Valutare le alternative alla mediazione

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di Eugenio Vignali*

La recente introduzione nel procedimento di mediazione ex D.lgs 28/2010 di un incontro preliminare di orientamento fra il mediatore e le parti, al termine del quale queste devono decidere se impegnarsi in una negoziazione assistita dal professionista o abbandonare il tavolo per incontrarsi direttamente nei tribunali, ripropone con maggiore enfasi l’attività preliminare che è necessario compiere prima di scegliere quale via percorrere per cercare una soluzione alle controversie nelle materie civili.
Già in altre occasioni ho sottolineato come fosse proprio la mancata ponderazione della “A” di ADR (Alternative Dispute Resolution) uno dei fattori dello scarso successo dell’istituto della mediazione. Infatti, nella maggior parte dei casi, le persone con le quali ho affrontato il tema sembravano non essere consapevoli ed informate in merito alle precise caratteristiche delle possibili vie alternative per ottenere il soddisfacimento dei propri interessi.
L’analisi delle alternative alla mediazione è diversa dalla ricerca delle possibili soluzioni negoziali e transattive alla controversia, in quanto consiste in una attività preliminare  che  genera  parametri di riferimento che resteranno sullo sfondo della trattativa influenzandone l’andamento. La consapevolezza di avere alternative praticabili, concrete e soddisfacenti, condiziona infatti la strategia negoziale delle parti e in generale il loro atteggiamento durante la discussione.
Tale analisi è tuttavia spesso affrontata in modo frettoloso e superficiale, considera un elenco incompleto di fattori e non effettua una stima precisa ed accurata degli aspetti più concreti, quelli monetari, nemmeno dal lato dei ricavi che sono spesso sovrastimati o irrealistici, tanto che non poche volte si è sentito affermare, dopo anni di conflitto, che: “ alla fine non mi è rimasto granché e forse non valeva la pena di affrontare tutto questo per portare a casa un simile risultato”.  La scelta fra le alternative deve valutare, infatti, il saldo fra i fattori positivi e quelli negativi che ciascuna di esse comporta e dunque è necessario redigere una sorta di contabilità, con i costi da un lato e i ricavi dall’altro, e il risultato finale che rappresenterà il riferimento della scelta fra le diverse strade.
Un’altra grave mancanza è anche spesso quella di trascurare il corollario di conseguenze ed effetti secondari della propria scelta non solamente in termini economici, ma anche in quegli aspetti più intangibili e soggettivi il cui effetto si estenderà nel tempo e nella dimensione relazionale dell’individuo.
In sintesi, per una generale valutazione delle alternative, possiamo suddividere le voci dei costi e dei ricavi in due categorie: quelli monetari e quelli non monetari.
I costi monetari sono costituiti da:
– costi certi, normalmente rappresentati dai costi fissi o minimi relativi alla attivazione di procedure, all’utilizzo di risorse ed alle azioni necessarie fino alla ipotizzata conclusione della controversia (spese per perizie, consulenze, assistenza legale, tasse, contributi, azioni commerciali o comunicative, spese vive per la gestione e l’intervento nella controversia, ecc.);
– costi possibili, sono quelli legati a variabili che possono verificarsi o meno e devono essere presi in considerazione solo in misura proporzionale alla probabilità dell’evento cui si riferiscono (ad esempio la ripetizione delle spese in caso di soccombenza in giudizio, il costo del ricorso in appello, il maggior costo per l’approvvigionamento da un diverso fornitore, la possibilità che l’assicurazione eserciti azione di rivalsa o che decida di risolvere il contratto, l’esposizione ad atti esecutivi sui beni di proprietà, l’azione di rivalsa dei soci o degli azionisti, la svalutazione del bene o del patrimonio, ecc.);
– costi figurativi, sono costi che pur non comportando una effettiva uscita monetaria, consentono comunque di attribuire un valore economico a elementi quali: il tempo dedicato alla controversia, il danno di immagine che può derivare dalla controversia stessa e dal suo esito, l’interruzione dell’attività per un certo periodo, l’utilizzo di risorse interne dell’azienda o personali, ecc..
Anche i ricavi monetari, a loro volta, possono suddividersi in:
– ricavi certi possono essere considerate le somme minime previste da clausole contrattuali, da stime o perizie,  da polizze assicurative, da anticipi o caparre, ecc.;
– ricavi possibili sono legati, ad esempio,  all’accoglimento di specifiche richieste o all’esito favorevole di azioni legali o di lodi arbitrali;
– ricavi figurativi sono costituiti dal valore economico positivo attribuibile ad alcuni effetti conseguenti all’esito della controversia, quali, ad esempio, la pubblicità indiretta, l’aumentato valore del marchio, il rafforzamento della posizione di mercato, il prestigio e l’autorevolezza personale, il risparmio conseguente all’applicabilità di un pronunciamento anche ad altre cause pendenti o future, eccetera.
La categoria dei costi e ricavi non monetari comprende invece aspetti che rivestono comunque una notevole importanza all’interno del processo decisionale di un individuo e sul suo grado di soddisfazione rispetto all’esito di una controversia e, pur non essendo possibile attribuire a tali elementi un valore monetario (nemmeno simbolico), essi devono comunque essere aggiunti in calce al risultato finale della precedente valutazione dei fattori monetari.
Il danno all’immagine di un’azienda può essere valutato e rientrare fra i costi figurativi, ma quello relativo al nome e alla sua reputazione di una persona è di più difficile quantificazione.
Lo stress derivante dal protrarsi di una lite e dalla notevole energia psichica ed emotiva richiesta per gestirla, l’ansia derivante dall’incertezza del suo esito, con tutte le possibili conseguenze sulla propria vita, la sfida alla propria autostima ed alla fiducia nelle proprie capacità, ma anche aspetti relazionali legati al rapporto con la controparte che rischia di rimanere irrimediabilmente compromesso dalla controversia, sono tutti aspetti da elencare ma il cui valore rimane nella sfera di interpretazione soggettiva dell’individuo.
In conclusione è importante che l’attività di valutazione delle alternative sia svolta con molta consapevolezza e onestà, adottando criteri di prudenza e realismo, magari facendosi assistere da un legale o da un consulente nel calcolo delle voci certe e nella stima delle probabilità di quelle non sicure, integrandole poi con le valutazioni personali sugli aspetti soggettivi sopra elencati.  Anche il mediatore potrà avere un ruolo importante nel verificare, preferibilmente in incontri riservati, l’esistenza di tali alternative, la loro effettiva praticabilità ed i criteri utilizzati per la loro valutazione. Nel caso in cui emerga che tali stime non siano state effettuate o siano approssimative, è opportuno permettere all’interlocutore di acquisire maggiore chiarezza rispetto ad esse prima di procedere oltre.

* Mediatore e consulente aziendale