Una chiacchierata tra mediatori

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Cos’è la mediazione? Una domanda capitale cui non è facile dare una risposta completa ed esaustiva. Orsola Arianna e Corrado Mora, mediatori già noti ai lettori di Blogconciliazione, hanno pensato di ragionare intorno a questo tema, scambiandosi una fitta corrispondenza. Il risultato è stato così interessante da meritare di trasferirlo sulle nostre pagine.
Orsola Arianna: Cos’è per te Corrado la mediazione??
Corrado Mora: Tante cose. Perché tante cose compongono un conflitto. Tante cose si aspettano le parti coinvolte da un incontro che le ponga, insieme, al tavolo. Tante cose fa il mediatore. Se devo cercare di trovare una “scatola” che possa contenerne il più possibile, per tentare così di definire la mediazione, direi: è uno spazio di opportunità. Tu cosa ne pensi?
OA: Sul fatto che sia una opportunità e un vantaggio per le parti sono assolutamente d’accordo. La cosa veramente difficile è farglielo capire. Ed altrettanto difficile mi pare sia far capire il suo valore sociale di contenimento oltre che gestione del conflitto.
CM: Sono d’accordo. Forse, un primo passo sta nello smantellare il “generale” valore sociale in un insieme di tanti, più specifici e relativi valori. I singoli valori dei singoli conflitti: che valore può avere la mediazione per le parti in un determinato conflitto? E, quindi, quali possono per loro essere le opportunità date dalla mediazione?
OA: L’opportunità di gestire un conflitto “dentro casa”. Potersi dire qualsiasi cosa nella massima riservatezza, approfittando delle competenze del mediatore anche come “cuscino”, oltre che moderatore. Non aver paura di essere giudicati. La possibilità di trovare soluzioni che siano rispondenti al proprio modo di sentire e frutto della propria volontà. Non delegare a terzi la gestione del problema che ti affligge e soprattutto poter aver voce in capitolo sulla soluzione. Siamo sicuri che una soluzione di Diritto sia più giusta della miglior soluzione per me?
CM: …l’opportunità di includere nella conversazione -finalizzata alla ricerca di una possibile soluzione- ogni aspetto che si considera importante. Di poterlo far pesare, nella spiegazione di ciò che può essere accaduto, nel confezionamento di idee per poter cercare di far sì che il problema non si ripeta. O che, comunque, esso trovi una gestione o una soluzione.
OA: Esatto, che il problema non si ripeta. Riuscire a spostare il conflitto dalle persone al problema da risolvere. Riuscire a capire che c’è un modo diverso di rapportarsi con le altre persone. Siamo ormai abituati ad improntare i nostri rapporti con gli altri su quelli che crediamo essere i nostri diritti. Quindi a cercare di far valere questi diritti a tutti i costi. Ma qual è il limite, il confine dei miei diritti se non i diritti dell’altro?
CM: Un problema che spesso ho notato nel cercare di spiegare “che cos’è la mediazione” è questo: se non hai mai avuto contatti “seri” con la mediazione (cioè, se non sei mai stato parte, o l’hai fatto in una situazione di scarsa qualità), non riesci a comprendere ciò che invece ti sembra un ammasso di “parole vuote”, peraltro naïf. Vedi il conflitto (tuo, o del tuo cliente) come qualcosa di dato, incancrenito, impossibile da risolvere se non con una sentenza, e parole come quelle che abbiamo appena scritto sembrano irrealizzabili, perlomeno nel caso specifico.
OA: Sono un’idealista o un’ingenua oppure entrambe. La mia formazione sociologica ogni tanto riemerge. Abbiamo sentito la necessità di porci regole per la convivenza sociale, regole che originariamente erano condivise e non erano molte, ma bastanti a garantire il vivere in comunità. Con il tempo le regole sono aumentate sempre di più, quasi a significare che senza di quelle non siamo più capaci di convivere civilmente. Ora è quasi come se le regole vivessero di vita propria. Normiamo qualsiasi aspetto della vita, anche quella più privata. Cosa è lasciato alla discrezionalità e alla volontà e al buon senso del singolo? Per riuscire a convivere, abbiamo veramente bisogno di regolare e normare ogni aspetto della nostra vita? Non è che questo eccesso di norme sia ormai condizionante e addirittura limitativo della nostra libertà? Quanto meno della libertà di scelta. Forse dovremmo ragionare su cosa intendere per Giustizia. Capito questo capiremmo anche il valore della Giustizia Alternativa.
