reciprocamente efficienti. L’abuso del processo è conseguenza della sua inefficienza. L’abuso della mediazione è conseguenza di un processo inefficiente.
Ricorrere ad un utilizzo massivo della mediazione in un’epoca di crisi del processo costituisce da un lato una occasione per la mediazione, dall’altro il rischio del suo completo asservimento al processo in una logica avversariale e processualizzata che conserva della mediazione soltanto la denominazione.
Incastrare la mediazione nel processo significa inevitabilmente irrigidirne taluni schemi, ma l’esasperazione di tale prospettiva non consente di radicare la cultura della mediazione in quanto la stessa viene confinata ad ambiti ed aspetti assolutamente marginali.
L’equilibrio tra mediazione e processo costituisce il fine prioritario additato dalla Direttiva europea n. 52/2008 in quanto anche la fuga dal processo e gli strumenti processuali per attuare quello che è stato acutamente definito il “respingimento” del contenzioso, costituiscono approcci fuorvianti e pericolosi.
La mediazione (intesa quale ricerca di un accordo per la composizione degli interessi delle parti in conflitto) non può e non deve insegnare la fuga dal processo (inteso quale modo rituale per ottenere la tutela di un diritto): ma se il processo diviene lo strumento ed anche il fine, e la mediazione viene schiacciata su un processo inefficiente e che mira soltanto al respingimento, significa che né mediazione né processo, ciascuno con le sue diverse funzioni e prospettive, sono in grado di dare risposte corrette a coloro i quali chiedono di poter risolvere le loro controversie.