L’arte della mediazione (4): Ancora sulle problematiche psicologiche

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*Raffaella Verga

Passiamo ora ad un excursus sulle problematiche psicologiche di coloro che si trovano all’interno di una situazione conflittuale: il conflitto ingenera nelle persone che lo vivono una confusione mentale; tale confusione è il segnale esterno di una tensione psicologica che si esprime anche a livello di tensione muscolare (irrigidimento dei muscoli facciali, delle spalle, etc.).
I conflitti, infatti, tendono a disgregare e creano nelle persone una tensione emotiva che di solito viene vissuta in termini drammatici; questa tensione porta molto spesso a stati di ansia, di stress (che può talvolta diventare anche cronico), senso di oppressione, di pena profonda, etc.
Analizziamo di seguito l’ansia ed il suo potere “distruttivo”, il senso di oppressione e quello di pena.
Accade frequentemente, nella vita di ogni giorno, di avvertire una tensione spiacevole derivante da un contrasto o da un disaccordo fra noi stessi e il nostro ambiente. A volte il contrasto che si svolge fra noi e altre persone che hanno per noi un significato importante come familiari, colleghi di lavoro, superiori; altre volte il contrasto lo avvertiamo dentro di noi tra desideri e tendenze opposte, oppure tra le nostre aspirazioni e le regole che ci sono imposte. In generale, una certa dose di contrasti fa parte della vita normale; la tensione che li accompagna rappresenta il segnale della loro presenza ed è la spinta per superarli e andare avanti. Ma se i problemi non vengono affrontati e quindi le tensioni, invece di essere chiarite, vengono soffocate, esse si accumulano e possono trasformarsi in disagio, malessere o vera e propria sofferenza. Si usa il termine conflitto quando il contrasto con se stessi (conflitto interno) o con gli altri (conflitto esterno) si prolunga nel tempo tanto da diventare un elemento importante o prevalente nella vita delle persone coinvolte.
I conflitti “non chiariti” non scompaiono mai in modo spontaneo; possono essere avvertiti più o meno chiaramente, e la persona può anche raggiungere un certo equilibrio e “nascondere” a se stessa e agli altri la tensione derivata dal conflitto. Alla lunga però, se il conflitto coinvolge profondamente la persona e non viene chiarito, è sempre causa di sofferenza e può dare origine a stati d’ansia.
L’autentica “salute” non significa vivere una vita spensierata e priva di conflitti non affrontati e non chiariti. E’ un errore pensare di raggiungere la “tranquillità a tutti i costi” illudendosi di evitare ogni contrasto e ogni tensione. Va detto che “chiarire” un conflitto non significa sempre poterlo risolvere. Il conflitto fa male e può diventare patogeno (che produce malattia) quando rimane oscuro e la tensione emotiva non trova vie di scarico utili. La visione di un ostacolo evidente e concreto di fronte a noi è sempre meglio dell’oscura sensazione di tensione o di scontento che non permette mai di arrivare a decisioni lucide e razionali.
Saper accettare i propri conflitti affrontandoli con chiarezza fa parte della maturità di una persona.
La “salute” comporta anche la capacità di confrontarsi o scontrarsi apertamente difendendo le proprie esigenze, ma rispettando anche quelle degli altri.
Quando certi conflitti non sono risolti in modo utile e diventano intollerabili, possono sfociare in situazioni acute di crisi.
Sia che abbia un carattere momentaneo, sia che riguardi più profondamente i rapporti tra le persone o il significato che una persona ha dato alla propria esistenza, la crisi in fondo non è altro che l’espressione di un problema che non può essere ignorato; essa costringe a prendere coscienza che una difficoltà c’è e va risolta.

Il corpo comunica tutto – tensione e rifiuto.

Le persone hanno la capacità di rispondere in modo automatico, innato e geneticamente codificato alle stimolazioni emotive
attraverso l’intero comportamento non verbale espresso dai quattro canali comunicativi:
•    la prossemica (gestione attuata con il proprio corpo degli spazi comunicativi),
•    la cinesica (gesti e movimenti di parti del corpo),
•    la paralinguistica (suoni vocali senza significato specifico logico)
•    la digitale (toccamenti delle mani e del corpo).