CM: E’ molto interessante. In questo, la mediazione si può leggere come uno strumento per la composizione di “regole specifiche”, sartoriali, tagliate perfettamente sulle individualità e le esigenze dei soggetti coinvolti (fratelli, soci, imprenditori, medici, pazienti, vicini di casa, non c’è differenza): semplicemente perché, nella mediazione, i soggetti coinvolti possono offrirsi proprio la chance di stabilire o riscrivere le regole del loro rapporto. Regole che, quindi, diventano per loro ben più tangibili, di cui è più immediatamente percepibile il fondamento.
OA: Esatto! Non solo riscrivere ma anche riscoprire. Due coniugi, due soci, un professionista e il proprio cliente, un medico e il paziente hanno fondato il loro rapporto sulla fiducia, la conoscenza e la vicinanza, e la necessità…qualcosa ad un certo punto si è interrotto. E’ possibile ricucirlo, ritrovare il fondamento di quei rapporti?
CM: …oppure, giungere ad una “separazione consensuale” il più possibile indolore, in cui le conseguenze potenzialmente traumatiche del “distacco” si compongano e gestiscano, per non sbocciare in una disputa? La risposta, direi proprio, è affermativa. La mediazione si propone come un luogo deputato a che ciò possa essere vagliato, negoziato e specificato, condiviso, accordato.
OA: Una sentenza, per quanto basata su sacrosanti e condivisi principi di diritto, stabilirà ragioni  e torti esacerbando ancora di più i rapporti tra le parti. Il confronto, il dialogo e la ricerca di una soluzione condivisa, magari non risolveranno in toto un rapporto ma di certo non lo faranno naufragare del tutto. Penso a qualsiasi rapporto di vicinanza, anche a quello tra condomini, che dovrebbero essere uniti dalla condivisione del bene primario della casa. Quindi dovrebbero agire in funzione di quel bene comune.
CM: O, più cinicamente, sono costretti a sopportare la reciproca prossimità.
OA: Certo! Ma sempre di comunione si parla. Anzi, a maggior ragione. Non amo il mio vicino ma faccio in modo che la convivenza sia più indolore possibile. Pensa quanto può essere indolore la convivenza con il vicino di casa che ho denunciato e citato per rumori molesti, dopo che avrà avuto una condanna…
CM: Constato sempre un dato intrigante. Cercando di spiegare “cos’è la mediazione”, il discorso si biforca spesso, giungendo da una parte a compiere considerazioni generali, legate ad un modo possibile, e possibilmente più soddisfacente, di gestire un conflitto. Dall’altra, a sbriciolare il tentativo di risposta per far calzare il “cos’è la mediazione” a tante delle infinite possibilità di concretizzazione pratica: i casi pratici di controversia che passano dal tavolo del mediatore.
OA: Vero! E’ difficile  parlare di mediazione senza riferirsi a cosa è per me la mediazione, senza farmi condizionare dai casi di mediazione seguiti. Il poter osservare un conflitto dall’esterno, come spettatrice, permette di cogliere tutti quegli elementi che alle parti, direttamente ed emotivamente coinvolte, sfuggono. L’avere una impostazione più olistica e non strettamente giuridica, permette di avere una visione più ampia del conflitto e di individuare soluzioni differenti. La cosa che trovo più difficile è cercare di aprire canali di comunicazione tra le parti senza offrire soluzioni. Alle volte mi rendo conto che le parti hanno moltissime possibilità di giungete ad una soluzione condivisa e soddisfacente ma non riescono a vederla e non se ne rendono conto. Questo “primo incontro di mediazione”, poi, per me è drammatico! Se prima eri già in mediazione e potevi iniziare ad entrare con le parti nel merito, ora se lo fai rischi di sembrare quello che vuole a tutti i costi portare le parti in mediazione, soprattutto quando cerchi di far capire alle parti che la mediazione potrebbe essere, per il loro caso specifico, la via migliore per tentare di trovare una soluzione. Non so se capisci cosa voglio dire, sono stata un po’ involuta…
CM: Comprensibile tu, e comprensibile il problema…che è peraltro affascinante, anche perché ripropone sotto un’altra luce il nostro “cos’è la mediazione?”: il primo incontro di mediazione serve propriamente (anche) a ciò, a cercare di spiegarlo alle parti ed ai loro assistenti. E’ effettivamente drammatico: siamo sfacciatamente posti innanzi alla limitatezza delle parole, alla difficoltà dello spiegare efficacemente istituto, ruoli e procedura, alla quasi impossibilità di esprimere tutte le opportunità della mediazione. Insomma, che si cerchi di spiegare “che cos’è la mediazione” durante una conferenza, una conversazione tra colleghi o conoscenti, un “primo incontro di mediazione”, il grande limite, per me, è questo: la descrizione di qualcosa di estremamente complesso, per le pratiche coinvolte e per la situazione di conflitto a cui esse mirano, come è la mediazione, non riuscirà mai a far propriamente risaltare cosa veramente si muova in una mediazione e si possa ottenere da essa.
