In questo articolo approfondiremo le tematiche relative alla situazione psicologica e mentale in cui si trovano le persone che vivono un conflitto, ciò al fine di aiutare il mediatore a meglio comprendere e quindi approcciarsi alle dinamiche del setting.
Il mediatore viene vissuto dalle parti come figura di “Facilitatore”, un facilitatore che lavora prevalentemente sulla comunicazione fra le parti, riattivando il flusso comunicativo che si è bloccato a causa delle forti barriere psicologiche che le parti hanno alzato nella loro situazione conflittuale spesso alimentate dall’escalation del conflitto.
Una delle qualità basiche di un bravo mediatore, che possiamo chiamare “Facilitatore”, risiede nell’accogliere e gestire la negatività che le parti portano in setting.
Come mediatori ci troveremo sovente a dover gestire negatività, critiche, squalifiche, distruttività, malintesi, sfiducia, opposizione e conflitto perché le parti in “gioco” si trovano in una delicata situazione mentale che necessita un approfondimento.
Possiamo fare insieme un’interessante riflessione sul concetto di negatività.
Il negativo è sì pena e tensione, lutto e dolore, non possiamo negarlo e dobbiamo gestirlo. Dall’altra, però, non possiamo non vedere che, la negatività espressa da una persona, in una diade o in gruppo riesca a mobilitare nuove energie e vitalità; la negatività fa ritrovare identità, aumenta la motivazione, l’attenzione e la coscienza dei ruoli. Libera forza e il senso di oppressione non infrequente nelle organizzazioni, nella vita.
Non è facile invertire la rotta del nostro pensiero che percepisce il conflitto sempre come qualcosa di negativo, riuscendo, invece, a vederlo quale risorsa relazionale. La negatività che inevitabilmente intravvediamo in un conflitto ci condiziona.
Il conflitto, tuttavia, porta anche dei vantaggi (vedi E. Spaltro 1990 che definisce i vantaggi del conflitto) infatti aumenta le motivazioni; aumenta la mobilitazione dell’energia psichica; la coscienza del proprio ruolo e del proprio “potere” (dove per potere personale si intende il potenziale della persona in accezione positiva); l’identità da parte delle due o più componenti conflittuali; un’attenzione a tutti i tipi di conflitto intrapersonale compreso.
Le frasi negative che le parti utilizzano in setting, il loro provare sensazioni ed emozioni negative, alzano subito la tensione emotiva della triade; qui il Mediatore può entrare in crisi, sentirsi a disagio. In mancanza di una formazione particolare nell’affrontare queste frasi che squalificano il suo lavoro (a volte dirette a sé, altre volte rimbeccate tra le due parti), egli potrà sentirsi ansioso, ferito e fragile, con la “mente chiusa”, ovvero con un corpo carico emotivamente e, allo stesso momento, con una difficoltà a concentrarsi e procedere fluidamente.
Diventa necessario e basilare per il Mediatore saper stare nella negatività!
L’ambiente è teso, raggelato. Il Mediatore, o la persona che ha ricevuto l’attacco, si sente schiacciata, non avrebbe alcuna chance di trovare i mezzi per trasformare la situazione a meno che non sia preparato con una formazione specifica e adeguata.
Utilizziamo un approccio tipico della “Trasformazione dei conflitti”, vediamo alcuni principi per un approccio al cambiamento trasformativo.
Nei setting mediativi, nelle situazioni conflittuali problematiche o particolarmente problematiche, l’utilizzo e l’applicazione di un approccio “trasformativo” è sempre molto efficace e porta con sé risultati positivi considerevoli.
Cosa intendiamo per approccio trasformativo?
L’approccio trasformativo si basa su due elementi fondamentali: l’orientamento positivo al conflitto e la volontà di impegnarsi per produrre un cambiamento costruttivo.
Il conflitto spesso produce ferite che non si rimarginano facilmente, il segreto della trasformazione sta nella capacità di intendere il conflitto come un’occasione di cambiamento costruttivo e non come una minaccia.
Il conflitto è parte naturale delle relazioni. Talvolta le relazioni sono calme e prevedibili, mentre altre volte gli eventi e le circostanze generano tensioni ed instabilità. Il punto di vista trasformativo cerca di capire come questi particolari episodi siano radicati in un modello generale di relazioni umane.
Il conflitto può essere visto come un motore di cambiamento che mantiene le relazioni e le strutture sociali dinamiche e sensibili alle necessità umane.
Catalizzando l’energia sulle relazioni e la struttura sociale, si possono ottenere cambiamenti costruttivi.
Il primo compito, quindi, non è quello di trovare soluzioni ai problemi immediati, ma di rigenerare meccanismi che permettano allo stesso tempo di affrontare le questioni più immediate e di cambiare le strutture ed i modelli relazionali.
La trasformazione dei conflitti vede la pace come centrale per la qualità delle relazioni.
“Pace” intesa come un processo-struttura, una dimensione che è dinamica, adattabile ed elastica.
In poche parole, piuttosto che vedere la pace come un risultato finale “statico” la trasformazione dei conflitti la vede come la qualità delle relazioni che continuamente si evolve e si sviluppa.
Essa è determinata dallo sforzo di affrontare il sorgere di conflitti attraverso un approccio non violento che si occupa dei problemi e accresce la comprensione, l’equità, il rispetto reciproco.
La trasformazione dei conflitti può essere vista come un processo catalizzatore.
La trasformazione del contesto si riferisce ai cambiamenti nel contesto in cui il conflitto si sviluppa e che possono modificare radicalmente la percezione della situazione di ciascuna delle parti, così come le loro motivazioni.
La trasformazione degli attori si riferisce alla decisione di una parte degli attori di cambiare i propri obiettivi o modificare il proprio approccio generale al conflitto.
Sono compresi anche cambiamenti nella situazione dei sostenitori e dei supporter dei rispettivi “influenzatori” esterni (per esempio degli avvocati che accompagnano le parti in mediazione).
Questo apre una serie di prospettive riguardo ad un tipo particolare di lavoro di trasformazione del conflitto.
La trasformazione dei problemi concerne la riformulazione delle posizioni che le parti considerano centrali nel conflitto ma anche il modo in cui le parti cambiano le loro posizioni per raggiungere un compromesso o una soluzione.
L’utilizzo e l’applicazione di un approccio “trasformativo”, in setting mediativo, è sempre molto efficace e porta con sé risultati positivi considerevoli.
I conflitti non sono intrinsecamente irrisolvibili. Ci sono molti modi sia per le parti in conflitto che per le terze parti di prevenire, limitare, o trasformare il conflitto. Non esiste un approccio che vada bene per ogni situazione; certe politiche sono efficaci in alcune circostanze ma non in altre.
Gli sforzi per ridurre e trasformare un conflitto non sono sempre vincenti, anzi sono rischiosi e talvolta controproducenti. E anche se la cautela di fronte a questi rischi è altamente consigliabile, va detto che un approccio indeciso e timoroso potrebbe contribuire al fallimento dell’intervento.
Certamente, per attuare le strategie fin qui discusse, è necessario avere giudizio e capacità di progettare. Inoltre, una buona comprensione dei singoli casi, insieme a un’attenta mappatura di tutte le opzioni disponibili, aiuta a definire quali strategie ed azioni, e in quale misura, potrebbero essere le più efficaci.
(1- continua)
*Mediatore, Docente in materia di ADR