Per stimolazioni emotive s’intendono persone, argomenti, azioni, cose, pensieri, comportamenti che esercitano su di noi un effetto emozionale. Questo effetto può essere di piacere e gradimento, rifiuto e infine di tensione emotiva ancora non connotata, diciamo neutra.
L’insieme del comportamento non verbale (gesti, movimenti del corpo, toccamenti, suoni vocali etc.), prodotti come risposta a queste stimolazioni, indicano all’istante che tipo di emozione si è prodotta, scaricata e quindi comunicata attraverso di esso.
Tutto questo avviene inconsciamente, al di sotto della soglia della nostra consapevolezza. L’insieme del comportamento non verbale prodotto in reazione a persone, argomenti, azioni, cose, pensieri che esercitano su di noi un effetto emotivo rappresenta, infatti, la risposta corporea subliminale e quindi non ancora cosciente dell’emozione che diverrà consapevole se le stimolazioni perdureranno.
Analizziamo gli scarichi tensionali, cioè quei comportamenti non verbali che ci permettono di individuare quando il corpo scarica tensione in base alle stimolazioni prodotte da pensieri, persone, discorsi, situazioni etc.

Quali tecniche, strumenti e metodi utilizzare in mediazione?
Il mediatore ha a disposizione una “cassetta degli attrezzi” molto ricca di tecniche e strumenti utili per entrare in setting mediativo con un approccio comunicativo efficace.
La cosa principale che il mediatore deve saper fare è ascoltare; un ottimo comunicatore, e quindi anche un ottimo mediatore, infatti, non è colui che sa parlare, ma colui che sa ascoltare.
Dobbiamo trattenere il nostro naturale impulso a intervenire nelle discussioni, a “dire la nostra”, a dare consigli, etc.
Dobbiamo imparare a far tacere la nostra voce interiore (chiamata “dialogo interno”) e ad attivare al 100% le nostre orecchie, allenandoci all’ascolto VERO.
L’ascolto VERO deve essere: attivo, partecipativo, empatico; solo ed unicamente attraverso un ascolto autentico (non selettivo come quello che solitamente agiamo in un contesto relazionale) il mediatore può entrare veramente nel flusso di pensiero delle parti e cogliere le parole chiave.
Quali sono le parole chiave? Come le possiamo riconoscere?
Quando siamo veramente “sintonizzati” sulla persona che sta parlando e siamo nel suo flusso di pensiero, le parole chiave “saltano” fuori; per meglio spiegare ciò che si prova e si sente (a livello di udito e di percepito) utilizziamo una metafora: immaginiamoci il flusso di parole proprio come un’immagine mentale, vediamo pertanto le parole pronunciate che scorrono sopra la testa della persona che parla, le parole chiave sono quelle “scritte in grassetto” o “sottolineate” o scritte in rosso: per questo diciamo che “saltano” fuori, in evidenza.
Per utilizzare la definizione tratta dalla teoria della PNL (Programmazione Neuro Linguistica), le parole chiave sono quelle parole che la parte ripete più volte durante il discorso o che pronuncia con particolare enfasi donando a queste un accento caratteristico.
Non è automatico “sintonizzarsi” sulla persona che abbiamo di fronte in quanto tutti noi, senza un training comportamentale specifico, siamo più facilmente orientati verso il nostro ego che verso le necessità ed i bisogni dell’altro.
Essendo noi tendenzialmente egoisti abbiamo grandi difficoltà a uscire completamente da noi per focalizzarci su ciò che l’altra parte sta dicendo e arrivare così ad identificare i bisogni, gli interessi della parte.
Il nostro atteggiamento più orientato all’io che al tu non ci permette di ascoltare veramente, in modo autentico, attivo, partecipativo, empatico e di lasciarci andare nel flusso di pensiero della persona che abbiamo davanti.
Questo limite, che si supera solo grazie alla presa di consapevolezza ed all’allenamento comportamentale (che comporta una messa in gioco totale), non ci permette di cogliere con facilità le parole chiave che sono una vera ricchezza nell’ambito mediativo perché rappresentano gli agganci che ci permettono di formulare le domande giuste al momento giusto.
Prima di passare all’analisi delle domande giuste al momento giusto, affrontiamo e svisceriamo brevemente il discorso del lasciarsi andare nel flusso di pensiero della parte.

(4-continua)

*Mediatore civile e professore universitario in un master Adr presso l’università E-Campus occupandosi di insegnare la gestione psicologica del conflitto e le tecniche di negoziazione efficace.