OA: Si, infatti è impossibile. Non esiste una mediazione uguale ad un’altra per il semplice fatto che non esiste una persona uguale ad un’altra e quindi un rapporto e un conflitto che possano essere standardizzati. Quindi non esiste un solo modo di descrivere la mediazione. Ovvero non esiste una sola mediazione!
CM: Vero, verissimo. In sostanza, la mediazione la si può facilmente vedere e comprendere “in action”, quando accade, quando ci si sviluppa davanti: è trasparentissima, è comprensibilissima per parti ed assistenti e, se la mediazione è di qualità, appaiono chiaramente infondati gli eventuali timori che spesso la circondano, si toccano con mano invece le sue opportunità. “Cos’è la mediazione?” ha una risposta lampante quando si traduce in “Cos’è QUESTA mediazione”, e lo si fa vedere in pratica, fuori dalla sola descrizione verbale.
OA: Mi spieghi meglio? Vuoi dire che le parti comprendono la mediazione solo quando partecipano e vivono la “loro” mediazione. Ovvero che puoi capirla solo quando partecipi?
CM: Per molti versi, credo di sì. Provo a spiegarmi con ordine e a contrario. Cercare di spiegare “cos’è la mediazione” in generale porta verso due possibili risposte: una, la classica definizione che potrebbe entrare in ogni manuale (“La mediazione è una procedura in cui una parte terza, neutrale, indipendente ed imparziale -il mediatore- assiste le parti creando con loro una procedura riservata, informale e flessibile, volta al comfort di partecipanti che siano anche emotivamente coinvolti nel conflitto ed alla gestione efficace e protetta degli scambi comunicativi e delle ipotesi e proposte negoziali. Il mediatore interviene facilitando ed assistendo la comunicazione e la negoziazione delle parti, al fine di permettere loro di elaborare -se lo vogliono- possibili opzioni negoziali, con il contenuto che le parti decidono liberamente, e che, se incorporate in un accordo, consentano loro di risolvere la controversia in modo per esse soddisfacente. Un modo che certamente può comportare sacrifici o concessioni, ma risulti comunque più soddisfacente di qualsiasi altra possibile soluzione”).
OA: E siamo d’accordo! Peraltro bella e sintetica definizione.
