Nel corso di un recente incontro con alcuni mediatori, è stato posto un quesito che voglio qui condividere in pubblico: la varietà di stili e metodi di mediazione è una ricchezza o, piuttosto, questa eterogeneità non rischia di fare perdere identità allo strumento?
Il quesito è cruciale e molto sentito, non solo in Italia. Le scuole di pensiero, i “modelli” e gli stili personali si moltiplicano, anche con forti contrasti. Chi poneva la domanda, testimoniava di avere assistito ad incontri in cui i mediatori si comportavano secondo logiche palesemente differenti e, potenzialmente, spiazzanti per l’utente finale.
Ragionando in termini prettamente commerciali,è molto importante che il cliente sappia in anticipo cosa aspettarsi. Se si entra in un negozio per acquistare un televisore, ci si aspetta di entrare in possesso di un oggetto che trasmette immagini e suoni. Scoprire che il modello acquistato riproduce immagini ma non suoni e sapere che, però, fa un ottimo caffè, potrebbe essere sorprendente. Forse, però, non del tutto soddisfacente. Restando sul piano commerciale, è indispensabile la mediazione sia un servizio con caratteristiche identificabili: eccessive “variazioni sul tema” creano confusione e, alla fine, allontanano gli utenti.
La mia risposta è stata che la varietà di approcci è una ricchezza ma che certamente bisogna trovare dei limiti e dei confini. Su due piedi, pensavo di averla sfangata. Poi riflettendoci sopra, mi sono reso conto di aver dato una “non risposta”. Il vero quesito è: quanto è ammissibile variare? Fino a che punto è legittimo che un mediatore possa sentirsi libero di agire? La domanda, allora, non è limitata all’aspetto meramente commerciale. Non si tratta di capire solo se il prodotto sia vendibile, ma soprattutto di comprendere se vi sia il rispetto degli stessi standard produttivi e di sicurezza.
A complicare la situazione, bisogna aggiungere che individuare il quantum di variazioni accettabili in mediazione è esercizio complicato anche perché è perfino in discussione il fatto che via sia un set di regole da cui discostarsi.
Un tentativo in questa direzione è stato fatto, nel 2011, dal Servizio di conciliazione di Camera Arbitrale, con la redazione di un “Modello di mediazione” . Oggi, che questo modello inizia forse a sentire la necessità di qualche prima revisione, sembra bene diffonderlo ai lettori del blog per raccogliere opinioni e suggerimenti. Leggetelo. I “nostri” confini sono questi. Ne riparleremo.
Il modello di mediazione
• Il Servizio di conciliazione della Camera Arbitrale di Milano adotta un modello di mediazione “funzionale”: l’atteggiamento del mediatore può quindi essere “facilitativo” o “valutativo” o un mix di entrambi gli approcci o altro ancora.
• Ciò che conta è che l’attività del mediatore consista nel “mettere le parti nelle condizioni migliori per raggiungere un accordo da loro giudicato soddisfacente”.
• Il raggiungimento dell’accordo (o conciliazione) non deve essere considerato dal mediatore un obiettivo da raggiungere ad ogni costo (pur rappresentando indubbiamente la misura dell’efficacia del servizio CAM e l’impatto che esso ha avuto sul sistema delle imprese).
• L’approccio valutativo, che è quindi da considerare come una delle possibili modalità di gestione dell’incontro di mediazione, non può spingersi oltre il limite della proposta “formale” alle parti, come concepita dal D.Lgs.28/2010.
• Questo significa che il mediatore potrà formulare una proposta scritta e formale alle parti solo quando ricorrono tutte le seguenti condizioni:
– tutte le parti chiedono la proposta;
– ogni altro approccio di gestione dell’incontro è fallito;
– il mediatore ritiene che vi siano condizioni obiettive per formulare tale proposta.
• Il mediatore, nella conduzione del proprio operato, dovrà rispettare le “norme di comportamento del mediatore” adottate dalla Camera Arbitrale di Milano
I “contenuti” della mediazione
Considerato l’obiettivo (mettere le parti nelle condizioni migliori per raggiungere un accordo da loro giudicato soddisfacente) si ritiene opportuno che il mediatore tenga sempre in considerazione quanto segue:
• le emozioni sono parte integrante del conflitto e non possono essere ignorate (se non per fondate ragioni specifiche);
• è essenziale che il mediatore comprenda i bisogni e gli interessi di ciascuna parte (che non possono essere semplicemente presunti ma devono essere concretamente verificati in sede di incontro di mediazione);
• il mediatore è neutro rispetto alle forze presenti al tavolo della mediazione e non è suo compito intervenire per riequilibrare una relazione tra due o più parti;
• non spetta al mediatore giudicare l’equità dell’accordo ma è suo dovere verificare che le parti ne abbiano effettivamente compreso il valore;
• nel caso in cui il mediatore ritenga di trovarsi al di fuori del suo campo di competenza (ritenga quindi opportuno l’intervento di altro professionista o del giudice) ha l’obbligo di comunicarlo alle parti.