CM: L’altra risposta possibile alla domanda “cos’è la mediazione” è quella in cui ci siamo infossati prima anche noi: una risposta la cui ottica generale, tendenzialmente, è legata a considerazioni sull’approccio al conflitto, sulla gestione delle relazioni quando le loro regole non funzionano più e sulla possibile nascita di opportunità da una crisi. Risposta che tende a “meticciarsi” (è accaduto a noi come accade spesso a chi ci prova!) con il riferimento ai più svariati casi concreti affrontati in mediazione. Entrambe le strade hanno dei limiti. La prima, quella della definizione, è tecnica. Ci fa strappare un applauso alla conferenza, ci fa apparire preparati dinnanzi a colleghi e conoscenti, ci permette di descrivere clinicamente ciò che offriamo durante il “primo incontro di mediazione”. Ma cosa spiega veramente di tutto ciò che poi accade in mediazione? Cosa dice della tensione sui volti dei partecipanti quando si siedono al tavolo, delle scintille e degli sputi di veleno che scattano quando il “nemico diabolico”, seduto di fronte, racconta una storia completamente diversa da quella che invece abbiamo vissuto noi? Cosa dice dei testa a testa tra le parti, che pretendono “la luna” e son disposti -al limite- a concedere un sasso (magari tirato in testa…)? Come spiega quel movimento che accade, ad un certo punto, quando agli interventi del mediatore segue l’individuazione di differenti, più ampi, più profondi o più pragmatici spazi di chiarimento o di trattativa? Come spiega ciò che si prova quando si riesce ad arrivare alla sensazione che i nostri tormenti, le nostre ragioni e le nostre frustrazioni siano finalmente state ascoltate e riconosciute da chi ci siede davanti? E come può rendere il senso di controllo sul proprio conflitto che le parti possono riuscire ad ottenere quando chiariscono le loro aspettative, i loro bisogni e le loro necessità, e tengono tutto questo saldamente in mano, timonieri verso un accordo che non sia semplicemente “salomonico”? La strada della definizione tecnica ha dei limiti, come l’altra. Che porta spesso a grandi cenni di consenso da parte degli “addetti ai lavori”, di chi già sa “cos’è la mediazione”. Che scatena lo scambio di esperienze, quando si arriva fatalmente a parlare di esse. Ma che, in chi veramente si domanda “cos’è la mediazione?” perché ancora non lo sa veramente, porta alla sensazione di naïveté, di ridicolo oppure di affascinante, ma con l’impressione che tutto sia inapplicabile nel caso concreto, “perché il problema è serio, qui, non c’è possibile soluzione concordata, ma solo imposta, e queste belle parole sono irrealizzabili”. Insomma: se le strade definitorie generali hanno questi limiti, forse è perché si parte dal punto sbagliato. Perché, è vero, ogni mediazione ha le stesse caratteristiche generali, i ruoli sono i medesimi, sempre. La procedura “visibile” di mediazione ha sempre le stesse, possibili scansioni. Ma, in realtà e come dicevi tu, ogni mediazione è differente. Quindi, effettivamente, forse è più facile, nel caso concreto, cercare di spiegare “cos’è QUESTA mediazione”…cosa ne pensi?
OA: La definizione tecnica rischia di sembrare favolistica: teoricamente e sulla carta la mediazione presentata così è una “Via Fantastica”. Anche troppo. La definizione frutto della nostra conoscenza della mediazione, può apparire addirittura delirante. Il mediatore appare come un pazzo invasato!! Cosa penso? Che tutto quanto abbiamo scritto corrisponde alla conoscenza e idea che noi abbiamo della mediazione. Perché abbiamo la fortuna di praticarla e studiarla in modo “Sano”. Perché abbiamo una visione “Sana” del conflitto, che non porta necessariamente ad una rottura ma ad una ridefinizione dei rapporti. Perché non ci fermiamo a quello che è giusto di Diritto ma a quello che è meglio per le persone. Perché quando le stesse raggiungono un accordo che le solleva da un problema e si sentono rasserenate, io mi sento meglio perché capisco che quella soluzione è effettivamente la migliore per loro.
CM: E come fare per trasmettere questa idea (che poi è il ritorno al motivo della nostra intervista…e la ragione per cui, quando ci fu proposta, ci causò un mancamento…)?
OA: Cercando di lavorare sempre con coscienza e senza farsi demoralizzare dall’avversione che la mediazione ancora suscita in molti. Porre tanti piccoli semi perché da qualcuno prima o poi germogli una pianta. Come sono bucolica…
CM: Condivido integralmente. Siamo tutti dei piccoli, formidabili motori nella spinta in avanti della cosiddetta “cultura della mediazione”. E la benzina non può che essere il lavorare sempre al meglio. Per far vedere al meglio che cos’è la mediazione (una mediazione di qualità) partendo da questa, questa e quest’altra mediazione (di qualità, repetita iuvant, soprattutto su questo argomento…)!

(Gli Autori si rammaricano di non poter condividere con i lettori il nutrito e colorato universo di emoticons di cui la conversazione si è amabilmente arricchita).